La cessione di attività professionali (attività per le quali è richiesta l’iscrizione ad un albo o ad un collegio) che, come avremo modo di vedere, si realizza principalmente mediante il trasferimento della clientela, è un fenomeno assai recente nel nostro paese.
Vediamo nel dettaglio cosa prevede la prassi in Italia, così come descritto nell’e-book La cessione dello studio professionale di MpO&Partners, edito da Maggioli Editore e fiscoetasse.com.
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La prassi in Italia
Dottrina e giurisprudenza, sino al termine del secolo scorso, erano divise circa la legittimità della cessione della clientela di uno Studio professionale.
- Parte contraria riteneva che il cliente/paziente, in quanto individuo dotato di libero arbitrio, non potesse essere oggetto di trasferimento come si trattasse di un bene “merce”, questo a maggior ragione nel caso di uno Studio professionale caratterizzato da un rapporto fiduciario dominus/cliente molto forte.
- Parte favorevole, rifacendosi in gran parte alla prassi sviluppatasi in Francia, al contrario sosteneva che, non potendosi parlare in senso tecnico di cessione, si poteva senz’altro immaginare un’attività di trasferimento, non già del cliente/paziente in quanto tale, ma del rapporto fiduciario che questi ha con il proprio professionista. Come poteva realizzarsi questo trasferimento? Mediante un’attività di presentazione, obbligazione principale del contratto di trasferimento, volta a canalizzare nel tempo il rapporto fiduciario dal professionista cedente a quello acquirente.
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Nell’incertezza derivante dal vuoto normativo e dalla mancanza di uniformità di vedute tra dottrina e giurisprudenza, in Italia le operazioni di trasferimento clientela, in costante crescita, avvenivano solitamente all’oscuro senza dare alle stesse alcuna pubblicità esterna.
In buona sostanza, come spesso accade nel nostro paese, la prassi viaggiava ad una velocità notevolmente superiore rispetto a quella del legislatore. La ragione del crescere di queste operazioni era dovuta sia alla necessità di gestire passaggi generazionali e la conseguente realizzazione di una sorta di TFR di fine carriera del professionista cedente, sia all’esigenza di aggregazione, già avvenuta in tutti gli altri settori dell’economia (auto, banche, assicurazioni, etc.) e avvertita come non procrastinabile anche dai professionisti italiani.
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La normativa sulle operazioni di cessione di studi professionali
L’incremento delle operazioni di cessione di Studi professionali ha portato il legislatore a disciplinare la materia e nel 2006 il Decreto Bersani-Visco (D.L. 223/2006) ha introdotto nell’art. 54 del T.U.I.R. il comma 1-quater il quale afferma che “concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale”.
Per la prima volta, quindi, viene disciplinato il fenomeno, ancorché unicamente dal punto di vista fiscale, ma di fatto si legittimano le operazioni di trasferimento della clientela di uno Studio professionale.
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Il Decreto Bersani-Visco, pur conclamando la liceità delle operazioni di trasferimento di clientela professionale e disciplinando correttamente la materia in ambito fiscale, utilizza tuttavia una terminologia (cessione) che mostra delle indubbie lacune civilistiche.
Dobbiamo aspettare il 2010 per porre una pietra tombale sulla questione, con la sentenza 2860 della Corte di Cassazione che chiarisce, mutuando tout court l’esperienza francese: “È lecitamente e validamente stipulato il contratto di trasferimento a titolo oneroso di uno Studio professionale, comprensivo non solo di elementi materiali e degli arredi, ma anche della clientela, essendo configurabile, con riferimento a quest’ultima, non una cessione in senso tecnico (attesi il carattere personale e fiduciario del rapporto tra prestatore d’opera intellettuale e cliente e la necessità, quindi, del conferimento di un nuovo incarico dal cliente al cessionario), ma un complessivo impegno del cedente volto a favorire – attraverso l’assunzione di obblighi positivi di fare (mediante un’attività promozionale di presentazione e di canalizzazione) e negativi di non fare (quale il divieto di riprendere ad esercitare la medesima attività nello stesso luogo) – la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il soggetto subentrante”.
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Ok al trasferimento della clientela ma…
È quindi possibile e lecito il trasferimento a titolo oneroso della clientela dello Studio professionale a condizione che ci sia un impegno, un’obbligazione di fare, di fare il possibile, da parte del professionista cedente, affinché il rapporto professionale che ha con la propria clientela venga trasferito o, usando l’espressione utilizzata dagli ermellini, canalizzato a favore del professionista acquirente.
Per realizzare questa canalizzazione è necessario del tempo, frutto di due variabili:
- il numero dei clienti e
- l’intensità del rapporto fiduciario.
Pertanto, maggiore sarà il numero dei clienti e maggiore sarà l’intensità del rapporto, maggiore sarà il tempo necessario per il trasferimento della clientela.
È chiaro, pertanto, che per trasferire attività professionali dovrà esserci un’attività di affiancamento e canalizzazione prestata dal cedente (ecco che torna utile il concetto espresso parlando della prassi francese) e che queste operazioni non potranno che esplicare in propri effetti su un arco temporale.
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Foto:iStock.com/izusek
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