Sicurezza INAIL: la circolare 3 aprile 2020 chiarisce gli effetti del DL 18/2020

Gli infortuni sul lavoro al tempo del Covid-19. Brevissime note sulla circolare INAIL n. 13/2020, con appendice sui protocolli d’intesa nei cantieri

Scarica PDF Stampa

Vasta eco sta suscitando la circolare INAIL n. 13 del 3 aprile 2020, con cui l’Istituto previdenziale ha fornito una serie di chiarimenti sugli effetti del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Cura Italia) in tema di:
sospensione dei termini di prescrizione e decadenza per il conseguimento delle prestazioni INAIL;
tutela infortunistica nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro.

Sicurezza INAIL: la circolare 3 aprile 2020 chiarisce gli effetti del DL 18/2020

In merito a quest’ultimo profilo, l’art. 42, comma 2 del cd. Cura Italia conferma l’applicazione “per le infezioni da virus SARS-CoV-2 (noto anche come COVID-19) contratte in occasione di lavoro” del “principio generale in base al quale le malattie infettive contratte in circostanze lavorative (ad esclusione di quelle inquadrate come malattie professionali) sono considerati infortuni sul lavoro ai fini della relativa assicurazione obbligatoria, con esclusivo riferimento, naturalmente, ai lavoratori, pubblici e privati, iscritti, in ragione della loro attività, alla medesima assicurazione” (così, Dossier D.L. 18/2020 – A.S. 1766 – 20 marzo 2020, volume I, p. 91).

Leggi anche: Decreto Liquidità imprese e professionisti: finanziamenti, rinvii fiscali e misure anti-fallimento

Fin qui niente di nuovo. Infatti, con puntuale riferimento alle indicazioni della prassi (circolare INAIL 23 novembre 1995, n. 74) e della giurisprudenza (Cass. 13 maggio 2016, n. 9913), l’INAIL ribadisce che le affezioni morbose da malattie infettive e parassitarie, comprese quelle da Covid-19, sono oggetto di tutela previdenziale. In particolare, per l’aspetto assicurativo, tali affezioni sono inquadrate “nella categoria degli infortuni sul lavoro: in questi casi, infatti, la causa virulenta è equiparata a quella violenta. In tale ambito delle affezioni morbose, inquadrate come infortuni sul lavoro, sono ricondotti anche i casi di infezione da nuovo coronavirus occorsi a qualsiasi soggetto assicurato dall’Istituto. Nell’attuale situazione pandemica, l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico[1] …. A una condizione di elevato rischio di contagio possono essere ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza[2]. …Le predette situazioni non esauriscono, però, come sopra precisato, l’ambito di intervento in quanto residuano quei casi, anch’essi meritevoli di tutela, nei quali manca l’indicazione o la prova di specifici episodi contagianti o comunque di indizi ‹‹gravi precisi e concordanti›› tali da far scattare ai fini dell’accertamento medico-legale la presunzione semplice”.

In ultima analisi, pur nell’attuale comprensibile periodo di smarrimento che stiamo vivendo, un insegnamento sembra trarsi dalla circolare INAIL n. 13/2020: è comunque necessaria un’interpretazione sistematica delle norme interessate dal Cura Italia che, sovente, viene invece tralasciata dagli operatori del settore [3] alla vana ricerca di un’esasperata casistica, non consona agli Stati di “civil law[4].

A ciò si aggiunga un’ultima considerazione: non è da Paese maturo ringraziare chi, nell’attuale contesto emergenziale, ci consente di essere curati e di fare la spesa (gli “eroi” del nostro tempo) e, d’altro canto, rammaricarsi degli strumenti di tutela (previdenziale) di cui tali soggetti si dovessero (malauguratamente) valere[5].

Proprio alla luce di queste considerazioni sulla circolare INAIL n. 13/2020, quindi, vale la pena soffermarsi sugli artt. 16 e 91 del Cura Italia che necessitano di una qualche visione di sintesi[6].

A tale riguardo, quindi, va registrata la pubblicazione nel sito istituzionale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti delle linee guida per i cantieri con le quali vengono fornite indicazioni operative finalizzate a incrementare l’efficacia delle misure precauzionali di contenimento adottate per contrastare la pandemia di Covid-19[7].

Approfondisci con: Coronavirus e ristrutturazioni, cantieri aperti se installano o riparano impianti

Di particolare rilievo, poi, sono le esemplificazioni contenute nell’ultima parte delle linee guida delle ipotesi di cui all’art. 91, Cura Italia che, come era lecito attendersi, sono attestate dal coordinatore per l’esecuzione dei lavori (cd. CEL/CSE) quale specifica figura nominata dal committente/responsabile dei lavori ai sensi del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e succ. mod. (cd. Testo Unico Sicurezza).

Sotto questo profilo, le linee guida parlano di “sospensione delle lavorazioni” per cui, in prima battuta, è lecito ricondurre tali ipotesi ai poteri assegnati al CSE dall’art. 92, comma 1, lettera f), d.lgs. 81/2008 in caso di pericolo grave e imminente.

Si tratta di obblighi che, essendo assistiti da sanzioni penali, prevalgono su qualsiasi ordine di servizio contrario fosse stato impartito dal direttore dei lavori, dispiegando la loro efficacia anche da un punto di vista civilistico[8].

A corredo delle linee guida per i cantieri, poi, sono state rese disponibili anche linee guida operative per i soli casi.

[1]Per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale, considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus” (così, testualmente, circolare INAIL n. 13/2020).

[2]In via esemplificativa, ma non esaustiva, si indicano: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc. Anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari” (così, testualmente, sempre circolare INAIL n. 13/2020).

[3] Sul punto sarebbe sufficiente la consultazione delle pagine insuperate di M. Persiani, Diritto della previdenza sociale, XX, Milano-Padova, 2014, per capire come affrontare, ad esempio, il tema malattie professionali/infortuni sul lavoro.

[4] Cfr., in generale, M. Persiani, Ancora sul diritto civile e sul diritto del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2019, 479.

[5] Per un approccio giustamente critico sul tema, ante circolare INAIL n. 13/2020, si segnala l’ottimo contributo di L. La Peccerella, Infezione da coronavirus e tutela contro gli infortuni e le malattie professionali, in Diritto della sicurezza sul lavoro, n. 1/2020.

Leggi anche: Ecobonus, nuove regole ENEA per collettori solari e caldaie

[6] Le disposizioni recate dagli artt. 16 e 91, decreto-legge n. 18/2020, da un lato, consentono di utilizzare eccezionalmente mascherine chirurgiche quali dispositivi di protezione individuale e, dall’altro, ribadiscono che l’attuazione delle misure di contenimento esonerano la responsabilità del debitore da eventuali decadenze (ad es. iscrizione riserve) o dall’applicazione di clausole penali connesse a ritardati (ad es. rispetto termine ultimazione) o omessi adempimenti

[7] Come si legge nel sito istituzionale, infatti, si tratta di “misure che riguardano i titolari del cantiere, tutti i subappaltatori e i subfornitori presenti in cantiere”, le quali “illustrano dettagliatamente tutto quello che occorre per garantire la sicurezza in un cantiere: le modalità di comportamento da tenere; le modalità di accesso dei fornitori esterni; la pulizia e sanificazione, le precauzioni igieniche personali, i dispositivi di protezione personale, la gestione degli spazi comuni, l’organizzazione del cantiere (turnazione, rimodulazione dei cronoprogramma delle lavorazioni), la gestione di una persona sintomatica, la sorveglianza sanitaria”. Si auspica che, al termine di questo periodo emergenziale, le linee guida possano essere riconosciute almeno come “buone prassi” di cui all’art. 2, comma 1, lett. v), d.lgs. 81/2008.

[8] Si pensi, ad esempio, al differimento del termine di ultimazione lavori che, in questo modo, è riconducibile all’art. 3, comma 6-bis, decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, nella legge 5 marzo 2020, n. 13 (tuttora vigente).

articolo di Andrea Ferruti

Potrebbe interessarti:

Foto: iStock/Blue Planet Studio

Redazione Tecnica

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento