Ritorna l’appuntamento del martedì con la selezione delle massime di sentenze per le materie dell’edilizia e dell’urbanistica pubblicate la scorsa settimana: è sufficiente la SCIA per il mutamento di destinazione d’uso da abitazione a studio medico? L’esecuzione di scavi e di fondazioni è sufficiente ad evitare la decadenza del permesso di costruire? Che titolo edilizio è necessario per una veranda?
E ancora: sono dovuti gli oneri nel caso di ristrutturazione con aumento del carico urbanistico? Box realizzati con recinzioni metalliche, rientra nelle attività di edilizia libera?
Scia, basta per il cambio destinazione d’uso da abitazione a studio medico?
TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sent. 8 gennaio 2020 n. 109
Gli strumenti di pianificazione, generali ed attuativi, individuano la destinazione d’uso dei suoli e degli edifici, affinché alle varie e diverse destinazioni vengano assegnate determinate qualità e quantità di servizi. L’organizzazione del territorio comunale e la relativa gestione vengono realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d’uso, sicché le modifiche non legittimate delle stesse incidono negativamente sull’organizzazione e sull’assetto prefigurato.
Già nel vigore della precedente normativa, con orientamento in tal senso dominante, la giurisprudenza ha rilevato che solo il cambio di destinazione d’uso fra categorie edilizie omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incide sul carico urbanistico), mentre, allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, si integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire, e ciò, indipendentemente dall’esecuzione di opere (cfr., ex multis, la sentenza di questo Tribunale, sez. I-quater, 28 agosto 2015, n. 10957).
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Anche un cambio di destinazione d’uso che intervenga all’interno della medesima categoria funzionale, peraltro, è stato ritenuto dalla giurisprudenza urbanisticamente rilevante ogni qual volta determini un aumento o un aggravamento del carico urbanistico insistente sull’area (Consiglio Stato, sez. V, 29.01.2009 n. 498).
Da quanto sopra esposto consegue che il mutamento di destinazione d’uso, anche senza lavori edilizi, non può costituire una operazione per così dire “neutra”, da definirsi esclusivamente attraverso il pagamento di una sanzione pecuniaria ove involga categorie funzionali non omogenee (cfr, la sentenza di questa Sezione, 13 aprile 2017, n. 4577).
La semplificazione delle attività edilizie voluta dal legislatore, infatti, non si è spinta, infatti, al punto di rendere tra loro omogenee tutte le categorie funzionali, le quali, al contrario, rimangono tra loro non assimilabili (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, sent. 6 febbraio 2017, n. 745; TAR Campania, Napoli, III, sent 5.settembre 2017, n. 4249), con la conseguenza che il passaggio dall’una all’altra costituisce, come nel caso di modifica da abitazione a studio medico, mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, non assentibile mediante s.c.i.a..
Né può riconnettersi rilievo, alla stregua delle su esposte considerazioni, alla circostanza che la destinazione (nel caso di specie a studio medio) sia “astrattamente” compatibile con la zona d’intervento giacché l’effettivo insediamento, per la sua valenza e i suoi effetti “urbanistici”, richiede il necessario filtro del maggior titolo abilitativo, con verifica degli standard e quantificazione degli oneri concessori.
Scavi e di fondazioni, bastano ad evitare la decadenza del permesso di costruire?
TAR Lazio, Roma, sez. II quater, sent. 8 gennaio 2020 n. 134
Secondo l’orientamento consolidato, non rilevano al fine di evitare la decadenza del titolo edilizio i lavori preparatori di cantiere, in quanto non sono indici di un reale inizio dei lavori di costruzione, quali, ad esempio gli interventi di ripulitura del sito e approntamento del cantiere e dei materiali necessari per l’esecuzione dei lavori (ex multis, T.A.R. Molise, 19 settembre 2005, n. 875); sbancamento, livellamento e recinzione del terreno (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. V, 22 novembre 1993, n. 1165, ma anche T.A.R. Marche, 13 marzo 2008, n. 195); movimentazione di terra e gittata di uno strato di battuto di calcestruzzo a circoscrivere le fondamenta della costruzione a farsi (Cons. St., sez. IV 15 aprile 2013, n. 2027).
Realizzazione di taluni plinti di fondazione e dei relativi pilastri (Cons. St., sez. V, 28 dicembre 1983, n. 805); allestimento del cantiere, esecuzione di movimenti di terra e posa di un plinto (Cons. St., sez. V 15 aprile 1983, n. 131); recinzione del terreno con pali in cemento, demolizione di una preesistente vecchia costruzione, continuazione dello scavo di fondazione e getto di due plinti in cemento armato (Cons. St., sez. V, 06 novembre 1985, n. 357); costruzione di un limitato tratto di fondazione (T.A.R. Emilia Romagna, 18 dicembre 1974, n. 288; T.A.R. Marche, 27 agosto 1994, n. 233).
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Veranda, che titolo edilizio serve?
TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 7 gennaio 2020 n. 46
La veranda realizzata su un terrazzo e/o su un balcone facenti parte di un immobile principale, essendo materialmente incorporata all’immobile principale di cui costituisce parte integrante e zona di ampliamento volumetrico, non può essere ricondotta alla nozione di pertinenza urbanisticamente rilevante, la quale, invece, postula indefettibilmente l’individualità fisica e strutturale del manufatto destinato a servizio od ornamento di quello principale, con conseguente assoggettabilità dell’intervento al regime del permesso di costruire ed al corrispondente sistema sanzionatorio di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.
Invero, è principio consolidato che l’opera pertinenziale è collegata alla costruzione preesistente in termini non di integrazione ma di asservimento, per cui deve renderne più agevole e funzionale l’uso, ma non deve divenire parte essenziale della costruzione stessa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 maggio 2013 n. 2678; Cass. Pen., Sez. III, 8 aprile 2015 n. 20544; TAR Liguria, Sez. I, 13 febbraio 2014 n. 269; TAR Campania Napoli, Sez. VIII, 7 febbraio 2014 n. 883; TAR Trentino Alto Adige Trento, Sez. I, 11 febbraio 2012 n. 264; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 16 dicembre 2011 n. 5912).
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Oneri con aumento del carico urbanistico, quando sono dovuti?
TAR Piemonte, sez. II, sent. 7 gennaio 2020 n. 20
Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico (Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 29 aprile 2004, n. 2611).
Ne consegue che, nel caso di un intervento di ristrutturazione su un immobile avente originariamente destinazione residenziale per una parte e di deposito per un’altra, laddove a seguito di tale intervento la parte di deposito diventi a destinazione residenziale, si concretizzerà, per tale modifica, un aumento di carico urbanistico, con conseguente obbligo di corresponsione degli oneri di urbanizzazione.
Box realizzati con recinzioni metalliche, è attività edilizia libera?
TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 2 gennaio 2020 n. 4
Non serve un titolo edilizio per alcuni recinti realizzati con rete metallica a maglie larghe fissata a supporti verticali in legno di castagno stagionato infissi semplicemente al suolo per circa 40/50 cm, senza l’utilizzo di malta o calcestruzzo cementizio, e che affiorano a giorno per una altezza pari a circa mt 2.20, sormontati in parte da limiere sandwich ed in parte da vegetazione rampicante, al fine di proteggere gli animali dalla calura estiva e dagli eventi meteorici, senza pavimentazioni rigide o impermeabili sul piano di campagna.
Le peculiari caratteristiche costruttive dei recinti sono tali da configurarli come entità precarie, amovibili, prive di impatto paesaggistico, e volumetrico.
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In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it
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