Abuso edilizio, cosa può fare il confinante se il Comune non agisce

Il proprietario di un immobile confinante con manufatti abusivi, se ha sollecitato inutilmente il Comune ad adottare i provvedimenti sanzionatori, può ricorrere al silenzio-inadempimento

Mario Petrulli 18/06/19

Ecco la rassegna di sentenze di questa settimana. Si parla di possibilità di rideterminazione del contributo concessorio e di quale segnalazione di abuso può intreprendere il confinante di un immobile abusivo se il Comune non procede. Inoltre, una sentenza riguarda il titolo edilizio necessario per strutture adibite a finalità continuative in un impianto sportivo. Le ultime due riguardano invece il titolo edilizio necessario per veranda e tettoia.

Abuso edilizio: che provvedimento può prendere il confinante

TAR Sardegna, sez. II, sent. 12 giugno 2019 n. 522
Il proprietario di un immobile confinante con manufatti abusivi è legittimato a ricorrere alla procedura del silenzio-inadempimento, laddove abbia sollecitato inutilmente il Comune ad adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dall’ordinamento

Il proprietario di un immobile confinante con manufatti abusivi è legittimato a ricorrere alla procedura del silenzio-inadempimento, laddove abbia sollecitato inutilmente il Comune ad adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dall’ordinamento, essendo lo stesso titolare di una posizione giuridica qualificata che gli consente di effettuare tale sollecito (Consiglio di Stato sez. VI, 28 marzo 2019, n. 2063).

L’adozione di atti infraprocedimentali non è idonea a impedire la formazione del silenzio-inadempimento, posto che solo l’adozione del provvedimento definitivo soddisfa l’interesse, azionato nel giudizio di cui all’art. 31 c. proc. amm., al conseguimento di una risposta esplicita alla domanda introduttiva (T.a.r. Puglia, Bari, sez. I, 16 luglio 2014, n. 923).

Si configura un silenzio-inadempimento tutte le volte in cui l’Amministrazione contravvenga ad un preciso obbligo di provvedere, derivante da una norma di legge, di regolamento o di un atto amministrativo, ovvero dai principi informatori dell’azione amministrativa, quando in particolari fattispecie ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento. Scopo del ricorso è, in realtà, ottenere un provvedimento esplicito, che elimini lo stato di inerzia e assicuri al privato una decisione, non potendo a tal fine ritenersi satisfattivi atti endoprocedimentali meramente preparatori (T.a.r. Lazio, Roma, Sez. I, 13 ottobre 2017, n. 10340).

Leggi anche Abuso edilizio: il denunciato può visionare la denuncia?

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Contributo concessorio: se sbagliato, si può ricalcolare

TAR Marche, sez. I, sent. 10 giugno 2019 n. 382
Il Comune può rideterminare il contributo concessorio se erroneamente liquidato, con il limite dell’intervenuta prescrizione

La determinazione e la liquidazione del contributo di costruzione costituisce esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta all’Amministrazione comunale per il rilascio del titolo autorizzatorio, nell’ambito di un rapporto obbligatorio tra quest’ultima e il privato. Ciò implica che, ferma restando l’efficacia del provvedimento concessorio, il Comune ha sempre, in ipotesi, la possibilità di provvedere alla rideterminazione del contributo dovuto (se erroneamente liquidato) e alla conseguente richiesta di pagamento, con il solo limite dell’intervenuta prescrizione (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 30 agosto 2018, n. 12).

Strutture per finalità continuative in impianto sportivo: titolo edilizio necessario

TAR Liguria, sez. I, sent. 11 giugno 2019 n. 530
Serve il permesso di costruire per container e box utilizzati dal concessionario di un impianto sportivo per finalità continuative (deposito, locale tecnico e biglietteria)

È principio generalmente condiviso e accolto dall’intestato T.A.R. quello secondo il quale <<la precarietà o meno dell’opera non va desunta unicamente sulla base del criterio se queste siano stabilmente infisse o meno al suolo, ma anche sulla base di un criterio ulteriore, di natura finalistica, attinente alla destinazione dell’opera. Se questa è destinata a durare nel tempo, non ha più il carattere della temporaneità. Per quanto riguarda la facile amovibilità, si reputa che tale non sia più l’opera che necessita di un vero e proprio lavoro di smontaggio>> (T.A.R. Bolzano, sez. I, 16/10/2015, n. 315).

Peraltro, <<in relazione alla connotazione sostanziale dei manufatti, la precarietà delle strutture può essere accertata con la contemporanea presenza di due requisiti, uno strutturale e l’altro funzionale; da un lato, infatti, l’opera non deve costituire trasformazione urbanistica del territorio e non deve essere costituita da intelaiature infisse al pavimento o alla parete dell’immobile, cui deve essere semplicemente addossata, né deve essere chiusa in alcun lato, dall’altro, occorre guardare alla destinazione d’uso dell’opera, sicché una struttura destinata a dare una utilità prolungata nel tempo non può considerarsi precaria; in conclusione, detta temporaneità deve essere apprezzata con criterio oggettivo avuto riguardo all’oggetto della costruzione nei suoi obiettivi dati tecnici e deve, dunque ricollegarsi alla sua destinazione materiale, che ne evidenzi un uso realmente precario o temporaneo per fini specifici e cronologicamente specificati>> (T.A.R. Emilia-Romagna, sez. II, 29/11/2017, n. 783).

In tal senso, <<la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico ma temporalmente limitato del bene: infatti, ai fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, che esclude la necessità del rilascio di un titolo edilizio, si deve prescindere dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data dal manufatto dal costruttore e si deve, invece, valutare l’opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo o pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale>> (T.A.R. Puglia, sez. dist. Lecce, sez. I, 17/07/2018, n. 1174).

Pertanto, <<le strutture precarie e astrattamente rimovibili, nel caso in cui siano funzionali a soddisfare esigenze stabili e durature nel tempo e siano, dunque, idonee ad alternare lo stato dei luoghi, devono essere considerate nuove costruzioni ai fini edilizi e quindi necessitanti di un titolo autorizzatorio>> (T.A.R. Lombardia, sez. II, 07/02/2018, n. 354).

Va confermato, quindi, che <<al fine di verificare se una determinata opera abbia carattere precario occorre verificare la destinazione funzionale e l’interesse finale al cui soddisfacimento essa è destinata. Pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare un’esigenza oggettivamente temporanea, destinata a cessare dopo il breve tempo entro cui si realizza l’interesse finale, possono dirsi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti il permesso di costruire. In termini, ex multis, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 giugno 2014 n. 2842; T.A.R. Campania, sez. dist. Salerno, Sez. I, 13 novembre 2013 n. 2240; T.A.R. Campania, Sez. VII, 25 marzo 2013 n. 1626; T.A.R Puglia, Sez. II, 31 agosto 2009, n. 2031, in cui si legge che “il carattere di precarietà di una costruzione non va desunto dalla possibile facile e rapida amovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente ed essere poi prontamente rimossa, a nulla rilevando la circostanza che l’impiego del bene sia circoscritto ad una sola parte dell’anno, ben potendo la stessa essere destinata a soddisfare un bisogno non provvisorio ma regolarmente ripetibile (T.A.R. Emilia-Romagna, 14 gennaio 2009, n. 19)”>> (C. Stato, sez. IV, 07/12/2017, n. 5762).

Alla luce delle precedenti osservazioni, perciò, non sono opere precarie 3 container in lamiera grecata utilizzati come deposito, 2 baracche in lamiera, rispettivamente utilizzate come locale tecnico per le caldaie delle docce ed ex sede del bar ed 1 box metallico con serramenti in vetro, appoggiato al terreno e utilizzato come biglietteria, realizzate dalla concessionaria di un impianto sportivo; conseguentemente, serve il permesso di costruire per la relativa posa.

Veranda e tettoia: che titolo edilizio è necessario?

Per la veranda..

TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 12 giugno 2019 n. 981
La realizzazione di una veranda necessita del rilascio del permesso di costruire

Si tratta di opera non precaria perché stabilmente infissa al suolo e tale da determinare, sotto il profilo edilizio, un aumento di volumetria, oltre che di superficie e sagoma; cosicché del tutto legittima si rivela l’ordinanza di demolizione dell’opera eseguita in assenza del prescritto titolo edilizio, non essendo configurabile il più mite trattamento della sanzione pecuniaria di cui all’art. 37 del d.p.r. n. 380/2001, previsto per la sola ipotesi di interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA (TAR Campania, Salerno, sez. II, n. 771/2018; cfr., in tan senso, anche Cons. Stato, sez. VI, n. 306/2017; n. 1893/2018; TAR Piemonte, Torino, sez. I, n. 1181/2012; TAR Campania, Napoli, sez. VII, n. 3069/2014).

Per la tettoia..

TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 11 giugno 2019 n. 976
Serve il permesso di costruire per la parziale copertura di un’area a parcheggio mediante la realizzazione di una tettoia costituita da struttura portante in ferro e legno con sovrastante copertura in lamiera di dimensioni di circa mt. 7,00 x mt. 6,00 con altezza media pari a circa mt. 3,00

La conferma si ricava dall’esame della giurisprudenza, nella quale si rinvengono le seguenti affermazioni di principio: “La realizzazione di una tettoia aperta su tutti i lati configura un intervento di ristrutturazione edilizia che non crea volumetria né incide sui prospetti, e rientra pertanto nella disciplina della segnalazione certificata di inizio attività, con conseguente applicazione, in caso di violazione dell’art. 22 del d. p. r. n. 380/2001, della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 37, pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi.

In tal caso deve pertanto considerarsi illegittima la più grave sanzione demolitoria, prevista dall’art. 33 e riservata agli interventi di più rilevante impatto urbanistico non assentiti o realizzati in totale difformità” (T. A. R. Calabria – Catanzaro, Sez. I, 23/03/2018, n. 729);

Una tettoia, per caratteristiche morfologiche di realizzazione e destinazione funzionale – in quanto struttura in ferro aperta sui lati, ricoperta da onduline, meramente strumentale all’opificio, di dimensioni adeguate ad assolvere le finalità produttive, senza incremento del carico urbanistico – è riconducibile alla nozione di pertinenza urbanistica, ordinariamente sottratta al regime del titolo edilizio concessorio” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 13/12/2017, n. 5867);

“In materia urbanistica, il presupposto per l’esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base e di due superfici verticali contigue presupposto carente quando la costruzione consista in una tettoia in legno aperta su tre lati, rientrante, piuttosto, nel concetto di bene pertinenziale ossia di struttura a servizio di un’altra, sottratta, come tale, al computo del carico urbanistico” (T. A. R. Sardegna, Sez. II, 16/01/2015, n. 183);

Per la realizzazione di una tettoia aperta su tre lati non è, in linea di principio, richiesto il permesso di costruire, essendo sufficiente la presentazione di una denunzia di inizio attività atteso che le tettoie aperte su tre lati ed addossate ad un edificio principale, se di dimensioni e caratteristiche costruttive non particolarmente impattanti, costituiscono pertinenze dell’edificio cui accedono” (T. A. R. Umbria, Sez. I, 29/01/2014, n. 82).

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Mario Petrulli

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