CILA: non può essere oggetto di diniego, ma solo di sanzione

Inoltre, nella rassegna sentenze: pergotenda di ampie dimensioni con struttura in metallo, Ascensore – volume tecnico e tanto altro

Mario Petrulli 04/12/18

Gli argomenti della selezione di sentenze per l’edilizia e l’urbanistica pubblicate la scorsa settimana sono… 1) CILA – diniego – sanzione; 2) Pergotenda di ampie dimensioni con struttura in metallo – attività edilizia libera – esclusione; 3) Ascensore – volume tecnico; 4) Struttura per attività cinotecnica – realizzabilità in zona agricola; 5) Efficacia delle misure di salvaguardia degli strumenti urbanistici; 6) Fascia di rispetto in prossimità dei corsi d’acqua – natura del divieto di edificazione.

CILA, non oggetto di diniego, ma di sanzione

Estremi della sentenza: TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. 29 novembre 2018 n. 2052
Massima:  La CILA non può essere oggetto di diniego ma solo di sanzione.

La CILA è stata introdotta dall’art. 3, comma 1, lett c), D. Lgs. n. 222/2016. Sulla novella si sono appuntante le riflessioni del Consiglio di Stato nel parere reso il 4.08.2016, n. 1784, in cui essa è qualificata come “un istituto intermedio tra l’attività edilizia libera e la s.c.i.a.”, ascrivibile, al pari del secondo, nel genus della liberalizzazione delle attività private.

In particolare, la CILA ha carattere residuale, poiché applicabile agli interventi non riconducibili tra quelli elencati agli artt. 6, 10 e 22 D.P.R. n. 380/2001 e riguardanti, rispettivamente, l’edilizia libera, le opere subordinate a permesso di costruire e le iniziative edilizie sottoposte a s.c.i.a.

In base, poi, alle prime pronunce giurisprudenziali, la CILA è ritenuta atto avente natura privatistica, come tale non suscettibile di autonoma impugnazione innanzi al g.a. (T.A.R. Catania, Sez. I, 16 luglio 2018, n. 1497).

Operando un raffronto con la s.c.i.a., il Consiglio di Stato, nel menzionato parere, rileva inoltre come “l’attività assoggettata a c.i.l.a. non solo è libera, come nei casi di s.c.i.a., ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio”, conseguendo a ciò che “ci si trova… di fronte a un confronto tra un potere meramente sanzionatorio (in caso di c.i.l.a.) con un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di autotutela (con la s.c.i.a.)”.

Sotto altro profilo, peraltro, giova osservare come la p.a. in materia edilizia mantenga fermo, sulla scorta del regime giuridico di cui all’art. 27, D.P.R. n. 380/2001, un potere di vigilanza contro gli abusi, implicitamente contemplato dallo stesso art. 6-bis, D.P.R. n. 380/2001 (Consiglio di Stato, Commissione speciale, cit.).

In ragione di quanto evidenziato, quindi, la CILA inoltrata dal privato alla p.a. non può essere oggetto di una valutazione in termini di ammissibilità o meno dell’intervento da parte dell’amministrazione comunale ma, al contempo, a quest’ultima non è precluso il potere di controllare la conformità dell’immobile oggetto di CILA alle prescrizioni vigenti in materia.

Ne deriva che un provvedimento di diniego della CILA, adottato dal Comune, è nullo ai sensi dell’art. 21-septies, L. n. 241/1990, poiché espressivo di un potere non tipizzato nell’art. 6-bis D.P.R. n. 380/2001, salva e impregiudicata l’attività di vigilanza contro gli abusi e l’esercizio della correlata potestà repressiva dell’Ente territoriale.

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Pergotenda di ampie dimensioni con struttura in metallo è liberamente installabile?

Estremi della sentenza: TAR Umbria, sent. 28 novembre 2018, n. 629
Massima: Non è una pergotenda liberamente installabile una struttura in metallo di ampie dimensioni con sovrastante telaio e ancoraggio con tiranti.

Secondo la giurisprudenza, la pergotenda “1) è una struttura destinata a rendere meglio vivibili gli spazi esterni delle unità abitative (terrazzi o giardini) e installabile al fine, quindi, di soddisfare esigenze non precarie non connotandosi, pertanto, per la temporaneità della loro utilizzazione, ma costituiscono un elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile e duraturo; 2) sotto il profilo normativo la realizzazione di tale costruzione, tenuto conto della sua consistenza, delle caratteristiche costruttive e della suindicata funzione che la caratterizza, non costituisce un’opera edilizia soggetta al previo rilascio del titolo abilitativo atteso che, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 10 del DPR n. 380/2001, sono soggetti al rilascio del permesso di costruire gli “interventi di nuova costruzione”, che determinano una “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio”, mentre una struttura leggera, secondo la configurazione standard che caratterizza tali manufatti nella loro generalità, destinata ad ospitare tende retrattili in materiale plastico non integra tali caratteristiche; 3) per aversi una costruzione definibile come tale (c.d. pergotenda) occorre che l’opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità abitativa, con la conseguenza che la struttura (per aversi realmente una pergotenda e non una costruzione edilizia necessitante di titolo abilitativo) deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda; 4) la tenda poi, che costituisce la caratteristica fondamentale per effetto della quale un manufatto può definirsi “pergotenda” e non considerarsi una “nuova costruzione”, deve essere in materiale plastico e retrattile, onde non presentare caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio rilevante, comportante trasformazione del territorio” (TAR Lazio, Roma, sez. II quater, 22 dicembre 2017 n. 12632).

Un’opera siffatta per la sua consistenza e le caratteristiche costruttive, non è un’opera edilizia soggetta al previo rilascio del titolo abilitativo, in quanto, in base agli artt. 3 e 10 del d.P.R. n. 380 del 2001 sono soggetti al rilascio del permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione che determinano una trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, mentre una struttura leggera, destinata ad ospitare tende retrattili in materiale plastico, non assume queste caratteristiche. Deve, pertanto, trattarsi di una struttura leggera, tanto da far assumere carattere preminente alla tenda che costituisce elemento di protezione dagli agenti atmosferici. Al contrario, quando la struttura per le sue caratteristiche tecniche alteri la sagoma dell’edificio, abbia una dimensione considerevole e presenti un ancoraggio massiccio al suolo, va classificata come nuova costruzione e per la sua realizzazione è richiesto il permesso di costruire.

Alla luce delle precedenti osservazioni, non può essere considerata una pergotenda liberamente installabile una struttura in metallo composta “da quattro profilati in ferro (sezione di ingombro 0,20 x 0,20, inglobati in dei carter metallici) con funzione pilastri strutturali a sostegno del soprastante telaio orizzontale. Alla base di ogni pilastro è stata saldata una piastra in acciaio con quattro fori all’altezza degli spigoli, da dove salgano quattro tirafondi in acciaio fissati alle suddette piastre mediante bulloni per una superficie pari a 64,00 mq”.

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Ascensore è volume tecnico non computabile nella volumetria?

Estremi della sentenza: TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sent. 28 novembre 2018, n. 11553
Massima:  L’ascensore è un volume tecnico non computabile nella volumetria.

Secondo la giurisprudenza, gli ascensori rientrano nella nozione di “volume tecnico”, non computabile nella volumetria (cfr. ex multis TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. 23 marzo 2018, n. 3299; TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 10 gennaio 2018, n. 149; Consiglio di Stato, sez. V, sent. 11 luglio 2016, n. 3059).

Il volume tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché è destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima.

In sostanza, si tratta di impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione, che non possono essere in alcun modo ubicati all’interno di questa, come possono essere quelli connessi alla condotta idrica, termica o all’ascensore, i quali si risolvono in semplici interventi di trasformazione, senza generare aumento alcuno di carico territoriale o di impatto visivo.

Struttura per attività cinotecnica: può essere realizzata in zona agricola

Estremi della sentenza: TAR Toscana, sez. III, sent. 27 novembre 2018, n. 1547
Massima:  Una struttura per l’attività cinotecnica può essere realizzata in zona agricola.

In applicazione dell’art. 2 l. 23 agosto 1993 n. 349, l’attività cinotecnica (ossia, l’attività volta all’allevamento, alla selezione e all’addestramento delle razze canine) deve considerarsi attività imprenditoriale agricola: di conseguenza, il permesso di costruire per la relativa struttura può essere rilasciata anche in zona agricola (T.A.R. Abruzzo, L’Aquila 4 giugno 2004, n. 745).

Efficacia delle misure di salvaguardia degli strumenti urbanistici

Estremi della sentenza: TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. 29 novembre 2018 n. 2055
Massima: Le misure di salvaguardia degli strumenti urbanistici mantengono la loro efficacia in tre anni dalla data di adozione dell’atto.

Come previsto dall’art. 12, comma 3, del Testo Unico Edilizia (D.P.R. n. 380/2001), le misure di salvaguardia degli strumenti urbanistici mantengono la loro efficacia in tre anni dalla data di adozione dell’atto, ovvero cinque anni nel caso in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all’amministrazione competente all’approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione.

In argomento, la giurisprudenza amministrativa ha inoltre evidenziato come le misure di salvaguardia “… pur essendo funzionali alla tutela dell’interesse di salvaguardia dell’ordinato assetto del territorio, devono essere bilanciate con altri interessi parimenti rilevanti, fra cui il diritto di proprietà. Il generale principio della temporaneità delle misure di salvaguardia, aventi natura eccezionale e derogatoria, e della ragionevole durata del loro termine di efficacia, vincola le Amministrazioni in generale, ed anche le Regioni, al fine di evitare un incontrollato trascinamento in avanti della durata delle suddette misure impeditive, onde scongiurare il rischio che all’effetto tipico, di natura meramente cautelare, si sovrapponga quello improprio di una permanente compressione del diritto di proprietà…” (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 aprile 2016, n. 1354; T.A.R. Lazio-Roma, Sez. II-bis, 24 ottobre 2018, n. 10307).

Fascia di rispetto in prossimità dei corsi d’acqua: divieto di costruzione di opere

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 29 novembre 2018, n. 1141
Massima: Il divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi d’acqua ha carattere legale, assoluto e inderogabile.

In linea generale il divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi d’acqua, previsto dall’art. 96, lett. f), t.u. 25.07.1904 n. 523, ha carattere legale, assoluto e inderogabile, ed è diretto al fine di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici (cfr. Cassazione civile, sez. un., 30.07.2009, n. 17784); cioè, esso è teso a garantire le normali operazioni di ripulitura/manutenzione e a impedire le esondazioni delle acque.

Nel ribadire come la ratio di tale norma risponda all’evidente finalità di scongiurare l’occupazione edificatoria degli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque, sia in funzione preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che potrebbero derivare da esondazioni, deve ribadirsi che la natura degli interessi pubblici tutelati comporta che il vincolo operi con un effetto conformativo particolarmente ampio, determinando l’inedificabilità assoluta della fascia di rispetto (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 8 marzo 2012 n. 439): conseguentemente dimostrandosi (come già sottolineato dal TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 29 novembre 2018, n. 1141) legittimo “il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente ad un fabbricato realizzato all’interno della c.d. fascia di servitù idraulica, atteso che, nell’ipotesi di costruzione abusiva realizzata in contrasto con tale divieto, trova applicazione l’art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il quale contempla i vincoli di inedificabilità, includendo in tale ambito i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree”.

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Mario Petrulli

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