La Cassazione ha sentenziato che, se la tenuta della contabilità da parte del contribuente è corretta, se ci sono “rapporti di parentela e di amicizia” le prestazioni professionali gratuite svolte sono ammissibili.
La Fondazione nazionale dei commercialisti ha pubblicato un documento molto interessante, di Maria Adele Morelli e Andrea Di Gialluca, che ripercorre il quadro normativo di riferimento relativo alle prestazioni professionali gratuite, analizzando alcune delle principali sentenze.
La giurisprudenza si è pronunciata sul tema con la sentenza del 28 ottobre 2015, n. 21972, cardine della questione, preceduta e seguita da diverse sentenze di merito, non sempre coerenti con gli insegnamenti della Corte Suprema.
A proposito di prestazioni gratuite…
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Prestazioni gratuite, le conclusioni dei Commercialisti
Innanzitutto, l’accertamento induttivo teso a ricostruire i compensi del professionista e fondato esclusivamente sulla presunzione che le prestazioni gratuite nascondano compensi “in nero” non sembra potersi configurare come illegittimo. Sebbene, infatti, risulti senza dubbio opportuno che l’Amministrazione Finanziaria supporti le proprie pretese attraverso ulteriori elementi, la giurisprudenza ha, per lo più, non dichiarato illegittimo un simile operato.
In secondo luogo, la giurisprudenza sembra ritenere “plausibile” che un professionista effettui prestazioni a titolo gratuito nei confronti di parenti, amici o soggetti che già sono clienti (ad altro titolo), purché tali prestazioni siano in un rapporto di minoranza rispetto al totale delle prestazioni rese e che, inoltre, siano caratterizzate da “semplicità”.
Prestazioni più o meno complesse
L’onere della prova, posto a carico del contribuente sottoposto ad accertamento, può dirsi superato qualora le prestazioni rese gratuitamente (comunque in un rapporto di minoranza rispetto a quelle complessive), siano effettuabili, secondo l’id quod plerumque accidit, senza particolare complessità, dispendio di tempo o abbiano un “valore normale” ridotto. Non è così per le prestazioni particolarmente laboriose o di valore ingente, soprattutto se rese nei confronti di soggetti diversi da coloro che sono con il professionista in stretto legame di parentela.
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Strumenti di difesa del Professionista
Quanto detto, tuttavia, non implica necessariamente che, qualora il numero di prestazioni rese gratuitamente sia in un rapporto di maggioranza rispetto a quelle a titolo oneroso e/o che tali prestazioni siano, per lo più, “complesse”, il professionista debba essere necessariamente assoggettato a tassazione.
La stessa sentenza della Corte di Cassazione n. 1915 del 2008 ha, in effetti, offerto al contribuente dei possibili “strumenti di difesa”.
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In tal senso, sicuramente la predisposizione di lettere di incarico professionale ove si evinca chiaramente la gratuità della prestazione, può essere un valido elemento probatorio. In aggiunta, nel caso di prestazioni rese dai professionisti nei confronti di società, la documentazione societaria (es. delibere che stabiliscono il compenso dell’amministratore, lo statuto, mastrini contabili di cassa o banca e quelli riferiti al professionista) rappresenta un elemento difficilmente superabile dall’Agenzia delle Entrate.
Rimane, però, particolarmente delicato il tema delle prestazioni rese dai professionisti nei confronti di soggetti privati, non tenuti ad obblighi di contabilità e/o di conservazione di documenti. Nei confronti di questi soggetti, oltre alla predisposizione di lettere di incarico professionale e/o dichiarazioni rese dagli stessi19, il contribuente non è in grado, generalmente, di produrre ulteriore documentazione. In tali casi, comunque, il professionista potrà addurre la congruità e la coerenza rispetto agli studi di settore ed, eventualmente, produrre documentazione bancaria che possa rappresentare elemento (quantomeno indiziario) circa il fatto che nessun compenso è stato mai incassato.
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Incertezze e complicazioni
Non si può nascondere che le soluzioni sin qui prospettate sulle prestazioni professionali gratuite non siano del tutto prive di incertezze e complicazioni pratiche.
Si potrebbe, allora, riflettere sul fatto che, se un professionista effettua prestazioni a titolo gratuito, se, da un lato, non avrà particolari obblighi per quanto riguarda i compensi dal punto di vista dell’IVA20, delle imposte dirette e dell’IRAP21, dall’altro, dovrebbe considerare l’indeducibilità e l’indetraibilità dei costi sostenuti. Tale problematica potrebbe essere superata determinando un pro-rata22 per le prestazioni rese a titolo di mera liberalità e, in quanto tali, non necessariamente inerenti23: specularmente, all’Amministrazione Finanziaria sarebbe consentito un migliore e più rapido riscontro nei confronti di detti soggetti.
In definitiva, operando secondo le descritte modalità, l’accertamento si sposterebbe dal punto di vista dei proventi presuntivamente incassati a quello dei costi oggettivamente indeducibili (dal punto di vista delle dirette e dell’IRAP) o indetraibili (dal punto di vista dell’IVA), così da render più certa e obiettiva la tassazione dei professionisti che effettuino prestazioni a titolo gratuito. Ciò comporterebbe una piena rispondenza al principio di cassa delle modalità di determinazione del reddito e di accertamento, evitando, inoltre, che l’Amministrazione Finanziaria ricorra a (quantomeno discutibili) “doppie presunzioni”.
Per l’analisi completa della questione, con il quadro normativo di riferimento, il commento sulla sentenza 21972, sulla giurisprudenza precedente e quellasuccessiva, scarica il documento dei Commercialisti.
Foto: Bergamo Post
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