Ecco la nostra selezione settimanale delle sentenze pubblicate la scorsa settimana. Gli argomenti oggetto delle pronunce sono: destinazione di un’area a verde agricolo, permesso di costruire per la chiusura di un porticato, esclusione dal calcolo della volumetria dei volumi tecnici, realizzazione di un piazzale con terreno di risulta, approvazione del piano urbanistico.
Area a verde agricolo, destinazione e finalità
Estremi della sentenza: TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 16 marzo 2018, n. 318
Massima: la destinazione di un’area a verde agricolo non deve rispondere necessariamente all’esigenza di promuovere specifiche attività di coltivazione, e quindi essere funzionale ad un uso strettamente agricolo del terreno, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell’ordinato governo del territorio, tra le quali la necessità di impedire ulteriori edificazioni o un congestionamento delle aree, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, compensando gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano
La consolidata giurisprudenza ha affermato, sulla funzione delle aree agricole, che:
– all’interno della pianificazione urbanistica possono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi (Consiglio di Stato, sez. V – 9/9/2013 n. 4472);
– per costante giurisprudenza, la destinazione di un’area a verde agricolo non deve rispondere necessariamente all’esigenza di promuovere specifiche attività di coltivazione, e quindi essere funzionale ad un uso strettamente agricolo del terreno, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell’ordinato governo del territorio, tra le quali la necessità di impedire ulteriori edificazioni o un congestionamento delle aree, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, compensando gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano (cfr., ex multis, T.A.R. Marche – 22/9/2017 n. 722; Consiglio di Stato, sez. IV – 28/6/2016 n. 2897; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV – 7/3/2014 n. 1430; Consiglio di Stato, sez. IV – 12/2/2013 n. 830; 27/1/2012 n. 425);
– anche laddove si fosse al cospetto di aree ampiamente urbanizzate, non per questo se ne può escludere la rilevanza dal punto di vista ambientale, poiché tali dati di fatto si prestano a far emergere un interesse alla conservazione del suolo inedificato, per ragioni di compensazione ambientale (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II – 21/2/2017 n. 434).
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Piazzale con terreno di risulta: attività edilizia libera?
Estremi della sentenza: TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, sent. 15 marzo 2018, n. 650
Massima: la realizzazione di un piazzale mediante l’apporto di circa 630 mc. di terreno di risulta non rientra nell’ambito dell’attività edilizia libera
La movimentazione di terra rientra nell’attività edilizia libera solo se “strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali” (art. 6, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 380 del 2001); dunque, la realizzazione di un piazzale mediante l’apporto di circa 630 mc. di terreno di risulta non può essere qualificato in termini di opere di “pavimentazione e finitura degli spazi esterni”, in quanto tale attività determina una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio (Cass. Pen., Sez. III, 15 novembre 2016, n. 1308).
Approvazione piano urbanistico con consiglieri in conflitto di interessi
Estremi della sentenza: TAR Sardegna, sez. II, sent. 12 marzo 2018, n. 210
Massima: legittima l’approvazione per parti separate del piano urbanistico in caso di presenza di consiglieri comunali in conflitto di interesse
È legittimo l’atto di pianificazione generale sia stata adottato dal Consiglio Comunale sulla base di votazioni frazionate, al fine di evitare che un possibile conflitto di interessi del Sindaco e di alcuni consiglieri possa inficiare la legittimità della deliberazione ai sensi dell’art. 78 D. Lgs. n. 267 del 2000: tale modalità procedimentale, in quanto non espressamente vietata, deve ritenersi corretta.
Tale soluzione, del resto, appare ragionevole e realistica se si tiene presente la situazione dei piccoli comuni in cui gran parte dei consiglieri e loro parenti e affini sono proprietari di terreni incisi dalle previsioni urbanistiche, posto che, ove non si consentisse detta votazione frazionata, sarebbe sostanzialmente impossibile per detti comuni procedere all’approvazione dello strumento urbanistico generale.
Ne conseguirebbe altresì una violazione del principio di democraticità, in quanto la formazione degli strumenti urbanistici, nei predetti comuni, non sarebbe quasi mai riconducibile alla scelta della collettività locale, ma a quella di organo esterno – il commissario “ad acta” – che necessariamente dovrebbe intervenire in via sostituiva. Il piano urbanistico comunale deve qualificarsi atto a contenuto unitario.
La manifestazione di volontà a contenuto approvativo deve necessariamente comprendere anche una fase conclusiva, comportante l’esame, la discussione ed infine la votazione e l’approvazione, secondo le regole proprie delle deliberazioni degli organi collegiali, del documento pianificatorio nel suo complesso.
Né tale votazione complessiva da parte di tutti i componenti del Consiglio comunale, ivi compresi i consiglieri che si sono astenuti su singoli punti del disegno pianificatorio per una correlazione diretta ed immediata con gli specifici interessi di questi ultimi, può ritenersi preclusa dall’art. 78 cit..
La “ratio” dell’art. 78, costituita dall’esigenza di evitare situazioni di conflitto di interesse dei consiglieri comunali deve ritenersi sufficientemente garantita, in quanto il consigliere “interessato”, per quanto riguarda la scelta pianificatoria che riguarda i suoi interessi, non è più in condizione di influire, almeno direttamente, sulla stessa in sede di votazione finale, posto che in ordine alla stessa questione si è già formato il consenso senza la sua partecipazione (in termini T.A.R. Sardegna 6.10.2008, n. 1815).
Volumi tecnici: esclusione dal calcolo della volumetria
Estremi della sentenza: TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 12 marzo 2018 n. 1517
Massima: i volumi tecnici degli edifici, in forza delle loro caratteristiche, sono esclusi dal calcolo della volumetria
Secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza, per volumi tecnici devono intendersi i locali completamente privi di una autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinati a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa (Consiglio Stato, sez. IV, 4 maggio 2010 , n. 2565; T.A.R. Sicilia – Palermo Sez. I – sentenza 9 luglio 2007, n. 1749; T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. II, 4 aprile 2002 n. 1337) ed, in particolare, quei volumi strettamente necessari a contenere ed a consentire l’ubicazione di quegli impianti tecnici indispensabili per assicurare il comfort degli edifici, che non possano, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti, essere inglobati entro il corpo della costruzione realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche (T.A.R. Puglia – Lecce, Sez. III – sentenza 15 gennaio 2005 n. 143; T.A.R. Puglia – Bari sentenza n. 2843/2004).
Per l’identificazione della nozione di volume tecnico, va fatto riferimento a tre ordini di parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, dovendo avere un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione; il secondo ed il terzo negativi, ricollegati: – all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono essere ubicate all’interno della parte abitativa; – ad un rapporto di necessaria proporzionalità che deve sussistere fra i volumi e le esigenze edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere gli impianti serventi di una costruzione principale stessa.
I volumi tecnici degli edifici, in forza delle loro caratteristiche, sono esclusi dal calcolo della volumetria (T.A.R. Puglia – Lecce, Sez. III – sentenza 15 gennaio 2005 n. 143; T.A.R. Puglia – Bari sentenza n. 2843/2004).
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Chiusura di un porticato: permesso di costruire?
Estremi della sentenza: TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 13 marzo 2018, n. 386
Massima: per la chiusura di un porticato serve il permesso di costruire
Come affermato in precedenza dalla giurisprudenza, “Un porticato terrazzato chiuso lateralmente su due lati e destinato a ospitare arredi fissi configura un organismo edilizio avente natura e consistenza tali da ampliare in superficie o volume l’edificio preesistente e, pertanto, per la sua realizzazione è necessario ottenere un permesso di costruire” (T. A. R. Calabria – Catanzaro, Sez. I, 10/11/2012, n. 1087); “La tamponatura di un porticato – e pertanto, a fortiori, la realizzazione ex novo di un porticato tamponato – dà vita ad un nuovo volume edilizio entro il perimetro di uno spazio in origine aperto, quale quello ricompreso nel porticato, per cui se diviene un volume chiuso con pareti fisse, come tale è rilevante ai sensi dell’art. 3 comma 1, lett. e.1, d. P. R. 6 giugno 2001 n. 380 (e già prima art. 1 l. n. 10 del 1977) sul piano edilizio ed urbanistico” (T. A. R. Liguria, Sez. I, 11/07/2011, n. 1086).
In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it
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