Tettoie e dehors in aree esterne: la giurisprudenza chiarisce requisiti e autorizzazioni

Una recente sentenza del TAR Campania offre lo spunto per indagare sulla qualificazione giuridica di alcune tipiche strutture realizzate in aree esterne e sull’individuazione del titolo edilizio necessario.

Mario Petrulli 09/12/24

La recente sent. 19 novembre 2024, n. 2196, del TAR Campania, Salerno, sez. II, ci offre lo spunto per indagare sulla qualificazione giuridica di alcune tipiche strutture realizzate in aree esterne e sull’individuazione del titolo edilizio necessario.

In particolare, nel caso specifico, i giudici campani si sono soffermati su tettoie e dehors.
 
>> Ti interessano articoli come questo? Clicca qui per riceverli direttamente

Indice

Consigliamo:

FORMATO EBOOK

Gli interventi edilizi per opere precarie e gli arredi da esterni

Utilizzare al meglio gli spazi esterni è una legittima aspirazione di ogni proprietario e, normalmente, ciò avviene tramite l’installazione di strutture leggere idonee allo scopo: pergolati, tettoie, gazebo ed altri elementi di arredo. Ma quanti si domandano, prima di procedere, se sia necessario o meno premunirsi di un idoneo titolo abilitativo? La presente guida, aggiornata con le ultime novità normative (da ultimo la Legge n. 105/2024, c.d. SALVA CASA) e giurisprudenziali, si pone lo scopo di fornire la definizione delle diverse tipologie di installazioni possibili negli spazi esterni e di individuare il relativo titolo edilizio necessario alla luce della giurisprudenza più recente e del dato normativo: solo così, infatti, sarà possibile evitare errori e conseguenti sanzioni. Lo stile agile e veloce, l’utilizzo di un linguaggio chiaro, unitamente alle immagini e alla rassegna della casistica più interessante rappresentano le caratteristiche del presente volume, utile per professionisti e operatori del diritto, oltreché per tutti coloro che hanno la legittima aspirazione di migliorare i propri spazi esterni. La presente edizione contiene anche una trattazione degli interventi in regime di edilizia libera nelle regioni italiane a statuto ordinario e in quelle a statuto speciale, ivi comprese le Province Autonome di Trento e Bolzano. Mario Petrulli,Avvocato, esperto in edilizia, urbanistica e diritto degli enti locali; collabora con siti giuridici (tra i quali www.ediliziaurbanistica.it) e società di consulenza; è coautore, insieme ad Antonella Mafrica, di pubblicazioni per Maggioli Editore. Titolare dello Studio legale Petrulli (www.studiolegalepetrulli.it)

Mario Petrulli | Maggioli Editore 2024

Le tettoie

Come è noto, e come ribadito dai giudici campani, in materia di tettoie il principio generale sostiene che “gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture analoghe che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire solo laddove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell’immobile cui accedono” e che “tali strutture necessitano del permesso di costruire quando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all’edificio e alle parti dello stesso su cui vengono inserite o, comunque, una durevole trasformazione del territorio con correlativo aumento del carico urbanistico[1].

Nel caso specifico, si era dinanzi ad una tettoia di rilevanti dimensioni, che presentava una chiusura perimetrale comportante una delimitazione dello spazio interno, suscettibile di arrecare un significativo impatto volumetrico sul territorio, ovvero un’evidente alterazione dello stato dei luoghi incidente sull’assetto edilizio precedente, con necessità del permesso di costruire[2].

Tra la casistica recente, ad esempio, segnaliamo che è stata ritenuta una nuova costruzione, richiedente il permesso di costruire, una tettoia che si presenta aperta su due lati, poggiando gli altri due su murature in cls, dando vita ad un manufatto avente una propria autonomia funzionale non riconducibile al concetto di pertinenzialità[3]. In altre parole, l’ampia estensione della superficie coperta di una tettoia già di per sé esclude in radice la natura meramente pertinenziale delle opere[4].

Non è richiesto, invece, il permesso dinanzi alle cc.dd. tettoie leggere non tamponate lateralmente su almeno tre lati, prive di autonomia e realizzate per “valorizzare la fruizione al servizio dello stabile, ponendo un riparo temporaneo dal sole, dalla pioggia, dal vento e dall’umidità che rende più gradevole per un maggior periodo di tempo la permanenza all’esterno, senza peraltro creare un ambiente in alcun modo assimilabile a quello interno, a causa della mancanza della necessaria stabilità, di una idonea coibentazione termica e di un adeguato isolamento dalla pioggia, dall’umidità e dai connessi fenomeni di condensazione[5].

I dehors

La seconda tipologia di strutture analizzata dai giudici campani era quella dei dehors, consistenti, nel caso specifico, in installazioni chiuse parzialmente o totalmente appoggiate ad un fabbricato esistente ovvero separate con struttura autonoma, ma comunque collegate funzionalmente ad un pubblico esercizio di somministrazione, ad un laboratorio artigianale di preparazione di prodotti da asporto o, comunque, per tutte le attività che effettuano consumo immediato di alimenti, dotato di bagno per gli avventori.

Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa, “i dehors, strutture a servizio di attività commerciali installate su suolo pubblico, che di fatto assumono una consistenza che varia dalla semplice tenda, o ombrellone ad ampie falde, al box munito di infissi chiusi tipo veranda, possono essere installati liberamente ove rispondano alle caratteristiche di cui all’art. 6, comma 1, lett. e-bis), del d.P.R. n. 380 del 2001, dovendo quindi possedere due caratteristiche: uno funzionale, consistente cioè nella finalizzazione alle esigenze dell’attività, che devono tuttavia essere «contingenti e temporanee», intendendosi per tali quelle che, in senso obiettivo, assumono un carattere ontologicamente temporaneo, quanto alla loro durata, e contingente, quanto alla ragione che ne determina la realizzazione, e che in ogni caso (cioè quale che ne sia la «contingenza» determinante), non superano comunque i centottanta giorni (termine che, è bene ribadirlo, deve comprendere anche i tempi di allestimento e smontaggio, riducendosi in tal modo l’uso effettivo ad un periodo inferiore ai predetti 180 giorni); l’altro strutturale, ovvero l’avvenuta realizzazione con materiali e modalità tali da consentirne la rapida rimozione una volta venuta meno l’esigenza funzionale (e quindi al più tardi nel termine di centottanta giorni dal giorno di avvio dell’istallazione, coincidente con quello di comunicazione all’amministrazione competente)[6].

Nel caso specifico, sebbene i dehors rispettassero il termine di mantenimento in essere dei 180 giorni previsti dal regolamento, i giudici hanno ritenuto che le strutture non potessero ritenersi meri elementi precari, in ragione delle caratteristiche edificatorie proprie delle strutture, dal forte impatto sullo stato dei luoghi.

Con riferimento ai dehors, è pacifico l’orientamento della giurisprudenza secondo cui tali strutture funzionali a soddisfare esigenze permanenti del pubblico esercizio, vanno considerati alla stregua di manufatti che alterano lo stato dei luoghi ed incrementano il carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, dovendo invece valutarsi l’utilizzo per fini contingenti, per soddisfare esigenze durature nel tempo, per attività non stagionale[7]. Fra la casistica, ad esempio, ricordiamo che è stato affermato che non è un manufatto precario ma un intervento di nuova costruzione necessitante del permesso di costruire una struttura in ferro “tipo Dehors” di forma rettangolare, pari a circa 54 mq e di altezza pari a 2,40 mt, con copertura a padiglione in pvc, poggiante su pedana in muratura di spessore di circa 20 cm, chiusa da porte e finestre a vetro scorrevoli[8].

Note

[1] Ex plurimis: TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 13 luglio 2022, n. 4706.
[2] TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 12 marzo 2020, n. 363.
[3] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 3 aprile 2024, n. 3031.
[4] TAR Campania, Salerno, sez. I, sent. 23 novembre 2023, n. 2714.
[5] Consiglio di Stato, sez. VII, sent. 28 agosto 2023, n. 7999; sez. VI, sent. 3 aprile 2024, n. 3031.
[6] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 13 febbraio 2023, n. 1489.
[7] TAR Toscana, sez. III, sent. 17 aprile 2018, n. 556.
[8] TAR Toscana, sez. III, sent. 3 dicembre 2020, n. 1583.

In collaborazione con studiolegalepetrulli.it

Seguici anche sul nostro nuovo Canale Telegram!

Iscriviti alla newsletter Tettoie e dehors in aree esterne: la giurisprudenza chiarisce requisiti e autorizzazioni aoqzlwlnnk1v21gh
Iscrizione completata

Grazie per esserti iscritto alla newsletter.

Seguici sui social


Mario Petrulli

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento