Tettoia con telo di plastica ritraibile, quale autorizzazione serve

Se c’è anche chiusura perimetrale cambia qualcosa? Dipende dal tipo di tenda o PVC? Lo spieghiamo nella rassegna sentenze della settimana

Mario Petrulli 16/06/21

In apertura della nostra rassegna sentenze settimanale per le materie dell’edilizia e dell’urbanistica, troviamo: tettoia con telo di plastica ritraibile, quale autorizzazione serve? E per una tettoia di rilevanti dimensioni, serve permesso di costruire? Mancata realizzazione dell’intervento edilizio assentito, gli oneri concessori vanno restituiti?

E ancora: ordine di demolizione, è atto vincolato? Occupazione di suolo pubblico, la concessione equivale a permesso di costruire?

Per una panoramica su permessi di costruire, SCIA, sanatorie paesaggistiche, condoni edilizi e ambientali, senza incappare in errori e multe, consigliamo Come sanare gli abusi edilizi di Nicola D’Angelo, con casi concreti, formulario, giurisprudenza, tabelle e schemi esemplificativi.

Tettoia con telo di plastica ritraibile, quale autorizzazione serve

TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 31 maggio 2021, n. 3613

Un manufatto con copertura in telo di plastica ritraibile, poggiante su 5 pilastrini di sostegno verticale bullonati al suolo e 3 orizzontali, è qualificabile come pergotenda e non richiede il permesso di costruire

Un manufatto che si presenta per tre lati circoscritto da teli in plastica trasparente e ricoperto da una tenda anch’essa in materiale plastico ritraibile, poggiante su 5 pilastrini di sostegno verticale bullonati al suolo e 3 orizzontali, appare privo di quelle caratteristiche di consistenza e di rilevanza che possano connotarlo in termini di un nuovo organismo edilizio idoneo a determinare una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e, quindi, necessitare del previo rilascio del titolo edilizio.

Tanto si ricava pure dalla giurisprudenza (C. Stato, IV, 1.7.2019, n. 4472), stante la quale “…per configurare una c.d. “pergotenda”, in quanto tale non necessitante di titolo abilitativo, occorre che l’opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.

Non è invece configurabile una pergotenda se la struttura principale è solida e permanente e, soprattutto, tale da determinare una evidente variazione di sagoma e prospetto dell’edificio (Cons. Stato, sez. VI, 5 ottobre 2018 n.5737).”

Ma anche recentissima Cons, Stato, VI, 27 aprile 2021, n. 3393 secondo cui: “Non è necessario il rilascio del permesso di costruire, e conseguentemente è illegittimo il relativo ordine di demolizione adottato, per l’istallazione di una pergotenda qualora non siano state realizzate tamponature o alterazioni di sagome e prospetti, né sia stato creato alcun nuovo ambiente stabile o incremento di superfici o di volume e la copertura e la parziale chiusura perimetrale non si rivelino stabili e permanenti, a motivo del carattere retrattile delle tende.”

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Tettoia di rilevanti dimensioni, serve permesso di costruire?

TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 31 maggio 2021, n. 1357

Serve il permesso di costruire per una tettoia di rilevanti dimensioni

Serve il permesso di costruire per una tettoia avente la superficie di ben 115,00 mq. ed un’altezza media di 2,50 mq., costituita da plinti in cemento armato, travi in ferro, copertura in legno e due pareti perimetrali in calcestruzzo.

Tale manufatto, tenuto conto delle suddette caratteristiche costruttive e dimensionali, non può qualificarsi quale mera pertinenza del fabbricato “principale”, essendo idoneo ad alterare il preesistente assetto urbanistico edilizio del territorio, aggravandone il carico, ed avendo un autonomo valore di mercato rispetto al fabbricato medesimo (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 17/09/2020, n. 1174).

In assenza del permesso di costruire, l’ordinanza di demolizione conseguente si appalesa legittima in quanto coerente con la natura dell’abuso edilizio perpetrato (“nuova costruzione”): ciò in conformità a quel costante orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui la nozione “urbanistica” di pertinenza edilizia, risultante dal disposto di cui alla lettera e.6) dell’art. 3 D.P.R. n. 380/2001, differisce profondamente da quella civilistica.

Guida alle pratiche amministrative
Dal permesso di costruire a SCIA e CILA 

Mancata realizzazione dell’intervento edilizio assentito, gli oneri concessori vanno restituiti?

TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 31 maggio 2021, n. 3647

Se l’intervento edilizio non viene realizzato, l’interessato ha diritto alla restituzione degli oneri versati

Come affermato dalla giurisprudenza, “Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt. 2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (cfr: CS, V, 2.02.1988 n. 105, 12.06.1995 n. 894 e 23.6.2003 n.3714; TAR Lombardia, Sez. II°, 24.03.2010, n. 728 e TAR Abruzzo 15.12.2006 n. 890, TAR Parma 7.04.1998 n. 149)” (TAR Sicilia, Sez. I Catania, n. 159/2013)” – Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione Autonoma di Bolzano, sent. 13/3/20 n. 73.

Conseguentemente, se l’intervento edilizio non viene realizzato, l’interessato ha diritto alla restituzione degli oneri versati, comprensivi degli interessi dalla data di proposizione della domanda giudiziale.

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Ordine di demolizione, è atto vincolato?

TAR Calabria, Reggio Calabria, sent. 1° giugno 2021, n. 508

L’ordine di demolizione è atto vincolato

Secondo il granitico orientamento della giurisprudenza amministrativa (da ultimo, Consiglio di Stato sezione II 22/01/2020, n. 540), l’ordine di demolizione è atto vincolato, che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né tantomeno una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione.

In sostanza, una volta verificato che un manufatto sia stato realizzato in assenza di titolo o in difformità da esso, l’amministrazione ha il dovere di adottare il provvedimento di rimozione degli abusi compiuti, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore.

Va, dunque, ribadito come il provvedimento di repressione degli abusi edilizi rappresenti un atto dovuto che essendo, come detto, riconducibile ad esercizio di potere vincolato, non richiede una particolare motivazione, essendo sufficiente la mera descrizione delle opere realizzate e l’individuazione della normativa legislativa e regolamentare violata.

La giurisprudenza amministrativa precisa poi che la motivazione dei provvedimenti finalizzati alla repressione degli abusi edilizi, è adeguata e sufficiente qualora contenga la puntuale descrizione delle opere abusive e la constatazione della loro abusività (cfr. sul punto Consiglio di Stato, A.P., 17 ottobre, n. 2017, n. 9 e Consiglio di Stato, sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7094).

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Occupazione di suolo pubblico, la concessione equivale a permesso di costruire?

TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sent. 3 giugno 2021, n. 6533

Il provvedimento di concessione di occupazione di suolo pubblico non può valere quale permesso di costruire

Come reiteratamente chiarito dall’univoca giurisprudenza, il titolo edilizio è necessario per la collocazione sul suolo di manufatti non precari e destinati alla stabile fruizione (in termini, vedasi T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I , 26/07/2020 , n. 1888; T.A.R. Puglia, Lecce , sez. I , 19/04/2019 , n. 666) e va tenuto distinto dal titolo che è necessario per l’occupazione del suolo stesso, che ha natura concessoria (di area pubblica; cfr. T.A.R. Lazio, Roma , sez. II , 20/03/2015 , n. 4399).

Ne deriva che il provvedimento di concessione di occupazione di suolo pubblico non può valere quale permesso di costruire, in quanto è rilasciato con esclusivo riferimento all’accertamento della possibilità in concreto di sottrarre l’area all’uso pubblico ed indifferenziato della collettività per destinarla ad un uso singolo e commerciale, mentre il titolo edilizio attiene alla coerenza urbanistica con le norme di costruzione (valevoli anche per manufatti prefabbricati o di semplice realizzazione) così che (salvo che l’Amministrazione non scelga di organizzare i relativi procedimenti in maniera coordinata e contestuale, circostanza che non sussiste nel caso di specie) il primo non esime dal conseguimento del titolo abilitante all’edificazione (T.A.R. , Roma , sez. II , 02/11/2017 , n. 10933).

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In collaborazione con: www.studiolegalepetrulli.it

Foto: iStock/Dontstop

Mario Petrulli

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