Formatore per la sicurezza, come si comunica attivamente col lavoratore?

Danilo Rigoli 17/10/19

Già nei mesi di giugno e luglio abbiamo parlato sia di formazione, esplicitando la figura del formatore come attore della sicurezza con le sue difficoltà e le resistenze psicologiche individuali, sia della formazione partecipata e delle modalità di colloquiare con l’uditorio.

Oggi continueremo a parlare dello stesso argomento avvertendo il lettore che questo scritto, senza alcuna velleità di usare tecnicismi di pura didattica, è solo il frutto di una personale e diretta esperienza sul campo.

Vediamo dunque in dettaglio alcuni utili consigli e le novità per chi si avvicina al mestiere di formatore o vuole migliorare il proprio profilo professionale!

Formatore per la sicurezza, quali funzioni ha e come comunica i concetti?

Premessa a parte, è noto che le nozioni devono necessariamente essere trasfuse agli intervenuti “misurando”, come detto negli articoli precedenti, il loro grado di cultura e il relativo interesse.

Infatti, per essere in sintonia con i discenti, il livello del flusso informativo varierà nella sua difficoltà allorquando ci troveremo di fronte a un insieme di soggetti che hanno una certa qualificazione giuridico-professionale, oppure a un altro gruppo più “semplice” a livello culturale.

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Pertanto, all’inizio dovremo necessariamente conoscere a chi ci rivolgeremo per poterci “allineare” e far meglio comprendere la materia che si sta insegnando.

Ma come fare per conoscere la platea? Dovremo acquisire informazioni generali sui presenti  di chi avremo in sala riuscendo, anche se in parte, a capire chi giudicherà la nostra lezione.

Come rivolgersi agli altri? Usa le modalità esperienziali!

Sicuramente, l’approfondimento pubblicato lo scorso mese di giugno su questo sito dal titolo «La difficoltà di comunicazione e le resistenze psicologiche individuali» è stata un’utile anticipazione del contenuto della parte attuale.

Ognuno di noi rappresenta un “mondo d’esperienze”, un insieme più o meno ordinato di pensieri, volontà, obiettivi personali, per cui nel caso di un seminario, questo potrà essere costituito da un 90% di soggetti che hanno le stesse aspettative e interessi, mentre il 10% o anche meno, sarà formato da conoscitori o esperti in altri settori che presenzieranno magari per curiosità.

Invece, nel mese di luglio scorso ho commentato nell’articolo «Le modalità di colloquiare con l’uditorio» un importante segmento dove si analizzava la gestione dell’aula e le relative problematiche di trasmissione dei concetti in un’ottica finalizzata a trovare quel giusto “canale di comunicazione”.

Occorre quindi ribadire che il dialogo tra conferenziere e spettatori dovrà essere impostato in maniera tale da soddisfare la necessità di accrescimento professionale attraverso termini giuridico-professionali, con una parte pratica (che non guasta mai!) e basata su esperienze professionali.

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Più difficile sarà la comunicazione con un insieme di soggetti che appartengono a diverse estrazioni culturali, si pensi ad esempio, al caso in cui vi troviate davanti a un medico il quale sciorini termini che voi, esperti in un altro settore, subite e poi dovrete necessariamente chiedere lumi perché non avete capito i vari passaggi e significati correlati. Ecco cosa accade quando non si allinea il contenuto del messaggio al grado culturale degli ascoltatori.

Quindi il conferenziere dovrà erogare i concetti incastonandoli in un livello di comunicazione che possa raggiungere la cultura media dei presenti.

In quest’ultimo caso ci si chiederà come si potrà fare. La risposta è semplice. Basterà inserire, all’inizio della conferenza, una sorta di sondaggio, chiedendo agli astanti di quale titolo di studio siano in possesso e che lavoro hanno intrapreso. Ovviamente, se il numero dei presenti sarà elevato, non tutti potranno rispondere e quindi tale accertamento dovrà essere fatto come si dice “a campione”.

I due esempi soprascritti saranno necessari al fine di erogare un’efficace formazione che avrà buone probabilità di essere compresa e, come si dice, farne tesoro per coloro che hanno partecipato all’incontro.

Come finalizzare al meglio la comunicazione? Obiettivi professionali

Abbiamo già detto, negli esempi che precedono, che la finalità della comunicazione è strettamente legata a un’erogazione della formazione chiara che lasci nell’ascoltatore lo spunto affinché inviti lo stesso a un approfondimento utile alla professione.

Quindi si dovranno condividere gli aspetti contenutistici delle informazioni concernenti anche l’organizzazione del lavoro.

Un grande aiuto potrà essere fornito dalle slide che saranno una guida per il docente ma non dovranno un’inutile ripetizione dell’argomento in trattazione; infatti, mi è capitato di assistere a lezioni dove il professore leggeva pedissequamente le schede senza spiegarne i concetti.

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È stato un vero disastro! A noi ascoltatori, alla fine, non è rimasto nulla. Sarebbe stato meglio fornire una dispensa da studiare a casa.

Perciò, tornando all’obiettivo della comunicazione, questa tenderà alla collaborazione e fiducia reciproca fra i diversi interlocutori finalizzata a un processo formativo.

Dovrà essere approfondita l’importanza dell’individuazione e rilettura delle dinamiche individuali e di gruppo, al fine di favorire il processo connesso ai presupposti andragogici [1] alternando il tutto con lavori di gruppo in aula sollecitando la creatività e la partecipazione attiva dei soggetti da formare.

Per quanto attiene agli obiettivi, questi dovranno essere presentati in forma tale da condurre a finalità dinamiche utili e non una sterile presentazione di una normativa di settore, che invece merita attenzione e rispetto.

Infine, segnalo una tesi di laurea dal titolo «La formazione esperienziale come strumento per la sicurezza sul lavoro». Questo scritto ha lo scopo di far capire se e come la formazione esperienziale possa migliorare la salute e la scurezza del luogo di lavoro [2].

Mi auguro di aver dato un contributo per chi dovrà, magari per la prima volta, rivolgersi a un pubblico che sarà sempre pronto a giudicare e, molte volte, a criticare l’operato degli altri.

[1] L’andragogia è una teoria dell’apprendimento ed educazione degli adulti nata nel 1980. Il termine è stato coniato in analogia con quello di pedagogia; esso deriva dal greco παῖς pais, bambino, e ἄγω ago, condurre. Si tratta di un modello incentrato sull’apprendimento degli adulti, che ha trovato in Malcolm Knowles il suo massimo esponente.

[2]  Vedi la Rivista on-line Punto Sicuro, del 18 maggio 2018.

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