Un intervento edilizio consistente nella ricostruzione di primo ambiente della porzione di volta in muratura di pietrame crollata, nel risanamento della volta a botte di un secondo ambiente, nella realizzazione di piattabande in c.a. su tutte le aperture esistenti, nella realizzazione di impermeabilizzazione all’estradosso e in interventi accessori non è riconducibile alla nozione di ristrutturazione edilizia ex lett. d) dell’art. 3, comma 1, D.P.R. n. 380/2001, quanto piuttosto a quella di risanamento conservativo di cui alla lett. c) del medesimo articolo.
Vediamo meglio questo caso concreto attraverso una recente sentenza.
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Indice
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Manuale per il restauro e la manutenzione delle facciate
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La sentenza
La riconducibilità dell’intervento sopra descritto a risanamento conservativo è stata evidenziata dal TAR Campania, Salerno, sez. II, nella sent. 3 ottobre 2024, n. 1789, non condividendo la tesi dell’ufficio tecnico comunale che riteneva di poter qualificare l’intervento in discorso in termini di ristrutturazione.
Ai sensi della disposizione da ultimo citata, si intendono per “interventi di restauro e di risanamento conservativo, gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio“.
La differenza fra ristrutturazione e restauro e risanamento conservativo
Come affermato dai giudici salernitani, il restauro o il risanamento conservativo è costituito da interventi di recupero che conservano le preesistenti strutture, assicurando il rispetto di tipologia, struttura e conformazione del manufatto, fondati cioè sul rispetto e mantenimento degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio, senza modifiche dell’identità, della struttura e della fisionomia dello stesso, e senza ampliamento dei volumi e delle superfici (l’aumento di superficie o di volumetria comporta, al contrario, una trasformazione dell’edificio che richiede il rilascio del permesso di costruire ed eccede i limiti della categoria d’intervento[1]).
La giurisprudenza è piuttosto chiara nel circoscrivere i parametri orientativi della categoria della ristrutturazione edilizia. Si assume, in linea di principio, che, nell’ambito applicativo della ristrutturazione edilizia, sono ricompresi quegli interventi “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente; tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”[2].
Per stabilire se un intervento vada ascritto all’ambito della ristrutturazione edilizia piuttosto che a quella del restauro o risanamento conservativo, occorre effettuare una valutazione complessiva e sistemica del medesimo, verificando se le opere realizzate abbiano comportato o meno il rinnovo di elementi costitutivi dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dello stesso, incompatibile con i concetti di restauro e risanamento conservativo che invece presuppongono la realizzazione di opere che lasciano inalterata la struttura originaria[3].
Affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia e non di risanamento conservativo, è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi ovvero l’ordine in cui erano disposte le diverse porzioni dell’edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d’uso esistente; ciò determina il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie[4].
La necessità della preesistenza dell’edificio
Se è vero che gli interventi di risanamento conservativo sono, per definizione normativa, esclusivamente quelli volti a “conservare” l’organismo edilizio esistente, ne deriva che, quando l’edificio crolla, non è possibile qualificare l’intervento di ricostruzione quale risanamento e restauro, ma quale intervento di ristrutturazione edilizia, ancorché finalizzati al ripristino della preesistente consistenza del fabbricato[5]. Ed infatti, l’art. 3, comma 1, lett. d), del Testo Unico Edilizia ha espressamente qualificato come di ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, a condizione che sia possibile accertarne la preesistente consistenza.
La giurisprudenza amministrativa ha, al riguardo, affermato che il restauro o il risanamento conservativo è costituito da interventi di recupero che conservano le preesistenti strutture, assicurando il rispetto di tipologia, struttura e conformazione del manufatto, e “presuppone concettualmente l’esistenza di un edificio sul quale intervenire, con la conseguenza che, qualora l’edificio stesso sia crollato, per fatto volontario o accidentale, la ricostruzione non potrebbe mai costituire restauro o risanamento conservativo (TAR Toscana, III, 8.3.2012, n. 437). Ne deriva che il venir meno dell’edificio diruto cui è riferito il progettato intervento di recupero ha determinato l’estinzione dell’oggetto della s.c.i.a. e l’impossibilità di eseguire l’opera ivi prevista; la ricostruzione dell’edificio crollato non potrebbe infatti ascriversi alla categoria del restauro o del risanamento, ma, semmai, a quella della ristrutturazione edilizia”[6].
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Note
[1] TAR Toscana, sez. III, sent. 29 novembre 2021, n. 1595; TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 7 giugno 2024, n. 3612; TAR Lazio, Roma, sez. II stralcio, sent. 16 febbraio 2024, n. 3160.
[2] TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 20 luglio 2022, n. 2107.
[3] Consiglio di Stato, sez. V, sent. 12 novembre 2015, n. 5184; TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 20 luglio 2022, n. 2107.
[4] Consiglio di Stato, sez. V, sent. 17 marzo 2014, n. 1326; sent. 17 luglio 2014, n. 3796, sez. IV, sent. 14 luglio 2015, n. 3505.
[5] TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 3 ottobre 2024, n. 1789.
[6] TAR Toscana, sez. III, sent. 25 giugno 2018, n. 934.
In collaborazione con studiolegalepetrulli.it
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