Indubbiamente il tema delle ristrutturazioni edilizie sarà prevalente rispetto alla pregressa era di selvaggia cementificazione estensiva dei suoli. La “Grisi” è riuscita da sola ad assestare un duro colpo al devastante fenomeno del consumo del suoli, riuscendo a rallentarlo senza provvedimenti normativi, apparendo così più efficiente del ns Parlamento che ancora discute in ritardo sulla bozza di legge in materia.
Quindi gli scenari alternativi al paradigma della Cementificazione speculativa diventeranno la Rigenerazione urbana e il recupero del patrimonio abitativo. Personalmente penso che sarebbe piuttosto opportuno parlare di “Rottamazione urbana” e “Rottamazione edilizia“, in quanto oggettivamente ci troviamo a confrontarci con un patrimonio edilizio assai diversificato, stratificato e soprattutto prevalentemente fatto male se comparato ai canoni odierni.
Lungi da me il titolo di “Rottamatore”, titolo più consono al mio conterraneo ex Presidente del Consiglio. Piuttosto ritengo sia giunto il momento che l’urbanistica italiana inizi davvero ad entrare nel set mentale che il patrimonio edilizio sia davvero riqualificato. Al netto del patrimonio edilizio edificato in epoca anteriore al 1942, sopravvissuto quasi tutto miracolosamente alla Guerra, quello realizzato in periodo postbellico non è poi tanto migliore: buona parte si è rivelato vulnerabile sotto il profilo sismico ed energivoro. Ecco quindi che emergerà sempre più la necessità di effettuare le cosiddette ristrutturazioni edilizie “pesanti”, sia finalizzate alla ricostruzione fedele sia alla sostituzione edilizia con altri organismi.
La ristrutturazione edilizia pesante
In questa sede vorrei porre il focus appunto sul termine della ristrutturazione edilizia pesante, cioè quelle che a livello nazionale il Testo Unico per l’Edilizia DPR 380/01 all’art. 10 c.1 lettera C assoggetta espressamente a Permesso di Costruire, esulando dalle sicure eccezioni derivanti dalle leggi regionali. Inutile rimarcare che la definizione di ristrutturazione edilizia generale (art. 3 c.1 lettera D del TUE), unitamente a quella di ristrutturazione edilizia “pesante”, sono state revisionate dal c.d. “Decreto del Fare” poi convertito in L. 98/2013.
La categoria di intervento di Ristrutturazione edilizia pesante è rimasta indenne anche alle modifiche dei regimi amministrativi del Decreto SCIA 2 Lgs. 222/2016. In questo termini è rimasta intatta la configurazione impostata dalla L. 98/2013, che riporto per inciso:
c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.
Su di essa preme fare focus, provando a fare una scomposizione per rendere più chiara una sua lettura, individuando quindi le sotto categorie che vi rientrano. La categoria di ristrutturazione edilizia pesante richiama automaticamente la definizione generale dell’art. 3 comma 1 lettera D del TUE, ovvero si compie in presenza di un insieme sistematico di opere. Ciò non va confuso quando si è in presenza di “operette” di modesta entità, che nulla hanno di sistematico e sul quale potrebbe essere perfino discrezionale cercarne una delimitazione.
Le caratteristiche delle ristrutturazione pesante
Come prima condizione necessaria, sono quindi interventi di ristrutturazione edilizia (pesanti) quelli che:
- comportano la trasformazione dell’organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”;
Come seconda condizione (et) sono interventi di ristrutturazione edilizia pesanti se, oltre alla precedente condizione, si sommano le seguenti casistiche comportanti:
- modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti;
- mutamenti della destinazione d’uso limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A (centri e nuclei storici);
- modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi Codice dei Beni Culturali D.Lgs. 42/2004;
Affinché si possa rientrare nella ristrutturazione edilizia pesante è necessario che le due condizioni si avverino congiuntamente. Questo aspetto della congiunzione letterale (et) è pure rimarcato dalla giurisprudenza amministrativa, la quale evidenzia il tenore letterale della disposizione dell’art. 10 del TUE (Cons. di Stato VI n. 4267/2016).
Possono infatti presentarsi casi di modifiche di prospetto in cui non vi sia sistematico insieme di opere, che neppure portano l’organismo ad una configurazione in tutta o in parte diversa. Queste casistiche non possono neppure essere ricomprese nel restauro e risanamento conservativo, recentemente modificato per consentirne i mutamenti di destinazione d’uso (condizionati), posto che quest’ultime sono basate anch’esse sull’insieme sistematico di opere modificanti l’organismo edilizio.
Considerato quanto sopra, ritengo siano maturi i tempi per un chiarimento in sede legislativa; tali aspetti sono sfuggiti pure alle maglie fini dell’Allegato del Decreto SCIA 2, che tanto ha fatto per individuare con dettaglio le ipotesi di intervento, ma che al suo interno racchiude diversi “bug” e refusi.
La possibile soluzione che viene da consigliare ai diretti interessati potrebbe venire dalla distinzione della ristrutturazione edilizia “ricostruttiva” da quella meramente “conservativa”, come già avviene in Toscana con la L.R. 65/2014. Sono sempre più convinto che in questo settore sia meglio normare meno e meglio, piuttosto di portare avanti la convinta pretesa di normare ogni elemento edilizio.
Chi vuol esser lieto, sia.
Articolo a cura dell’Ing. Carlo Pagliai
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