Rischio idrogeologico, l’approccio ingegneristico non funziona: come cambiare strada?

Nell’ambito dei lavori del Congresso nazionale dei Geologi che si è svolto a Napoli a fine aprile, e in particolare dei dodici tavoli tematici che hanno  sviluppato documenti programmatici e proposte normative, il Tavolo Dissesti ed Alluvioni ha analizzato le criticità lungo tutto il territorio nazionale per definire delle proposte operative per la prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico.

È indubbio che le esperienze degli eventi alluvionali dell’ultimo decennio ci abbiano insegnato un nuovo modo di intendere la cosiddetta difesa del suolo. L’approccio di tipo ingegneristico al rischio idrogeologico adottato finora non ha dato e non può dare risposte concrete, le semplici equazioni frana=muro e esondazione=argine non possono risolvere il problema, perché i fenomeni sono complessi e soluzioni così semplici possono anche diventare un nuovo problema.

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Gli “Indirizzi per la progettazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico” dell’Unità di Missione “Italiasicura”, di prossima pubblicazione, vanno proprio in questo senso, ovvero prevedere anche gli effetti delle opere che si vanno a progettare.

In questa ottica i lavori del tavolo hanno sviluppato soluzioni che partono dall’analisi di cosa non ha funzionato, anche nella applicazione di buone Leggi come la L.183/89, inserendo il tutto in un contesto europeo. Prima considerazione, gli eventi vanno “gestiti”, trovando quella giusta dose di interventi sia strutturali che non strutturali, ammettendo che esiste un rischio residuo, ricordando anche che la cosiddetta “messa in sicurezza” non esiste, dobbiamo creare delle aree di pertinenza idro-geomorfologica dove si lascia il territorio evolversi naturalmente, delocalizzando eventuali opere antropiche.

La conformazione morfologica del nostro territorio non permette di distinguere nettamente rischio idraulico (esondazioni) dal rischio geomorfologico (frane) che molto spesso sono intimamente legati, un esempio per tutti i fenomeni conosciuti come colate rapide; bisogna quindi necessariamente introdurre pericolosità e rischio idro-geomorfologico nei Piani delle Autorità di Bacino distrettuali che tengano conto dei fenomeni complessi di interazione tra versanti e corsi d’acqua e relative interazioni con le opere antropiche e le persone, definendo così scenari di pericolosità reali. Scenari che mancano in gran parte dei Piani di Emergenza comunali, con conseguenze che possono diventare tragiche.

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Proponiamo anche la definizione di linee guida per la gestione dei sedimenti nei bacini idrografici, aspetto ampiamente sottovalutato finora, così come la definizione di un testo unico sulla difesa del suolo che vada a chiarire i molti aspetti controversi dell’intricato ginepraio di norme.

Ricordiamo, infine, la cronica mancanza di personale qualificato negli Enti, per una corretta gestione del territorio e degli eventi, c’è bisogno di cura e gestione del territorio, c’è bisogno di soluzioni, le nostre proposte ci sono, i geologi preparati anche, è giunta l’ora di mettere la nostra professionalità a disposizione di una società civile che non può pensare a investire in un territorio che frana sotto ai piedi, gli Uffici geologici territoriali devono diventare una realtà.

Il Tavolo “Dissesti ed Alluvioni”, che ho coordinato, ha visto l’impareggiabile partecipazione dei colleghi Marcello Brugioni, Tiziana Guida, Anna Rita Bernardi, Lorenzo Benedetto, Giancarlo Boscaino e Roberto Cavazzana e di tutti i colleghi intervenuti.

Carlo Malgarotto

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