Il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ritorna sul tema della riforma del lavoro e della limitazione dell’utilizzo delle partite Iva. La riforma prevederebbe la riduzione al minimo delle possibilità di ricorrere alle partite Iva nel mondo dell’occupazione, per bilanciare la modifica dell’articolo 18 e contrastare il ricorso a forme contrattuali precarie.
A tal proposito, gli Architetti protestano: molti studi sono di piccole dimensioni e non si possono permettere di assumere. Il Cnappc contesta la riforma del lavoro, che conterrà norme per evitare utilizzi impropri della partita Iva: si intenderebbe includere gli iscritti agli Albi tra coloro che, nel caso lavorassero per oltre sei mesi per il 75% per un medesimo cliente o utilizzandone le strutture e le attrezzature, dovrebbero essere assunti come dipendenti. Il Cnappc ribadisce la sua assoluta contrarietà.
Tale norma tenta, secondo le intenzioni del governo, di limitare il proliferare di finte partite IVA.
Ma l’applicazione della norma, secondo gli Architetti italiani, creerebbe gravissimi danni all’intera categoria professionale, in termini di disoccupazione e di marginalizzazione dal mercato.
Dichiara il Consiglio nazionale: “Già ora sta crescendo la disoccupazione degli architetti: infatti, secondo i dati Cresme, in tre anni è più che raddoppiata, passando dal 7,4% del 2008 al 16% del 2010. La struttura media degli studi di architettura italiani – assai piccola, tra due e quattro addetti – riesce ancora a reggere perché si basa sulla cooperazione in team tra titolari e collaboratori con un approccio culturalmente assai distante dal rapporto datore di lavoro/dipendente. Ancora qualche dato: secondo Almalaurea 2011, ad un anno dalla laurea hanno un rapporto professionale “atipico”, ma comunque contrattualizzato, il 46,8% dei giovani architetti; questo dato scende al 15% cinque anni dopo la laurea, perché la stragrande maggioranza ha a quel punto avviato una attività professionale stabile, oppure ha un contratto di lavoro subordinato. I rapporti non contrattualizzati ad un anno dalla laurea, fenomeno questo di grave malcostume, interessano il 14% dei laureati per scendere a un fisiologico 2% dopo cinque anni. Tutto ciò in un quadro in cui a cinque anni dalla laurea 3 architetti su 4 sono professionisti autonomi e 1 su 4 dipendenti a tempo determinato”.
Il provvedimento colpirebbe l’intera categoria, ma solo il 2% degli iscritti è vittima di trattamenti vessatori: il fenomeno delle false partite iva tra gli iscritti all’albo è marginale. I numeri dimostrano che la crisi del settore colpisce non solo i redditi ma anche nell’occupazione; i primi cinque anni post laurea sono principalmente dedicati – per il 60% degli architetti – ad acquisire quell’esperienza che li porta a diventare liberi professionisti o dipendenti con una occupazione stabile.
Continua e conclude il consiglio: “Combattere il fenomeno dei rapporti non contrattualizzati è una priorità del Consiglio Nazionale: esso va gestito non stravolgendo l’assetto della professione bensì aumentando la vigilanza disciplinare sul fenomeno. Invitando, ad esempio, i colleghi a segnalare le situazioni vessatorie agli Ordini provinciali e creando le condizioni per rendere più facile creare strutture associate, cooperative e societarie. La risposta alla carenza di lavoro non può venire che da politiche di rilancio dell’architettura con progetti come RIUSO, favorendo l’accesso ai concorsi e rimuovendo gli ostacoli burocratici al processo edilizio purchè consono alle norme. Viceversa un intervento che preveda una assunzione obbligatoria indurrebbe un forte aumento di architetti disoccupati, in particolare giovani e donne, già di per se stessi soggetti deboli”.
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