L’articolo 677 c.p. disciplina le responsabilità del proprietario di un edificio o di chi è obbligato alla sua conservazione o vigilanza in caso di minaccia di rovina della costruzione. La norma dispone che, qualora il responsabile non provveda all’esecuzione dei lavori necessari per eliminare il pericolo, si applichi una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 154 e 929 euro.
Tale sanzione è estesa anche al caso in cui il soggetto obbligato ometta di intervenire per rimuovere un pericolo già verificatosi a seguito della rovina dell’edificio. Se il mancato intervento genera un pericolo per le persone, il responsabile è punito con l’arresto fino a sei mesi, oppure l’ammenda non inferiore a 309 euro.
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Le responsabilità dell’amministratore di condominio
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Amministratore e condomini: chi risponde in caso di pericolo?
La norma distingue tra situazioni che comportano solo una potenziale minaccia per la costruzione (sanzione amministrativa) e quelle in cui il pericolo diventa concreto e coinvolge la sicurezza delle persone (sanzione penale). Questo approccio mira a tutelare sia la stabilità degli edifici sia la pubblica incolumità, sottolineando l’importanza di una gestione responsabile.
In ambito condominiale l’amministratore di condominio ha un obbligo di garanzia sulla sicurezza dell’edificio, sia per la tutela dei condomini che dei passanti. Tuttavia, questo non significa che debba automaticamente essere considerato responsabile ai sensi dell’articolo 677 c.p., né fungere da “scudo penale” per i proprietari dell’immobile. A tale proposito si segnala una recente decisione della Corte di Cassazione (sentenza del 19 marzo 2025 n. 14225). Questa sentenza ribadisce la responsabilità dei proprietari nel garantire la sicurezza dei caseggiati e nell’adempiere prontamente agli obblighi imposti dalle autorità al fine di tutelare la pubblica incolumità.
La vicenda
Il Tribunale di Napoli ha dichiarato due condomini responsabili della contravvenzione prevista dall’articolo 677 c.p., in quanto, in qualità di proprietari di appartamenti situati nel condominio, in stato di dissesto, non hanno eseguito i lavori necessari per eliminare il pericolo per la pubblica incolumità. Tali interventi erano stati imposti con diverse ordinanze sindacali ignorate dai destinatari. Concesse loro le attenuanti generiche, il Tribunale ha condannato ciascun condomino alla pena di 400 € di ammenda.
I soccombenti hanno sottoposto la questione alla Cassazione. In particolare i ricorrenti contestano, tra l’altro, una lacuna nella motivazione della decisione impugnata, sottolineando che il Tribunale avrebbe omesso di valutare un aspetto determinante: i lavori di ristrutturazione, sia ordinari che straordinari, non sono stati eseguiti perché un condomino ha impedito agli altri di conferire regolarmente mandato alle ditte incaricate. Tale circostanza, secondo i ricorrenti, avrebbe dovuto essere considerata dal giudice ai fini della valutazione della loro responsabilità, incidendo direttamente sulla possibilità di adempiere agli obblighi imposti.
In ogni caso, i soccombenti hanno sottolineato che, secondo la relazione della Direzione Centrale Ambiente e Tutela del Territorio, gli abusi edilizi perpetrati proprio dal condomino contrario ai lavori avevano danneggiato la facciata dell’edificio, causando la lesione sub verticale sull’architrave del balcone al primo piano. Tale danno aveva reso necessario l’intervento dell’ente territoriale, nonostante non fosse mai emerso un effettivo pericolo per la pubblica incolumità. Si aggiunge che era stata individuata una ditta per eseguire i lavori ma lo stesso condomino, rifiutandosi di versare l’importo corrispondente della quota lavori, aveva impedito l’esecuzione delle opere di ripristino. Inoltre si denuncia la mancata ammissione di un tecnico che avrebbe potuto riferire in ordine allo stato dei luoghi e alle responsabilità del condomino contrario ai lavori. Si lamenta infine che il Tribunale non aveva argomentato in ordine alla richiesta di applicazione della causa di non punibilità, ritualmente avanzata in considerazione della condotta collaborativa dei ricorrenti e della mancanza di un concreto disvalore sociale derivante dalla condotta.
La decisione
La Cassazione ha dato torto ai ricorrenti. Secondo i giudici supremi le ragioni esposte dalla difesa dei ricorrenti evidenziano come la mancata esecuzione dell’intervento non possa essere attribuita a una situazione di impossibilità oggettiva, priva di responsabilità dei ricorrenti, nemmeno in termini di colpa. Infatti, la Cassazione sottolinea le numerose iniziative che i condomini interessati ai lavori avrebbero potuto adottare per superare l’ostacolo rappresentato dalla mancata collaborazione del condomino contrario ai lavori.
A parere dei giudici supremi i condomini favorevoli ai lavori avrebbero potuto anticipare la quota delle spese a carico del partecipante al condominio contrario agli interventi, per poi procedere con il recupero forzoso della somma dovuta. Non solo. Secondo la Cassazione i favorevoli avrebbero potuto pure rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenere un provvedimento che obbligasse il condomino a versare la somma necessaria per la realizzazione dei lavori. In ogni caso – come è stato giustamente evidenziato – l’obbligo, penalmente sanzionato dall’art. 677 c.p., di eseguire i lavori necessari a scongiurare il pericolo di rovina grava, in caso di mancata formazione della volontà assembleare, sul singolo condomino, indipendentemente dall’attribuibilità al medesimo della situazione pericolosa.
L’amministratore, invece, al fine di andare esente da responsabilità, deve intervenire sugli effetti della rovina, interdicendo, ove ciò sia possibile, l’accesso o il transito delle persone. I ricorsi perciò sono stati rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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