Inarsind, il Sindacato degli Architetti e degli Ingegneri liberi Professionisti, ha diffuso un comunicato stampa contenente i dati reali riguardanti i redditi di Architetti e Ingegneri. Inarsind sostiene infatti che il Dipartimento delle Finanze (DF) ha diffuso dati non corretti, almeno in merito alle due categorie di professionisti tecnici che il sindacato difende. Di seguito pubblichiamo il comunicato.
“Cosa c’è e cosa manca nelle voci del Dipartimento delle Finanze? La stragrande maggioranza dei professionisti tecnici sotto i 40 anni ha redditi effettivi intorno ai mille euro al mese. Improrogabile una revisione degli studi di settore e l’eliminazione di ogni forma di doppia o tripla occupazione.
Secondo i dati diffusi dal Dipartimento delle Finanze, nel 2011 sono i professionisti a dichiarare i redditi più alti tra la platea che si avvale degli studi di settore. Non entriamo nel merito delle altre professioni, ma InarSind sottolinea che le cifre attribuite agli ingegneri e agli architetti non fotografano neanche lontanamente la reale situazione dei redditi di chi svolge questi mestieri.
Le elaborazioni in nostro possesso, ricavate dalle dichiarazioni rese a Inarcassa, la Cassa di previdenza di ingegneri e architetti, disegnano infatti un quadro fosco per il futuro della professione: la crisi si è fatta sentire in modo pesante e il volume di affari si è ridotto sensibilmente.
Se nel 2010 il reddito totale delle due categorie era pari a 4.423 milioni di euro, nel 2011 si è ridotto a 4.362 (-1,4%). A fare maggiormente le spese del difficile momento economico sono gli architetti: se infatti il reddito medio tra gli ingegneri ha visto una crescita, passando da 2.390 milioni di euro del 2010 a 2.520 milioni di euro dell’anno successivo (+5,4%), ben diversa è la situazione degli architetti che tra un anno e l’altro hanno visto una diminuzione del reddito pari a -6,4%.
Ma se si va a guardare il reddito medio, ecco che le cattive notizie riguardano entrambe le categorie: nel 2010 il reddito medio degli architetti era pari a 36.660 mila di euro, ma nel 2011 non è andato oltre i 35.379 mila di euro (-3,5%). Perdono di meno, ma su un reddito già livellato verso il basso, gli architetti che nel 2010 hanno guadagnato in media 22.874 mila euro diventati 22.430 mila euro nel 2011 (-1,9%).
Un impoverimento che corrisponde a una netta diminuzione del volume di affari: se nel 2010 era, in totale, pari a 5.882 milioni di euro, è arrivato a 5.650 milioni di euro l’anno successivo, segnando un -3,9%. Una vera débacle. Non solo! La situazione è peggiorata sensibilmente nel 2012 e per il 2013 i liberi professionisti tecnici, in base ai dati attuali, fanno previsioni disastrose.
Si tratta di dati sconfortanti, che impongono un intervento deciso per evitare che i liberi professionisti vadano incontro a un impoverimento insostenibile. Gli strumenti per evitare un accanimento contro chi pratica la libera professione, e in particolare gli architetti e gli ingegneri, sono molteplici: il primo è una revisione immediata degli studi di settore, in modo che siano più idonei e congrui.
Di conseguenza i dati diffusi dal Dipartimento delle Finanze ci stupiscono e ci preoccupano, perché sembrano andare in una direzione opposta: cosa c’è e cosa manca nelle voci del Dipartimento? Perché il numero di iscritti Inarcassa (tutti dotati di partita IVA) non corrisponde con la platea del Dipartimento delle Finanze? Che realtà si sta monitorando, e cosa invece si sta decidendo di non vedere? Quale immagine si sta restituendo dei liberi professionisti all’opinione pubblica?
Una cosa è certa: a fronte di un reddito medio che può apparire accettabile (sempre per il 2011 quando erano in corso lavori acquisiti negli anni precedenti ormai esauriti) la stragrande maggioranza dei professionisti tecnici sotto i 40 anni ha redditi effettivi attorno ai mille euro cosa che impedisce ogni progetto di stabilizzazione dell’attività che in realtà è precaria a tutti gli effetti. Se vogliamo dare un futuro a questi giovani colleghi dobbiamo introdurre un concetto di equità ormai ineludibile: ‘una testa un lavoro’ e quindi eliminare ogni forma di doppia e tripla occupazione che, in questa Italia in crisi, risulta oggi più che mai inaccettabile”.
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