Le recenti sentenze 15 giugno 2022, n. 7966 del TAR Lazio, Roma, sez. II quater e 7 giugno 2022, n. 398 del TAR Sardegna, sez. I, ci offrono lo spunto per ricordare i principi generali nel caso di permesso di costruire richiesto da comproprietari.
Come ricordato dai giudici romani, ai sensi dell’art. 11 del T.U. dell’edilizia[1], ai fini del rilascio del permesso di costruire si può ritenere “legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l’esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari”[2].
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Pertanto, “deve sicuramente, conseguentemente, ritenersi illegittimo il titolo abilitativo rilasciato in base alla richiesta di un solo comproprietario, dovendo l’Amministrazione verificare la sussistenza, in capo al richiedente stesso, di un titolo idoneo di godimento sull’immobile ed accertare, altresì, la legittimazione soggettiva di quest’ultimo, la quale presuppone il consenso, anche tacito, dell’altro proprietario in regime di comunione”[3].
In tal senso, ad esempio, la giurisprudenza ha precisato che:
- “In materia edilizia, in caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile la domanda di rilascio di titolo edilizio, sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già realizzati, deve necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti vantanti il diritto di proprietà sull’immobile. Il comproprietario è singolarmente legittimato solo con l’avallo, esplicito o implicito degli altri, desumibile quest’ultimo anche dal factum fiduciae, ovvero una sorta di comportamento concludente attestante un rapporto di fiduciarietà tra i vari comproprietari. In carenza di tale situazione, il titolo edilizio, volto alla realizzazione o al consolidamento dello stato realizzativo di operazioni incidenti su parti non rientranti nell’esclusiva disponibilità del richiedente non potrà essere né richiesto, non avendo il soggetto titolo per proporre la relativa istanza, né, ovviamente, rilasciato, non sussistendo i presupposti per l’emissione dello stesso”[4];
- “il comproprietario è singolarmente legittimato solo con l’avallo, esplicito o implicito degli altri”[5];
- “in tema di soggetto legittimato all’istanza di rilascio di titolo edilizio e proprietario pro quota, ha affermato inequivocabilmente che il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene, pertanto l’intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso. Non può invece riconoscersi legittimazione, al contrario, al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l’evidente ragione che diversamente considerando il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento. In caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, di conseguenza, la domanda di rilascio di titolo edilizio – sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già realizzati – dovrà necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti vantanti un diritto di proprietà sull’immobile, potendosi ritenere d’altra parte legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l’esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 settembre 2016, n. 3823)”[6].
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Richiesta permesso in caso di comproprietà, i controlli del Comune
In particolare, “colui che, nella veste di proprietario o avente la materiale disponibilità del bene, richieda un titolo edilizio, deve necessariamente allegare e dimostrare di essere legittimato alla realizzazione dell’intervento che ne costituisce oggetto; il Comune, dunque, ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente e accertare se egli sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria”[7].
Naturalmente, il Comune non è onerato di gravosi compiti accertativi in ordine a conflitti privatistici sul titolo proprietario, ma certamente, in presenza di profili problematici di immediata percezione, l’amministrazione non può sottrarsi alle verifiche del caso: nel verificare la sussistenza della condizione legittimante per la presentazione di istanze volte ad ottenere titoli edilizi, imposta dall’art. 11 del Testo Unico Edilizia – ossia la sussistenza in capo all’interessato della disponibilità dell’area oggetto dell’intervento edilizio progettato – la P.A. non può limitarsi ad una mera presa d’atto delle dichiarazioni rese dall’istante, ma non deve neppure spingersi fino a verificare eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi della disponibilità dell’area, non essendo tenuta a svolgere una preliminare indagine istruttoria che si estenda fino a ricostruire le vicende concernenti la titolarità e i suoi passaggi a ritroso nel tempo dell’immobile[8].
Conseguentemente, se manca il consenso di tutti i comproprietari “il titolo edilizio, volto alla realizzazione o al consolidamento dello stato realizzativo di operazioni incidenti su parti non rientranti nell’esclusiva disponibilità del richiedente, non potrà essere né richiesto, non avendo il soggetto titolo per proporre la relativa istanza, né, ovviamente, rilasciato, non sussistendo i presupposti per l’emissione dello stesso”[9]. E a maggior ragione, come accaduto nel caso analizzato dai giudici romani, se il Comune ha consapevolezza dell’esistenza di dissidi fra gli interessati, non deve procedere al rilascio.
Possibilità di annullamento
Nel caso in cui l’ufficio tecnico, non avvedendosi della reale situazione, provveda comunque al rilascio del titolo edilizio, come ricordato dai giudici cagliaritani, sarà necessario procedere al relativo annullamento, senza necessità di effettuare un puntuale bilanciamento tra gli opposti interessi, posto che, qualora il titolo abilitativo sia stato ottenuto dall’interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà, è consentito alla P.A. esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa[10].
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[1] DPR n. 380/2001.
[2] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 7 settembre 2016, n. 3823.
[3] Consiglio di Stato, sez. II, sent. n. 1766/2020.
[4] TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 12 novembre 2021, n. 7231, richiamando Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 29 agosto 2019, n. 5947.
[5] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 29 agosto 2019, n. 5947.
[6] TAR Campania, Napoli, sez. VII, sent. 19 ottobre 2021, n. 6566, richiamando Consiglio di Stato, sez. II, sent. 12 marzo 2020, n. 1766.
[7] TAR Campania, Napoli, sez, VIII, sent. n. 19 agosto 2021, n. 5563.
[8] TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 11 agosto 2021, n. 5486.
[9] Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sent. 2 maggio 2022, n. 532.
[10] TAR Campania, Napoli, sez. II, 8 marzo 2022 n. 1579; Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 2 luglio 2021, n. 5065; sent. 29 gennaio 2021, n. 881.
Immagine: iStock/AndreyPopov
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