La modifica di destinazione d’uso di un immobile da albergo a foresteria, senza permesso di costruire, costituisce reato (art. 44 lett a del TU 3802001), anche se attuato senza opere, in quanto interviene fra categorie urbanistiche non omogenee perché la locazione ad uso foresteria rientra in tutto e per tutto nella destinazione abitativa.
Nella vicenda esaminata e decisa con la sentenza n. 39897 del 26 settembre 2014 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un soggetto condannato dal Tribunale di Pesaro per il reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera a), del DPR n. 380/2001, per avere destinato ad uso abitativo un ex hotel di sua proprietà in violazione delle previsioni dello strumento urbanistico pur non avendo realizzato opere edilizie.
Al riguardo i principi applicabili sul territorio nazionale – non contrastati dalla disciplina vigente nella regione Marche – prevedono che il mutamento di destinazione d’uso collegato ad opere edilizie (cd. mutamento materiale) richiede il permesso di costruire ed il regime sanzionatorio applicabile (per l’intervento abusivo) è quello previsto dall’art. 44, lett. b) TU 380/2001. Diversamente il mutamento di destinazione d’uso effettuato senza opere (c.d. mutamento funzionale) è assoggettato a DIA (ora SCIA) purché intervenga nell’ambito della stessa categoria urbanistica, mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d’uso sia eseguito nei centri storici, anche all’interno di una stessa categoria omogenea.
La Corte ha evidenziato che la ragione per la quale il cambio di destinazione d’uso senza realizzazione di opere costituisce un’attività soggetta a vincoli risiede nel fatto che, altrimenti, ne risulterebbero vulnerate le regole generali finalizzate ad assicurare il corretto e ordinato assetto del territorio, con conseguente concreto inevitabile pericolo di compromissione degli equilibri prefigurati della strumentazione urbanistica; inoltre, potrebbe risultare pregiudicato anche l’interesse patrimoniale dell’ente, perché gli interessati sarebbero indotti a chiedere il rilascio dei titoli edilizi contro il pagamento di un minore contributo per il basso carico urbanistico, per poi mutare liberamente e gratuitamente la destinazione originaria senza corrispondere i maggiori oneri che derivano dal maggiore carico urbanistico.
Infatti, la destinazione d’uso individua il bene sotto l’aspetto funzionale, in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dagli strumenti urbanistici in base a standard diversi sotto il profilo qualitativo e quantitativo proprio seconda della diversità delle destinazioni di zona.
L’unico caso in cui il mutamento della destinazione d’uso senza opere può essere liberamente consentito è, dunque, quello in cui vi sia una totale omogeneità tra la categoria urbanistica di partenza e quella conseguente al mutamento stesso, in modo che non vi sia alcun aggravamento del carico urbanistico esistente.
Tanto premesso, la Corte ha affermato che la modificazione della destinazione d’uso da “alberghiera” a “foresteria” non interviene fra due categorie urbanistiche omogenee, perché la locazione ad uso foresteria rientra in tutto e per tutto nella destinazione abitativa, pur rispondendo ad esigenze di destinazione dell’immobile al temporaneo alloggio di soggetti diversi dal conduttore. Infatti, la distinzione fra locazione abitativa e locazione ad uso foresteria fatta propria dalla disciplina civilistica risponde ad esigenze di tipo sociale legate al “diritto alla casa” e non assume alcuna rilevanza ai fini penali, perché si tratta comunque in entrambi i casi di locazioni finalizzate a soddisfare esigenze abitative che si differenziano solo sul piano soggettivo, con identico carico urbanistico: da un lato, le esigenze dello stesso conduttore; dall’altro, le esigenze di ospiti o dipendenti del conduttore.
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