Il nostro patrimonio storico, artistico e immobiliare è in totale decadimento, i materiali di cui sono fatte le nostre costruzioni si stanno degradando e perdono le loro caratteristiche. Tutti i veri esperti si sono già pronunciati sulla durata del calcestruzzo armato; poi ci sono troppi esperti da bar che spiegano come il calcestruzzo romano duri di più di quello moderno e ci sono i geni dell’architettura che stabiliscono come un ponte o una chiesa non fossero poi così belli da definirli monumenti.
Insomma, Agosto, tra fake news, disinformazione e chiacchiere da bar, è passato e i danni sono rimasti. Quindi cosa posso aggiungere che non sia già stato detto? Come posso migliorare la discussione riportandola sul tecnico? Semplice, parlando di cose che conosco molto bene: impermeabilizzazioni e manutenzioni. Certo, sono il solito monomaniaco e parlo solo di impermeabilizzazioni. Se ci pensate una certa attinenza c’è. L’acqua è l’elemento che ci da la vita ma è anche causa di morte e distruzione!
Come può l’acqua danneggiare il calcestruzzo armato?
Beh, pensate alle grotte carsiche! L’acqua non ha fretta! Ma noi sì! Possiamo fare qualche cosa: innanzitutto usare i sistemi impermeabili nel modo corretto e proteggere le strutture in modo duraturo e continuo.
La parola chiave è “continuo”! Quello che troppo spesso ci dimentichiamo è come le strutture vengano usate costantemente e altrettanto costantemente subiscano sollecitazioni che le sforzano e le deformano, fino ad arrivare al concetto di “fatica”: “Nella tecnologia meccanica, condizione nella quale vengono a trovarsi elementi strutturali, soprattutto metallici, per effetto di sollecitazioni dinamiche, variabili nel tempo più o meno rapidamente, che si succedono per un grande numero di volte” (Treccani On Line).
Queste continue sollecitazioni arrivano a fare i danni che tutti conosciamo. Ma sono altrettanto considerate le costanti diminuzioni di resistenza delle strutture dovute al degrado delle stesse? Spesso questo non avviene perchè un ingegnere che si rispetti pretende che venga eseguita la manutenzione della struttura.
Come deve essere fatta diventa risolutivo soprattutto perchè dalle modalità e dalla progettazione della manutenzione se ne può determinare l’efficacia o l’inefficacia. Forse è il caso di cominciare a vedere la manutenzione ordinaria come un sistema preventivo (esattamente come già succede nell’industria) e non come un sistema per correggere situazioni già degenerate.
Dobbiamo realizzare un progetto che preveda quali siano le situazioni di degrado analizzando minuziosamente ogni singola aggressione o sforzo o tensione che la struttura possa avere. Vedere l’involucro edilizio come il corpo di un atleta che deve essere sempre in perfette condizioni per poter tentare di vincere la medaglia d’oro alle olimpiadi!
Paragone esagerato? Chiedetelo a chi è rimasto senza casa o a chi piange i morti dopo un disastro! È ora di cambiare il modo di vedere l’involucro edilizio e di cominciare a curarlo prima che si ammali.
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Manutenzione ordinaria, fino a quando bisogna prevederla?
A mio parere fino alla gestione delle operazioni che porteranno la struttura a fine vita o al suo totale rimpiazzo con una nuova. La manutenzione ordinaria acquisterebbe così un significato diverso comprendendo non più tipologie di intervento complesso o strutturale o non strutturale ma semplicemente tutte le operazioni che possiamo prevedere prima che un danno si verifichi e si possano organizzare preventivamente.
Dobbiamo passare da una tipologia di manutenzione “incidentale” a un tipo di manutenzione “preventiva”. Il costo dei due tipi di manutenzione è talmente diversa e risulta molto evidente che la manutenzione preventiva sia più economica. Purtroppo i problemi di bilancio hanno fatto pendere la scelta sempre verso la manutenzione straordinaria al solo scopo di procrastinare l’esborso di denaro.
Conclusioni
Cambiamo rotta e non avremo più problemi; tra parentesi, se cominciassimo a fare un grande lavoro di manutenzione straordinaria per rimettere a regime l’intero patrimonio immobiliare italiano, daremmo da lavorare ai tecnici per decenni e se implementassimo (e richiedessimo) prestazioni professionali di alta qualità, anche gli operatori di cantiere sarebbero costrette ad essere formati e specializzati portando ulteriori benefici all’economia del paese.
Basta pensare al solo caso dell’amianto sulle coperture: si stima che ci siano ancora più di un miliardo di metri quadrati di amianto sui tetti italiani. Facciamo un semplice calcolo:
1.000.000.000 mq * 30,00 € (spesa media per gli interventi di ripristino di coperture varie) = 30.000.000.000,00 €.
Non serve un economista di fama mondiale per capire che darebbe uno stimolo all’economia italiana enorme! E questo è solo l’amianto! Pensate alla sismica, alla termica, agli impianti e ai sistemi manutentivi da progettare e realizzare nel tempo! Bisogna trovare i fondi o meglio, bisogna usare meglio i soldi che abbiamo e creare tecnici preparati che possano sviluppare questo mercato multimiliardario nella direzione giusta e non nel solito sistema di clientele e corruzioni che hanno rovinato il nostro paese.
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