- la prima, cd. lottizzazione materiale (o reale), ricorre “quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione”;
- la seconda, cd. lottizzazione formale, negoziale ovvero cartolare, si delinea “quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”.
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Casi di Lottizzazione mista (materiale e formale insieme)
Meno frequente è la cd. lottizzazione mista, nella quale è possibile riscontrare nella medesima fattispecie elementi caratteristici sia della lottizzazione materiale sia della lottizzazione formale.
La recente sent. 20 marzo 2023, n. 194, del TAR Sardegna, sez. II, ci offre l’occasione per meglio indagare tale peculiare ipotesi. Nel caso specifico, secondo i giudici, l’esistenza della lottizzazione abusiva “mista” era evincibile:
- dal frazionamento di un’ampia area destinata a campeggio libero in 133 lotti della superficie ciascuno di circa 100 mq.;
- dalla suddivisione dell’intero terreno in “piazzole” e dalla loro assegnazione a ciascun socio che ne ha assunto la detenzione, l’uso ed il godimento in via esclusiva;
- dalla realizzazione di opere edilizie ad uso residenziale realizzate nel corso degli anni tali da trasformare il fondo in uno stabile insediamento abitativo di rilevante impatto negativo sull’assetto urbanistico-territoriale e paesaggistico della zona;
- dalla realizzazione delle seguenti opere di urbanizzazione: la recinzione dell’intero perimetro; la strada interna a servizio dell’insediamento nonché l’ingresso principale che consente l’allacciamento alla viabilità pubblica; lo spazio necessario per la sosta e il parcheggio degli autoveicoli; i condotti idonei alla raccolta delle acque luride; la rete idrica, costituita dalle condotte per l’erogazione dell’acqua; la rete per l’erogazione e la distribuzione dell’energia elettrica; la “pubblica” illuminazione comprendente le reti e gli impianti per l’illuminazione delle aree d’uso comune.
Come ricordato dai giudici sardi, la categoria dogmatica della c.d. lottizzazione mista, caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dall’art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nell’attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso, è stata da tempo delineata dalla giurisprudenza amministrativa[1]; essa ricorreva senz’altro nel caso di specie in cui:
- la lottizzazione abusiva materiale coinvolgente una pluralità di soggetti era ravvisabile in quanto l’unitario appezzamento di terreno originario aveva progressivamente perduto la sua connotazione primitiva non solo attraverso la realizzazione della strada di collegamento tra i vari lotti funzionale alla urbanizzazione del compendio, ma anche alla luce dell’installazione, in una pluralità di lotti, di strutture edilizie non precarie, alcune delle quali aventi caratteristiche simili ad una civile abitazione, realizzate in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica;
- la lottizzazione c.d. “cartolare” era, altresì, ravvisabile in quanto la trasformazione del suolo è stata accompagnata dal frazionamento e dall’assegnazione dei lotti ai soci con uso esclusivo.
Fra la casistica, ricordiamo le seguenti due ipotesi concrete individuati dalla giurisprudenza:
- lotti realizzati tramite razionamento di un’unica area molto più vasta, originariamente a destinazione agricola E1 e poi destinata a zona F, con contestualità temporale di operazioni di vendite attraverso le quali è stato realizzato l’originario frazionamento; realizzazione sui suoli risultanti dal frazionamento di molteplici interventi edilizi abusivi, per lo più incompatibili con l’originaria destinazione agricola delle aree; carenza in capo ai proprietari dei suoli della qualifica di imprenditore agricolo; realizzazione di opere di urbanizzazione non previste dal vigente strumento urbanistico (e, in particolare, di una strada interpoderale di collegamento ed accesso ai vari lotti)[2];
- compimento, nel corso degli anni, del frazionamento di alcuni fondi in più lotti e dalla compravendita di questi ultimi, nonché dalla realizzazione di attività materiali indubbiamente idonee ad attuare una trasformazione urbanistica ed edilizia dell’area, in violazione delle prescrizioni del P.R.G. che ne prevedevano la destinazione agricola[3]. La consistenza e le modalità del frazionamento in lotti di estensione significativamente inferiore al minimo (10.000 mq.), l’assenza dello status di imprenditore agricolo ovvero di coltivatore diretto degli acquirenti, la contestualità temporale nella sottoscrizione dei contratti di compravendita e le tempistiche dei successivi negozi di trasferimento, costituivano, secondo i giudici, indici idonei ad evidenziare congruamente il disegno lottizzatorio abusivo.c
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Lottizzazione abusiva e comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio
In materia di lottizzazione abusiva, segnaliamo inoltre la sent. 20 gennaio 2023, n. 732, del Consiglio di Stato, sez. VI, nella quale è stato evidenziato che l’avvio del procedimento sanzionatorio per lottizzazione abusiva richiede la comunicazione di avvio del procedimento.
Secondo i giudici di Palazzo Spada, gli accertamenti e l’istruttoria sottesi all’accertamento di una lottizzazione abusiva sono sempre connotati da un certo grado di complessità che rende pressoché necessaria la partecipazione al relativo procedimento dei soggetti interessati, “restringendo, pertanto, lo spazio entro il quale può trovare applicazione la norma di cui all’art. dell’art. 21 octies comma 2 L. 241/1990” (Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 18 marzo 2019, n. 1759; sez. V, sent. 11 maggio 2004, n. 2953; ciò “anche se al provvedimento di cui all’art. 18 della l. n. 47/1985 deve comunque riconoscersi una indubbia natura vincolata, atteso che lo stesso deve essere preceduto dal mero accertamento della realtà materiale ed è destinato ad incidere, con funzioni di qualificazione giuridica, su di essa con provvedimenti che potranno poi comportare l’adozione di successivi provvedimenti di acquisizione delle aree lottizzate”[4] e, a maggior ragione, per il fatto che i provvedimenti che contestano l’esistenza di una lottizzazione abusiva hanno pesanti effetti, anche ablatori, nei confronti dei destinatari.
Ne consegue che, in termini generali, l’avvio del procedimento sanzionatorio per lottizzazione abusiva non può prescindere dalla comunicazione di avvio del procedimento e che lo spazio residuo per l’eventuale applicazione dell’art. 21 octies della Legge n. 241/90 (comma 2: “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”) è veramente esiguo, trattandosi di fattispecie in cui è infrequente che l’esistenza della lottizzazione abusiva sia così palese da potersi prescindere dal confronto procedimentale e da poter rimettere la decisione direttamente al Giudice Amministrativo.
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[1] Cfr. per tutte, di recente, Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 19 luglio 2021, n. 5403.
[2] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 8 gennaio 2016, n. 26.
[3] TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 20 agosto 2018, n. 5249.
[4] Consiglio di Stato, sez. III, sent. 10 settembre 2012, n. 4795; cfr. anche sez. V, sent. 27 marzo 2013, n. 1809.
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