Quanti sono gli immobili nel nostro Paese? Quanti, in particolare, gli alloggi? Quanti, tra questi, sono quelli costruiti, nel corso dei decenni, non in conformità alle leggi vigenti?
Nonostante ci siano diverse stime – chi dice due milioni, chi dice nove milioni – nessuno può rispondere con precisione a questi quesiti perché mai nel nostro Paese è stato censito tutto il patrimonio urbanistico esistente. Mai i Piani Regolatori Generali (oggi Pug) hanno previsto una simile ricognizione prima della loro approvazione definitiva. Mai i Piani Regolatori Generali sono stati predisposti per elevare prioritariamente la qualità della vita dei cittadini. Il loro benessere. Perché, raramente, la Città è stata considerata un Bene Comune.
Perché, da sempre, l’edilizia – l’ambito grazie al quale i partiti politici, a tutti i livelli, superano i rispettivi ideologismi per compattarsi nell’ideologia e nell’idolatria del capitale – è stata percepita come l’attività umana a più sicura redditività, con la casa considerata il Bene su cui far investire con fiducia i propri risparmi.
Lo sa bene pure la criminalità organizzata che da decenni sta investendo nell’edilizia centinaia di milioni di euro accumulati in modo illecito. Questo non avviene più soltanto in Campania, in Sicilia, in Calabria o in Puglia – le regioni del Mezzogiorno dove l’egemonia criminale per alcuni è diventata una tale normalità per cui non ci si scandalizza più – ma anche nel Lazio, nell’Emilia-Romagna, in Lombardia, come non poche inchieste giudiziarie stanno da anni testimoniando.
Si è sempre costruito in Italia, pertanto, perché bisognava farlo nel nome del progresso. Bisognava farlo perché contribuiva a creare occupazione. Nonostante gli allarmi e i suggerimenti dei geologi, si è costruito ovunque, nei posti più impensabili: nei letti dei fiumi, proprio sotto montagne o vulcani, in zone ad alta sismicità, in aree protette o vincolate. Lo si è potuto fare con la complicità di pubblici amministratori ignoranti e disonesti. Con l’omertà e la reticenza di chi doveva controllare e non ha controllato. Perché in questo paese, chi sbaglia, non paga mai.
Negli ultimi quindici anni centinaia sono stati i morti e migliaia i feriti o i dispersi avutisi a causa del dissesto idrogeologico; con danni di diverse decine di miliardi di euro. Con territori cancellati e identità violate. Con patrimoni storici e naturali alienati definitivamente. E che resteranno cosi per chissà quanto tempo visto che, nonostante le promesse politiche, attualmente non ci sono fondi disponibili per ripristinare i luoghi devastati dalla natura. L’uomo che si autodistrugge per il suo egoismo e la sua cupidigia. Un Paese dove la cultura della prevenzione è quasi del tutto assente. Un Paese dove l’etica pubblica, l’etica della responsabilità, la legalità intesa non solo come mero rispetto delle regole ma anche come rispetto delle dignità individuali, scarseggiano. Questo siamo oggi, nonostante rarissime eccezioni e notevolissimi virtuosismi.
La Regione Puglia, la mia regione, per provare, perciò, a mitigare la patologia dell’abusivismo edilizio, su spinta di Angela Barbanente, Assessore Regionale all’Urbanistica, sta predisponendo una legge regionale, il cui disegno è già stato approvato unanimemente dalla commissione consiliare competente, in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio. È un’iniziativa importante che non ha precedenti in Italia, che ha visto e sta vedendo la collaborazione sia delle associazioni di tutela ambientale sia di alcune Procure della Repubblica.
E che si inserisce in un processo normativo di primissimo piano con l’ente che già dispone, da anni, di provvedimenti volti a favorire sia “l’Abitare sostenibile” (Legge Regionale nr. 13/2008) sia la “Rigenerazione urbana (Legge Regionale nr. 21/2008). Nonché di un sistema cartografico sempre più aggiornato e sempre più multimediale, resosi indispensabile per la configurazione orografica e paesaggistica di una Puglia che presenta territori estremamente eterogenei.
Le premesse, pertanto, per cambiare finalmente e definitivamente il paradigma tecnico intorno al quale diverse generazioni di professionisti e pubblici amministratori hanno costruito i propri avvenire, spesso violando le regole, ci sono. Ma le domande a cui si vorrebbe dare risposta esaustiva restano, ad oggi, le stesse di sempre.
Quali sanzioni si devono applicare, per esempio, ai responsabili degli uffici tecnici comunali che non assolvono pienamente alle loro funzioni? A chi, insomma, dovrebbe controllare e non controlla i processi edilizi che stanno rendendo le nostre città luoghi invivibili? Perché la Regione non prevede la possibilità di fermare i processi edilizi in quei Comuni che non demoliscono prima tutti i manufatti accertati come abusivi?
Perché, soprattutto, la Regione (o le Regioni) – accogliendo l’appello del Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio – non prevedono l’obbligo per i Comuni di censire tutto il patrimonio edilizio esistente (gli alloggi vuoti, sfitti o inutilizzati sono sicuramente migliaia in tutte le città medio-grandi) nell’ottica di riqualificarlo e di rigenerarlo anche da un punto di vista energetico-bioclimatico?
Perché le Regioni, infine, non si impegnano nel contrastare realmente la pratica del consumo di suolo investendo prepotentemente nella prevenzione del dissesto idrogeologico, con la possibilità che questa rivoluzione (che sarebbe anche culturale) produrrebbe nuovi posti di lavoro?
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