Come già in parte anticipato (leggi Liberalizzazione professioni tecniche, i cambiamenti proposti da Federarchitetti), Federarchietti ha risposto al Decreto Liberalizzazioni del Governo Monti, pubblicato ieri in Gazzetta. Pubblichiamo oggi la lettera inviata all’esecutivo dalla Federazione, che interviene su temi che coinvolgono le categorie rappresentate per le trasformazioni messe in atto attraverso nuovi modelli di sviluppo.
Federarchitetti inoltre afferma che “il costante inserimento, negli anni, di misure legislative non congruenti con le reali funzioni e con le responsabilità gravanti sulle libere professioni tecniche, ne ha determinato l’emarginazione: la crisi economica ne ha quasi sancito la cancellazione e ogni prospettiva di sviluppo libero e democratico”. Per fare in modo che questo processo negativo abbia un’inversione di tendenza occorrono provvedimenti, in merito ai quali, nella lettera, vengono date precise indicazioni.
Federarchitetti: la lettera sulla riforma delle libere professioni tecniche
Di seguito, alcuni dettagli della lettera, nella quale si ragiona per incongruenze della situazione attuale.
Prima incongruenza
Difetto di rappresentanza: non paritetico
Il lavoratore dipendente ha riferimento, per la esposizione dei propri diritti, nelle rispettive OO.SS. tutelate e strutturate, nella P.A. come nel mondo imprenditoriale, con costi conseguenti che tutti abbiamo obbligo di sostenere. Per i liberi professionisti, in particolare per l’area tecnica, la rappresentanza sindacale è eventualmente tollerata, ma senza che alcun meccanismo, ordinistico, previdenziale o contributivo, ne autorizzi una qualche forma di sostegno diversa da quella volontaristica.
Seconda incongruenza
Ruolo degli Ordini (architetti e ingegneri nello specifico): fallimento dei compiti istituzionali
E’ sotto gli occhi di tutti il fallimento dei loro attuali compiti istituzionali a tutela della collettività: non c’è stato controllo sul rispetto delle norme deontologiche, non sono stati difesi quei “minimi tariffari” di fatto non riconosciuti dalla committenza pubblica e privata ben prima della legge Bersani, non s’è difeso il cittadino dalle distorsioni procedurali, né svolta una funzione di particolare utilità ai liberi professionisti pur assumendone spesso impropri compiti di tutela. Paradossalmente, i costi di tale aleatorio ruolo di controllo pubblico sono a carico degli iscritti, spesso aggravati da oneri per ulteriori enti (le Fondazioni ordinistiche) non previsti dalle leggi. Nel contempo, l’attuale livello strutturale delle libere professioni italiane e le subentrate nuove esigenze delle committenze, è tale che, per perseguire obbiettivi di crescita delle strutture professionali al fine di favorirne la qualità delle prestazioni e la capacità di implemento del problema occupazionale, sia possibile trasformare radicalmente i compiti e le finalità degli Ordini professionali, sempre nell’ottica dell’interesse allo sviluppo generale.
Si ipotizza pertanto una riconversione a nuovi compiti degli stessi, opportunamente ridotti per numero, (uno o due per Regione) in AGENZIE di SOSTEGNO (AGENSOS) e Controllo allo Sviluppo, per far fronte a pressanti esigenze, atte a:
a. monitorare la corretta e trasparente applicazione delle procedure di affidamento, bandi e concorsuali, delle istituzioni locali, anch’esse rese operative in forma omogenea in “Centrali di Committenza” a livello provinciale o regionale;
b. supportare le strutture professionali, mediante “sportelli di indirizzo” che forniscano tutti i supporti alle procedure degli affidamenti di servizi professionali nei Paesi esteri, incluso il susseguente svolgimento, fornendo specifici supporti tecnico-legali e commerciali con evidente implemento all’inserimento della cultura italiana nel mondo oltre che all’espansione delle opportunità di lavoro;
c. esercitare un controllo sui legittimi requisiti delle realtà professionali estere operanti in Italia, secondo i rispettivi protocolli tra Paesi. Tale ruolo appare estremamente significativo e conforme ad ogni generale interesse di sviluppo. Nel contempo sgombrerebbe l’equivoca interpretazione di tutela degli interessi delle categorie, che non possono che essere sostenuti, nelle loro valutazioni critiche, dalle legittime e libere rappresentanze associative a carattere sindacale.
Terza incongruenza
Servizi tecnici pubblici: posizione predominante in contrasto al libero mercato
Un’errata e strumentale interpretazione delle distorsioni operative della Prima Repubblica ha attribuito alla P.A., nello specifico agli Uffici Tecnici, pur in assenza di adeguate strutture e formazione, compiti e ruoli da sempre esercitati all’esterno, con il risultato di abbassare il livello delle prestazioni istituzionali, fronteggiare con stratagemmi vari i nuovi compiti, in un marasma di funzioni dove spesso si sovrappongono forme di controllore e di controllato, con pregiudizio economico, della qualità e dei tempi di esecuzione e abbassamento della soglia di trasparenza. La gestione delle OO.PP., conferma tale assunto in tutta la sua drammaticità, confermando essere del tutto errato risolvere il problema del buon andamento e della qualità dei servizi professionali con la distribuzione di un “obolo” del 2% agli uffici tecnici, quasi a considerare tali funzioni normali “compiti interni”.
Quarta incongruenza
Servizi tecnici in-house: evasione IVA
L’ampia maggioranza delle prestazioni professionali in-house è svolta senza versamento dell’IVA, con ingente danno erariale, da soggetti non svolgenti la libera professione. L’acquisizione della posizione IVA, individuale e/o societaria, deve costituire un obbligo prioritario per i troppi “evasori autorizzati”. L’acquisizione della stessa a scopi professionali deve prevedere chiare forme di incompatibilità con l’attività di servizio pubblico.
Quinta incongruenza
Tariffe: esclusivo privilegio dei parametri economici
La soppressione dei minimi tariffari, senza indicazione di procedure di valutazione, ha generato un abbattimento del costo dei servizi professionali al di sotto di qualsiasi rapporto con il valore intrinseco della prestazione. Da ciò sono derivati commistioni con componenti ed interessi diversi, lievitazione del lavoro in nero, massimo sfruttamento dei giovani all’interno delle Facoltà universitarie. Appare del tutto opportuno che sia prioritariamente valutato il costo di un servizio professionale anche in base a parametri soggettivi rispetto alle caratteristiche del progetto, (valutazione di congruità), e siano individuate soglie oggettive oltre le quali la prestazione non può essere eseguita in termini di correttezza e trasparenza, (soglia di anomalia).
Federarchitetti ha pubblicato puntuali indicazioni metodologiche sulle possibili soluzioni. Negare l’obbligatorietà di rapportare comunque un valore a un bene di interesse pubblico, equivale a vanificarne la sua stessa esigenza.
Sesta incongruenza
Accesso alla professione: assenza di tirocinio
Allo stato attuale un architetto o ingegnere abilitato, iscritto all’Ordine, può accedere immediatamente alla professione. Nella nostra professione coesistono aspetti tecnici e responsabilità sociali (per la sicurezza, per l’ambiente, per il benessere) che obbligano ad una continua formazione culturale ed operativa. Auspichiamo che il lavoro nel nostro settore preveda forme di tirocinio post-universitario da svolgersi presso gli studi dei liberi professionisti, ma i cui oneri siano equilibrati rispetto alle esigenze del lavoro. Data l’attuale situazione sociale, può anche essere previsto un salario minimo di sostegno, se certificato da collaborazione svolta in studi professionali: in tal modo non andrebbe disperso in mero assistenzialismo, ma finalizzato alla formazione dei giovani ed alla crescita degli stessi studi. Inoltre, andrebbe a bilanciare il ruolo formativo svolto dai liberi professionisti all’interno dei propri studi. Per ogni forma alternativa di formazione e di aggiornamento professionale, è essenziale la piena facoltà di soggetti terzi ad operare in regime di libero mercato. Appare del tutto inopportuno che forme di tirocinio professionale, propedeutiche all’accesso alla professioni, possano essere svolte all’interno delle Facoltà, con ulteriori vantaggi per i docenti nel campo dell’attività professionale, comunque da condurre entro regole di compartecipazione con i liberi professionisti.
Per concludere
Gli indirizzi riportati sono proiettati verso un sistema che operi per ridurre le disuguaglianze sociali con misure atte a limitare il prevalere attuale, fino alla prevaricazione, di interessi di parte. Un sistema aperto di liberalizzazioni non può prescindere da una burocrazia aperta alla società e consona dei propri limiti, da un settore Universitario che comprima forme di duplice o triplice lavoro, dalla attività autoreferenziale di alcuni Enti o dalla soggettività di iniziative di Casse di Previdenza di dubbia opportunità.
Per maggiori dettagli, si legga la versione integrale della lettera.
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