La Legge di Bilancio per il 2018 ha previsto, al suo art. 1, comma 19, una norma di interpretazione autentica circa l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata in edilizia, al 10%, per i beni “significativi”, nell’ambito dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili residenziali. Il ricorso a una norma di interpretazione “autentica” (che delinea l’unica interpretazione “corretta” della legge, perché posta dallo stesso legislatore), avente forza retroattiva (che è sempre eccezionale, specie in campo tributario) lascerebbe presagire che la essa introduca significative novità. A ben vedere, così non è, come si evidenzierà nel prosieguo dell’articolo che tratterà, sinteticamente, anche il quadro normativo di riferimento.
IVA agevolata in edilizia, il quadro normativo
Com’è noto, le prestazioni di servizi aventi a oggetto interventi di recupero edilizio e cioè di manutenzione ordinaria e straordinaria (ai sensi delle lettere a) e b) dell’art. 3 del DPR 380/2001, già L. 457/78), eseguiti su immobili a prevalente destinazione abitativa privata, usufruiscono dell’aliquota agevolata IVA del 10% (secondo le previsioni dell’art. 7, comma 1, lett. b) della L. 488/1999).
Gli immobili interessati dall’agevolazione sono, in primo luogo, le singole unità immobiliari e loro pertinenze non abitative, accatastate nel gruppo A (eccetto gli A/10, uffici), indipendentemente dall’effettivo utilizzo. Ne deriva che sono agevolabili le manutenzioni, ad es., delle autorimesse pertinenziali delle abitazioni, anche se l’intervento riguarda soltanto le autorimesse (e pure se queste sono situate in un edificio che non ha prevalente destinazione abitativa); nonché le manutenzioni degli alloggi accatastati come abitativi, ma locati ad uso ufficio.
Sono interessati dall’agevolazione, in secondo luogo, gli edifici che presentino oltre il 50% della superficie dei piani fuori terra a destinazione di abitazione privata: nel qual caso, sono agevolati le opere relative alle singole unità immobiliari abitative e alle parti comuni dell’intero edificio.
Sono oggetto dell’agevolazione gli interventi previsti, normalmente, da contratti di appalto e cioè da “prestazioni di servizi” per la normativa IVA. La mera fornitura di beni non rientra, invece, nel perimetro agevolativo. Le imprese subappaltatrici, in ogni caso, sono sempre tenute ad applicare l’aliquota ordinaria (Ris. Agenzia Entrate n. 243/2007).
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IVA agevolata in edilizia per beni significativi
L’IVA al 10% si applica sul valore dell’intera prestazione; a meno che, nell’ambito dell’intervento di manutenzione, vengano forniti “beni significativi”, il cui valore sia maggiore del 50% dell’intero corrispettivo della prestazione (comprensiva della manodopera, dei beni significativi e di altri beni).
I beni significativi sono, ai sensi del D.M. 29/12/1999:
– gli ascensori e montacarichi;
– gli infissi esterni e le caldaie;
– i videocitofoni;
– le apparecchiature di condizionamento e ricircolo dell’aria;
– i sanitari e le rubinetterie da bagno;
– gli impianti di sicurezza.
L’elencazione è da considerarsi tassativa, ma nel senso che essa riguarda i beni in grado di svolgere le funzioni indicate e, quindi, a prescindere dalla denominazione commerciale dei beni stessi. Per i beni e materiali non compresi nell’elenco ministeriale, invece, se la loro fornitura si accompagna alla posa in opera, purchè effettuata dallo stesso fornitore, si applica sempre l’IVA al 10%: ed anche se il valore del bene ceduto è prevalente rispetto al valore della prestazione.
Nell’esempio classico, immaginando che il corrispettivo complessivo per l’intervento sia Euro 20.000 e il valore del bene significativo sia Euro 16.000 (quindi maggiore della metà del valore complessivo), il meccanismo opererà nel modo seguente. Occorre individuare, innanzitutto, tre diverse tranches di valori, e quindi:
– il valore della manodopera e dei beni non-significativi (ovvero il valore complessivo della prestazione meno valore dei beni significativi) , qui pari ad Euro 4.000, sconterà l’IVA al 10%;
– la quota del valore del bene significativo, pari alla differenza tra il valore complessivo della prestazione e quello del bene significativo stesso (nell’esempio, Euro 4.000), sconterà anch’esso l’Iva al 10%;
– infine, la quota residua del valore del bene significativo, qui pari ad Euro 12.000, vedrà l’applicazione dell’aliquota ordinaria del 22%.
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Le novità interpretative dalla Legge di Bilancio 2018
Il comma 19 dell’art. 1 della L. 205/17 contiene, in sostanza, due disposizioni di interpretazione “autentica”: sul modo di determinare il valore dei beni significativi, con riferimento ai componenti di questi, e sulle modalità di compilazione della fattura.
Determinare il valore dei beni significativi
Quanto al primo profilo, la norma rende nota, una volta per tutte, la posizione del Fisco dinnanzi a quesiti di questo tenore: se il valore dei componenti e/o delle parti staccate o staccabili, ad esempio di un infisso (come le tapparelle o altre parti mobili) debba essere incluso nel valore del bene significativo e dunque eventualmente interessato dall’applicazione dell’IVA in misura piena; o se ricada nel valore complessivo della prestazione, sempre al 10%.
In base all’interpretazione fornita, è necessario verificare se tali componenti possano essere caratterizzati da una loro “autonomia funzionale” rispetto al bene principale cui accedono: cioè, se siano suscettibili di un utilizzo autonomo apprezzabile, secondo la loro natura. Se sì, essi non divengono componenti necessari del bene “significativo” e come tale il loro valore ricade in ogni caso nell’ambito di applicazione dell’IVA agevolata, afferente la prestazione nel suo complesso (come fossero beni non significativi e come la manodopera).
Se invece tali componenti non sono suscettibili di autonomo impiego e dunque rilevano solo se integrati nel manufatto principale, allora essi confluiscono nel valore del bene significativo e rientrano nel computo del limite, a cui l’agevolazione IVA può fare riferimento.
Sia chiaro che, in tale interpretazione, di nuovo c’è ben poco.
Sin dalla Circolare n. 71/E del 2000, infatti, si era rilevato che le parti staccate di un bene significativo, come per esempio il bruciatore di una caldaia, non potendo assumere rilevanza autonoma (perché, da solo, a nulla serve), resta assoggettato al regime Iva proprio della prestazione e dei beni non-significativi, cioè al 10%. Egualmente, la Circolare 12/E del 2016 si era espressa in termini analoghi, proprio sul caso degli infissi (al Punto 17.2).
Compilazione della fattura
Altro profilo d’interpretazione autentica contenuto nella norma è quello per cui il soggetto emittente fattura per la prestazione di recupero agevolato deve indicarvi, oltre al servizio oggetto della prestazione e il corrispettivo complessivo di esso (comprensivo del valore dei beni significativi), anche e separatamente il dettaglio dei beni significativi installati ed il loro valore. La valorizzazione del bene significativo, precisa la norma, va effettuata prendendo come riferimento i valori indicati nel contratto intercorso tra le parti e, in ogni caso, non può essere inferiore al prezzo di acquisto o di produzione dei beni stessi, da parte del fornitore/produttore/installatore.
Nuovamente, è difficile cogliere grandi novità nel dato d’interpretazione autentica in esame. Già in passato, infatti, era prassi del verificatore riscontrare i valori dei beni significativi, da inserire obbligatoriamente in fattura, con quelli emergenti dai contratti tra le parti, se esistenti in forma scritta (Circolari nn. 71/E e 98/E del 2000); mentre il fatto che un ascensore o un impianto di condizionamento potesse essere fatturato al cliente per un valore inferiore rispetto al suo costo di acquisto o produzione, non poteva che insospettire il verificatore e connotare di antieconomicità l’operazione, a prescindere dall’interpretazione legislativa oggi delineata.
Si può, al più, apprezzare che l’indicazione separata del valore del bene significativo sia ora richiesta per legge, e non più solo per Circolare, che non è fonte del diritto.
La norma si conclude rilevando che sono fatti salvi i comportamenti difformi fino all’entrata in vigore della norma stessa: una sorta di “sanatoria” che dovrebbe riverberare qualche conseguenza sui contenziosi pendenti e, sicuramente, evitare contestazioni circa il pregresso. Al di là del fatto che, in questo modo, la norma smentisce la sua sbandierata retroattività, resta fermo che essa ora vieta il rimborso dell’IVA, applicata sulle operazioni a suo tempo poste in essere, secondo le modalità già indicate dagli atti di prassi.
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