Ingegneria Ambientale: un settore tecnico ancora troppo nuovo

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Purtroppo nell’articolo pubblicato su Ediltecnico.it il 12 marzo 2012 Ingegneria ambientale, c’e’ troppa concorrenza sleale mi riconosco perfettamente. Dal 2003 (anno della mia laurea ed entrata nel mondo del lavoro) ad oggi le “piccole battaglie”, che io e i miei colleghi facciamo affinché ci venga riconosciuto un settore che ci spetta di diritto, non si sono placate.

 

C’e’ ancora chi resta sorpreso nel sentirmi parlare a favore di TAV, fotovoltaico a terra, eolico, centrali a biomassa ecc. e a mostrarmi poco gentile con i “comitati del no” che di volta in volta si vengono a creare.
Il problema è un altro: chi progetta queste opere, come qualsiasi altra che abbia un impatto sull’ambiente, spesso non è competente in materia ambientale e quindi non vengono fatti gli studi adeguati a sostegno del progetto stesso, che spesso poi risulta gravoso per le risorse naturali.

 

Se ad un ingegnere ambientale chiedessero di progettare una linea elettrica, probabilmente lo saprebbe anche fare, ma il Committente di turno preferirebbe appoggiarsi ad uno studio di ingegneria di settore opportuno. E allora perché un progetto di bonifica, piuttosto che di inserimento ambientale di un impianto fotovoltaico possono essere tranquillamente presentati da imprese di costruzione senza dimostrare che chi redige, timbra e firma ha le competenze adatte?

 

E ancora, perché in molti Settore Ambiente di Comuni, Province e Regioni non c’e’ un Ingegnere ambientale, supportato da professionisti del settore? Parlo per esperienze vissute direttamente.
La risposta mi viene spontanea: l’ambiente è ancora visto come un qualcosa che non merita una specifica competenza.

 

La domanda successiva è: perché allora esiste la facoltà di Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio (o delle Risorse)?

 

La risposta potrebbe essere: per dare lavoro ai docenti e invogliare studenti a imbarcarsi su una nave dalla dubbia destinazione.

 

Siamo un po’ stanchi di queste domande e … supposizioni.

 

Un collega della Commissione Ambiente Territorio Urbanistica dell’Ordine degli Ingegneri di Venezia mi ha girato una frase di Flavio Albanese, un progettista di “grido”: “…l’intervento costruttivo dell’uomo sul territorio crea un danno, … occorre però danneggiare con una condizione di innocenza,… il concetto di innocenza è legato al concetto di felicità….. e la parola felicità è legata alla parola amore… il problema non è cosa fare ma come fare, come si fanno le cose…. allora mi devo domandare: quanto danno fa il mio fare?…“.

 

Se i professionisti ambientali (e non ambientalisti) esistono, che siano forse loro in grado di valutare l’impatto che il nostro operato può avere sulle varie matrici ambientali con cui interagisce?
E a questa domanda mi sento di rispondere con un sì. Non solo valutazioni economiche e politiche (che troppo spesso risultano predominanti), ma anche (e soprattutto) socio-ambientali.

Roberta Lazzari

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