La parte quinta del d.lgs. 152/06, c.d. Testo Unico Ambiente (T.U.A.), è dedicata alle norme a tutela dell’aria. In questa, l’importante art. 269 disciplina il rilascio delle autorizzazioni elle emissioni in atmosfera per gli stabilimenti e prevede, al comma 6, che il provvedimento abilitativo disponga affinché il titolare, tra altre cose, comunichi all’Autorità competente “i dati relativi alle emissioni effettuate in un periodo continuativo di marcia controllata decorrente dalla messa a regime“.
A sottolineare il ruolo fondamentale di questa comunicazione ci pensa il successivo art. 279 (Sanzioni), laddove, al comma 4, punisce la mancata comunicazione con l’arresto (fino a un anno) o l’ammenda (fino a 1.032 euro).
La Cassazione s’è occupata più volte di analizzare la natura del reato, rilevando come la fattispecie contempli un reato formale, “la cui configurabilità è ipotizzabile sulla base della semplice effettuazione di una delle attività soggette a titolo abilitativo senza osservarne le prescrizioni” (così Cass. Pen., VII, n. 15560/07). In altra occasione ha, invece, chiarito che, in quella fattispecie, il bene giuridico protetto è il “controllo amministrativo da parte della pubblica amministrazione” (Cass. Pen. VII, n. 20277/08) e che lo scopo del legislatore, sul punto, è evidentemente stato quello di “apprestare una difesa anticipata del bene giuridico protetto” (Cass. Pen., III, n. 35621/07).
Sulla scorta di questi orientamenti, la Cassazione Penale, sezione III, n. 1786/14 ha rigettato il ricorso di un soggetto, titolare di uno stabilimento produttivo, al quale era stato appunto contestato di non aver comunicato, dopo l’autorizzazione, i dati periodici alla p.a., mancando costui della istituzione e tenuta del registro di autocontrolli delle emissioni in atmosfera.
Il ricorrente s’è difeso ritenendo la mancata tenuta del registro del tutto inoffensiva, attesa la circostanza – ammessa già dal Tribunale di primo grado, che lo aveva assolto con formula piena, e non contestata nel prosieguo di giudizio – che il controllo delle emissioni, di fatto, vi era stato (non erano stati registrati superamenti di valore) e che, di conseguenza, l’ambiente, primario bene protetto dalle norme antinquinamento, era tutelato.
I giudici, invece, hanno ritenuto che la violazione fosse in sé, e che il solo fatto di aver omesso la comunicazione valesse a formulare un’incriminazione, per i motivi sopra accennati.
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