Prosegue la riflessione (pregna di dubbi applicativi in materia di coordinamento di norme) sul percorso applicativo dei 5 nuovi reati contro l’ambiente inseriti nell’ordinamento grazie alla legge 22 maggio 2015, n. 68: il legislatore ha introdotto diverse nuove fattispecie di reato, tra cui inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento al controllo.
Ecoreati: novità e coordinamento
Il nuovo titolo del Codice penale relativo ai delitti contro l’ambiente, da una parte, integra la disciplina penale, e dall’altra, contribuisce a completare il diritto ambientale sostanziale. I termini e i casi considerati dalla nuova legge devono pertanto essere coordinati con quelli considerati dalla norma ambientale sostanziale (leggi il nostro approfondimento qui). Si pone immediatamente la questione relativa ai delitti di inquinamento ambientale e di disastro ambientale (articoli 452-bis e 452-quater del codice penale): il Codice dell’Ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n 152) contiene già una definizione di “inquinamento” introdotta dalla disciplina sull’Aia e sulla tutela delle acque, mentre per le bonifiche (Parte IV, Titolo V) il medesimo decreto fornisce una diversa definizione di “contaminazione”. Emerge quindi il seguente dubbio: il reato di inquinamento ambientale va letto esclusivamente con riferimento alle definizioni ambientali oppure possiede una portata più ampia e generale? L’incertezza persiste.
Per una panoramica completa sulle novità introdotte leggi l’articolo Ecoreati, 5 nuovi motivi per finire al gabbio.
Focus sul reato di omessa bonifica
Inoltre i reati introdotti vanno ad influenzare in maniera evidente la materia relativa alla gestione dei siti contaminati, contribuendo ad estendere le responsabilità penali ai privati terzi che hanno sottoscritto accordi per la bonifica dei suoli. Entra infatti in gioco il reato di omessa bonifica (art. 452-terdecies), il quale punisce chiunque, essendovi obbligato, non provvede alla bonifica, al ripristino e al recupero dello stato dei luoghi. Le pene si muovono tra un minimo edittale di 1 anno ed un massimo di 4, con una multa prevista che ondeggia tra i 20mila e gli 80mila euro.
Tale ipotesi di reato tende a coincidere in sostanza con quella stabilita dal Codice dell’Ambiente che all’art. 257 punisce colui che, avendo provocato una contaminazione, non provvede alla bonifica. Colui che causa la contaminazione è infatti tenuto dall’ordinamento a bonificare (in questa direzione anche la Corte di Giustizia Europea).
Proprio alla luce di ciò, a parere della giurisprudenza consolidata, la Pubblica Amministrazione può legittimamente ordinare la bonifica solo al soggetto responsabile che è il soggetto obbligato per legge.
Ciò condurrebbe a ritenere che entrambe le ipotesi di reato contemplino nella sostanza la stessa fattispecie, con conseguente dubbio applicativo.
Da una prima lettura affiorerebbe (come possibile differenza tra i due reati) solamente il caso di ordine dell’autorità giudiziaria emesso nei confronti di un soggetto privato, che pur non responsabile della contaminazione, abbia contrattualmente assunto l’obbligo a bonificare un sito contaminato, ripartendo così gli oneri di bonifica tra i privati diversamente rispetto alle responsabilità stabilite dalla legge. Per tale motivo una particolare attenzione dovrà pertanto essere posta agli accordi privati che regolano gli adempimenti di bonifica.
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