Un fatturato da oltre 16 miliardi di euro per un settore che sfrutta, saccheggia e danneggia il patrimonio ambientale, paesaggistico, faunistico, culturale e artistico, e, di conseguenza, chi lo abita.
E’ questo il dato che emerge dal Rapporto Ecomafia 2012 di Legambiente.
Nel 2011 sono stati oltre 33mila i reati ambientali scoperti, quasi 93 al giorno, il 9,7% in più rispetto al 2010. In aumento anche i reati contro il patrimonio faunistico, gli incendi boschivi, i furti delle opere d’arte e dei beni archeologici. Sono triplicati gli illeciti nel settore agroalimentare.
In lieve flessione (ma con numeri sempre straordinari soprattutto se confrontati col business legale), i reati nel ciclo dei rifiuti e del cemento.
5.284 reati e 5.830 persone denunciate nel primo settore. Aumentano i traffici illeciti internazionali mentre i rifiuti gestiti illegalmente e sequestrati si sono attestati sulle 346 mila tonnellate, come se 13.848 enormi tir si snodassero in una fila lunga più di 188 chilometri.
Sono invece 6.662 gli illeciti e 8.745 le persone denunciate (circa 4 al giorno), nel ciclo del cemento, dove nonostante la crisi e il calo del 20% stimato dal Cresme nel mercato legale, l’abusivismo ha fatto registrare 25.800 casi tra nuove costruzioni o grandi ristrutturazioni, con un fatturato che si conferma stabile intorno a 1,8 miliardi di euro.
La maggior parte dei reati registrati (il 47,7%) riguarda ancora una volta le quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, con la Campania in testa (con 5.327 infrazioni), seguita dalla Calabria (3.892), dalla Sicilia (3.552) e dalla Puglia (3.345). Mantiene il quinto posto il Lazio (2.463), mentre la prima regione del nord in classifica è la Lombardia (con 1.607 reati) seguita dalla Liguria (1.464).
Contro questi criminali che saccheggiano e devastano il Paese, tante forze dell’ordine impegnate a contrastare abusi e illeciti: dal Corpo forestale dello Stato al Comando tutela patrimonio ambiente, dalle Capitanerie di porto alla Guardia di Finanza, col Corpo tutela patrimonio culturale e la Direzione investigativa antimafia, l’Agenzia delle dogane, la Polizia di Stato, il Corpo forestale delle regioni autonome e la Polizia provinciale, insieme al Comando dei Carabinieri politiche agricole e al Comando dei carabinieri tutela della salute. Lo scorso anno hanno effettuato 8.765 sequestri, 305 arresti (100 in più, rispetto all’anno precedente con un incremento del 48,8%), con 27.969 persone denunciate (7,8% in più rispetto al 2010).
La criminalità espande le sue radici anche negli uffici della pubblica amministrazione: sono già 18 le amministrazioni comunali (anche al nord come Bordighera e Ventimiglia in provincia di Imperia, Leinì e Rivarolo in provincia di Torino) sciolte per infiltrazioni mafiose solo nei primi mesi del 2012, per reati spesso legati al ciclo illegale del cemento.
Non mancano i coinvolgimenti con i cosiddetti “colletti bianchi”, soggetti dalla fedina penale pulita, con ruoli nelle pubbliche amministrazioni e in grado di gestire a fini illegali i loro canali burocratico-amministrativi. Grazie a queste collaborazioni e al dilagare della corruzione, aumentano i casi di gestione illegale dei soldi pubblici: così in Calabria i cantieri della ‘ndrangheta lavorano sempre a pieno ritmo e in Campania i finanziamenti dell’emergenza rifiuti hanno arricchito i camorristi. Mentre diminuisce il fatturato legale degli investimenti pubblici considerati a rischio nel sud, quello illegale si conferma stabile (16,6 miliardi di euro nel 2011).
Visualizza i grafici dei dati di Ecomafia 2012
“L’Italia – ha dichiarato il responsabile dell’Osservatorio nazionale Ambiente e legalità di Legambiente Enrico Fontana – ha bisogno di stringere un vero patto per l’ambiente e la legalità che faccia leva sull’effettiva applicazione delle leggi e preveda nuove forme di tutela dell’ambiente dai fenomeni di illegalità. Per questo lanciamo oggi la campagna Abbatti l’abuso, perché è da qui che bisogna cominciare, non ci sono scuse. Le case illegali vanno demolite come prevede la legge. In attesa di vedere finalmente l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel Codice penale, è urgente contrastare questo assalto al Belpaese compiendo tutti il proprio dovere, senza eccezioni”.
La gravità dei fatti e i numeri denunciati in questo rapporto esigono una risposta efficace, un nuovo sistema di tutela del patrimonio naturale e culturale che passi necessariamente attraverso la semplificazione normativa, che riduca i margini di discrezionabilità e di incertezza; la riforma del sistema dei controlli, per evitare duplicazioni e sacche di inefficienza, e l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale, come previsto dalla direttiva comunitaria del 2008, formalmente recepita ma di fatto finora disattesa dal nostro paese.
“Il confine tra legalità e illegalità è sempre più labile – ha dichiarato il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Vizi privati e relazioni pubbliche tendono a fondersi in un’unica zona grigia dove lecito e illecito si mischiano e si sostengono a vicenda, spesso con la mediazione di figure interne alla pubblica amministrazione, grazie al collante della corruzione sempre più diffusa. Questa mafia, evoluta e trasformata per meglio penetrare nei contesti legali e diffondersi ovunque, sembra non essere intaccata nemmeno dagli arresti dei boss, mentre l’unico strumento che si è dimostrato efficace, la destinazione sociale dei beni confiscati, rischia di essere rimessa in discussione col rischio che torni in campo l’ipotesi della vendita ai privati e quindi la scontata possibilità che i beni tornino in mano ai mafiosi.
Su oltre 10.500 beni confiscati infatti, solo 5.835 sono stati destinati per finalità istituzionali o sociali. Il resto è bloccato in un limbo, spesso a causa delle ipoteche bancarie”.
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