Demolizione e ricostruzione: tre condizioni per non perdere la SCIA alternativa

Con una recente sentenza il Consiglio di Stato precisa che la “demoricostruzione” resta ristrutturazione (e non diventa nuova costruzione) solo se ricorrono insieme tre condizioni.

Demolire un edificio industriale e ricostruirlo a uso residenziale quattro anni dopo, accorpando volumetrie distinte e realizzando sbancamenti del terreno, non è ristrutturazione edilizia ma nuova costruzione.

Affrontando il caso concreto di un contenzioso nel Comune di Milano il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8542 del 4 novembre scorso, fissa i confini della “demoricostruzione” e chiarisce quando la SCIA alternativa al permesso di costruire è ammissibile e quando è inadeguata. Indicate tre condizioni che consentono di distinguere agevolmente i casi, anche per evitare contenziosi in futuro.

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Indice

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Donato Palombella, Maria Palombella | Maggioli Editore

Quando anche la SCIA alternativa non basta

Il caso affrontato dal Consiglio di Stato riguarda una società che ha acquistato a Milano nel 2017 un immobile industriale, capannone principale e un deposito pertinenziale separato, e nel 2018 ha presentato SCIA per bonifica e demolizione dell’edificio esistente. Quattro anni dopo, nel 2022, ha presentato una nuova SCIA alternativa al permesso di costruire (c.d. Super SCIA) per demolizione e ricostruzione con cambio di destinazione d’uso da industriale a residenziale, fuori sagoma e sedime.

Il progetto prevedeva un edificio residenziale di due piani fuori terra con quattro unità abitative e sette posti auto interrati, da realizzarsi mediante sbancamento del terreno e muro di contenimento. Il Comune di Milano, con provvedimento del 17 ottobre 2023, ha attestato la conformità edilizia e urbanistica del progetto, ma i condomini di un immobile vicino hanno impugnato l’atto. Il TAR Lombardia ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento. Decisione confermata dal Consiglio di Stato sulla base del concetto stesso di “demoriscostruzione”.

No al “credito volumetrico” per ricostruire altrove

Nella sentenza viene definito il perimetro degli interventi di demoriscotruzione, o “ristrutturazione ricostruttiva”, alla luce dell’attuale testo normativo (art. 3, comma 1, lett. d) del TUE) che amplia il perimetro degli interventi rispetto al testo originario del 2001, ma fissa comunque specifici paletti

La versione iniziale richiedeva infatti “demolizione e successiva fedele ricostruzione” con identità di sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali. Il d.lgs. 301/2002 ha eliminato l’aggettivo “fedele” e il vincolo di sedime e materiali. Il d.l. 69/2013 ha rimosso il limite di sagoma per gli edifici non vincolati e introdotto il ripristino di edifici crollati o demoliti. Il d.l. 76/2020, convertito in legge 120/2020, ha poi consentito di far rientrare nel perimetro anche i casi di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche diverse, precisando però che l’intervento può prevedere incrementi di volumetria nei soli casi previsti dalla legislazione o dagli strumenti urbanistici comunali.

In pratica, si legge nella sentenza, anche eliminando questo vincolo “non si può ritenere che dalla demolizione derivi – di per sé sola e in assenza di specifiche previsioni di legge o degli strumenti urbanistici – una sorta di “credito volumetrico” che il proprietario può spendere rimanendo comunque nell’alveo della “ristrutturazione”, dovendo quest’ultima rispettare una serie di limiti e condizioni”.

Si tratta di tre requisiti specifici: la violazione anche di una sola di queste condizioni comporta la qualificazione come nuova costruzione. Vediamoli.

Tre requisiti obbligatori

Il primo requisito è l’unicità dell’edificio oggetto di intervento. In pratica – si legge nella sentenza – non si può accorpare volumetria di manufatti che erano distinti né frazionare un volume originario in più edifici. La disposizione fa riferimento a “un organismo edilizio” rispetto al “precedente” al singolare, evocando elementi come sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche che presuppongono un unico termine di paragone. Chi vuole demolire due capannoni separati e accorparne i volumi in un unico edificio non fa ristrutturazione, ma nuova costruzione.

Il secondo requisito è la contestualità temporale tra demolizione e ricostruzione. Entrambe devono essere legittimate dal medesimo titolo edilizio, dando luogo a un’unitarietà dell’intervento. L’ipotesi del ripristino di edifici crollati o demoliti, introdotta nel 2013, costituisce caso distinto che recupera sul piano sostanziale la continuità persa su quello temporale, richiedendo però la dimostrazione mediante elementi oggettivi (atti di fabbrica, titoli edilizi, planimetrie catastali) della “preesistente consistenza” del fabbricato. Chi demolisce in base a una SCIA e ricostruisce anni dopo con altra SCIA non può invocare la ristrutturazione ricostruttiva, perché manca l’unicità del procedimento.

Il terzo requisito è la neutralità dell’intervento sul territorio. Dall’art. 3, lett. d) del TU edilizia si ricava che il volume ricostruito non può superare quello demolito e che sono escluse opere che comportino trasformazioni morfologiche del territorio ulteriori rispetto a quelle già determinate dall’immobile preesistente. L’eliminazione dei vincoli di sagoma e sedime non ha cancellato il minimo comune denominatore delle varie versioni della norma, consistente nell’impatto neutro sul territorio nella sua dimensione fisica. Il d.l. 76/2020 ha confermato questa finalità conservativa riconducendo le innovazioni agli scopi di “recupero e qualificazione del patrimonio edilizio esistente” e “contenimento del consumo di suolo”. Chi realizza sbancamenti, muri di contenimento e seminterrati non strettamente funzionali al riuso del volume disponibile trasforma la morfologia del territorio oltre quanto espresso dall’immobile demolito.

No a chi viola anche una sola delle condizioni

Come sottolineato nella sentenza, nel caso in questione tutti e tre i requisiti risultano violati

  1. La mancanza di contestualità temporale è dirimente: l’edificio è stato demolito nel 2018 con una SCIA e la ricostruzione è stata progettata nel 2022 con altra SCIA;
  2. l’unicità dell’edificio è compromessa dall’accorpamento di volumetrie distinte che viola il limite della neutralità perché, mentre in origine l’impatto sul territorio era limitato al fabbricato principale per l’irrilevanza della pertinenza, con la ricostruzione si arriva a un immobile di volumetria e incidenza maggiore;
  3. la neutralità sul territorio è oltrepassata anche per le opere di sbancamento, costruzione del muro di contenimento, realizzazione del seminterrato, della rampa carraia e della sede viaria di collegamento, lavori che non si limitano a quanto strettamente funzionale al riuso della volumetria disponibile,  ma comportano un rimodellamento morfologico che qualifica il complessivo intervento come nuova costruzione. L’intervento va apprezzato in modo globale e non atomistico.

Il mancato rispetto di queste tre condizioni conduce a qualificare l’intervento come nuova costruzione, e quindi a rendere impraticabile il ricorso alla sola SCIA.

Tabella riepilogativa: requisiti della ristrutturazione ricostruttiva

RequisitoContenutoConseguenzeVerifica operativa
Unicità edificioIntervento su unico organismo edilizio. Vietato accorpare volumi di manufatti distinti o frazionare volume in più edifici.Qualificazione come nuova costruzione. Necessario permesso di costruire.Verificare che volumetria utilizzata provenga da unico fabbricato. Escludere pertinenze separate anche se urbanisticamente irrilevanti.
Contestualità temporaleDemolizione e ricostruzione legittimate dallo stesso titolo edilizio (SCIA alternativa o permesso).Qualificazione come nuova costruzione. Se già demolito: necessaria dimostrazione preesistente consistenza con elementi oggettivi.Controllare che non vi sia precedente demolizione con altro titolo. Se edificio non più esistente: acquisire atti di fabbrica, titoli edilizi, planimetrie catastali per cubatura e sagoma certe.
Neutralità territorioVolume ricostruito non superiore a quello demolito. Escluse opere che trasformano morfologia territorio oltre riuso volume disponibile.Qualificazione come nuova costruzione. Necessario permesso di costruire.Verificare assenza incrementi volumetrici salvo previsioni specifiche. Escludere sbancamenti, muri contenimento, seminterrati, rampe non strettamente funzionali al riuso volume.
Incrementi volumetriciAmmessi solo nei casi espressamente previsti da legislazione vigente o strumenti urbanistici comunali.Qualificazione come nuova costruzione per la parte eccedente.Verificare presenza specifica previsione normativa o di piano. Non utilizzare indici di nuova costruzione.
Contestualità (caso ripristino edifici demoliti/crollati)Se manca contestualità, necessaria dimostrazione preesistente consistenza mediante elementi oggettivi.Inammissibilità intervento per impossibilità verificare consistenza.Acquisire documenti che consentano determinazione certa di cubatura e sagoma (atti fabbrica, titoli edilizi, planimetrie catastali). Non bastano asseverazioni tecniche.

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Antonella Donati

Giornalista professionista, vanta una vasta conoscenza delle normative vigenti in ambito edilizio con una particolare attenzione alle problematiche operative per i professionisti tecnici e agli aspetti fiscali. Ha pubblicato numerosi volumi e articoli che offrono approfondimenti …Continua a leggere

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