Va sgombrato il campo da una pericolosa tentazione che vede il termine “Grandi Opere” sinonimo di malaffare, corruzione e opacità del sistema. Ne parla convinto Claudio De Albertis, presidente nazionale dei costruttori italiani di ANCE, intervistato in esclusiva sul dibattito aperto dal nostro quotidiano sul rapporto tra infrastrutture, grandi eventi e condivisione con la pubblica opinione.
Si tratta di un rapporto oggi diventato difficile in cui si moltiplicano i movimenti “NO” che si oppongono alla realizzazione di opere e infrastrutture o all’organizzazione di eventi di respiro internazionale.
Mauro Ferrarini. La tentazione sarebbe quella di classificare tali iniziative come tentativi di boicottaggio “a prescindere” con connotazioni politiche. Eppure è fuori di dubbio che le recenti e continue rivelazioni su malaffare e opacità nel mondo degli appalti abbiano scavato un solco: da un lato la politica e il mondo imprenditoriale, dall’altro la comunità che vede con cinico sospetto (spesso non ingiustificato) ogni tentativo di dare il via a opere anche di importanza strategica. Avverte anche lei questo clima?
Claudio De Albertis. Il consenso del territorio intorno alle opere infrastrutturali rappresenta spesso un elemento estremamente problematico che se non ben gestito rischia di diventare uno dei grandi ostacoli alla loro realizzazione. Soprattutto quando l’opinione pubblica e il comune sentire vengono fortemente condizionati dall’evidenza di ripetuti episodi di corruzione, legati a importanti interventi infrastrutturali, e finiscono per essere utilizzati come ulteriore elemento di dissuasione.
La realizzazione di un’opera ha invece un’importanza fondamentale per lo sviluppo economico, la competitività e la qualità della vita di un territorio.
Tutti gli indicatori economici e sociali lo dicono chiaramente: il gap infrastrutturale italiano è una delle zavorre che pesano maggiormente sulla capacità del nostro Paese di agganciare la ripresa.
È chiaro quindi che bisogna spezzare il binomio che vede nella costruzione di un’infrastruttura solo uno spreco di denaro pubblico o, peggio, un regalo al malaffare.
Mauro Ferrarini. Ma cosa fa ANCE per assicurare che il mondo imprenditoriale legato al settore delle costruzioni non presti il fianco ad accuse e sospetti di collusione con un certo mondo politico?
Claudio De Albertis. A tal fine, l’ANCE propone da tempo misure specifiche di contrasto a questi fenomeni, molte delle quali hanno trovato piena corrispondenza all’interno del disegno di legge delega per il recepimento delle nuove direttive europee. A cominciare dalla necessaria semplificazione normativa, per superare l’attuale caos legislativo che ha giustificato il frequente ricorso alle deroghe alle norme e alla nomina di commissari straordinari. Va detto con chiarezza, infatti, che i poteri extra ordinem andrebbero utilizzati solo per far fronte a vere emergenze, impreviste e imprevedibili, come quelle dovute alle calamità naturali.
Alla semplificazione del quadro delle regole deve, poi, necessariamente accompagnarsi una revisione e un rafforzamento dei momenti di controllo procedurale e una maggiore qualificazione e responsabilizzazione di tutti gli attori coinvolti nella realizzazione delle opere.
Mauro Ferrarini. Il dibattito aperto da Francesco Rutelli si basa sulla proposta di una programmazione di ampio respiro dei progetti di interesse pubblico con la partecipazione di professionisti ed enti pubblici e un’ampia condivisione delle scelte strategiche con la popolazione interessata in una sorta di debat publique. Come giudica questa proposta: velleitaria o concreta?
Claudio De Albertis. È una proposta interessante. Partendo dal presupposto che è ai soggetti pubblici che spetta in via esclusiva la decisione e la responsabilità politica delle scelte finali sulle opere da inserire nella programmazione, non c’è dubbio che il contributo di idee progettuali da parte dei professionisti, soprattutto nelle fasi iniziali, rappresenti un valore importante. Al tempo stesso è necessario, fin dalla fase di ideazione dell’opera, istituire un meccanismo di coinvolgimento della popolazione interessata, comunicando gli obiettivi dell’intervento e acquisendo così il consenso intorno alla sua realizzazione. Solo in questo modo si possono prevenire i contenziosi futuri.
Mauro Ferrarini. Concretamente, come si dovrebbe organizzare lo strumento di condivisione pubblica perché sia efficace?
Claudio De Albertis. Il modello potrebbe essere quello del débat public francese, che demanda a un’autorità indipendente e altamente specializzata il compito di regolare la consultazione dei soggetti interessati. Tale confronto potrebbe svolgersi sulla base dello studio di fattibilità approvato o della prima bozza di progetto preliminare, in modo tale che diventino un orientamento per le scelte progettuali che verranno adottate e convalidate successivamente nella conferenza dei servizi. Ricostruire il dialogo, infatti, è la sfida più difficile da affrontare, ma è anche condizione necessaria che può segnare una svolta nella storia e nella cultura italiana del fare infrastrutture.
Mauro Ferrarini. Un altro elemento di discussione si basa sulla c.d. Legacy delle opere create per un evento di dimensioni internazionali come è stato EXPO a Milano. Per i mondiali di nuoto a Roma l’eredità sono state delle vere e proprie cattedrali nel deserto, mentre a Milano il dibattito è aperto a testimonianza che non si è pensato ex ante al destino delle opere realizzate. In questo contesto i costruttori italiani si sentono parte in causa o ritiene che il destino delle strutture debba dipendere esclusivamente da scelte operate dalla Politica?
Claudio De Albertis. Il futuro delle opere realizzate in occasione di grandi eventi, e non solo, è strettamente legato alla qualità della progettazione. Un buon progetto nasce, infatti, da una chiara visione dello sviluppo sociale ed economico che l’opera, una volta completata, potrà e dovrà realizzare. E deve puntare non soltanto a minimizzare il costo di realizzazione, ma anche quello di gestione e manutenzione, due aspetti spesso trascurati da una progettazione superficiale e miope. Troppo spesso, infatti, soprattutto nei grandi eventi, le opere acquistano significato solo nella fase di realizzazione, perdendolo, poi, nella fase gestionale. Per questo motivo, sebbene sia compito della politica indicare la funzione che un intervento deve svolgere per il territorio, il coinvolgimento delle imprese sarebbe auspicabile. Nella fase esecutiva della progettazione, infatti, la presenza imprenditoriale potrebbe offrire maggiore chiarezza al conseguimento degli obiettivi che le amministrazioni coinvolte vogliono perseguire.
Mauro Ferrarini. Un suo parere sulla riforma degli appalti pubblici. Il presidente della Commissione ambiente della Camera, Ermete Realacci, la descrive come la chiave di volta per dare impulso al Paese, rimarcando il ritorno della centralità del progetto come elemento caratterizzante. Lei che dice?
Claudio De Albertis. La riforma degli appalti pubblici è senza dubbio uno strumento determinante ai fini della ripresa e di un salto di qualità del settore. Molti dei principi in essa contenuti, d’altronde, sono in linea con quanto da tempo auspicato dall’Ance. A tale scopo sarà necessario che il testo finale risponda pienamente alle esigenze di semplificazione delle norme e eliminazione dei tanti vincoli che pongono le imprese italiane in posizione svantaggiata rispetto ai concorrenti europei. Sono pienamente d’accordo sul fatto che la progettazione sia il momento centrale per la realizzazione di un’opera nel rispetto dei tempi e costi preventivati. Per questo, è positivo che la delega di modifica del codice degli appalti si ponga come obiettivo proprio la valorizzazione della fase progettuale, promuovendo il progressivo uso di strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione elettronica e informativa per l’edilizia e le infrastrutture (BIM), così come ha indicato l’Europa. Come ANCE siamo pronti ad accogliere questa sfida, nella consapevolezza, però, che solo con un’azione sinergica tra professionisti, imprese e amministrazioni sia possibile riuscire a realizzare questa rivoluzione nel campo degli appalti.
Mauro Ferrarini. Si sta discutendo in questi giorni della Legge di Stabilità 2016, finalmente espansiva dopo anni di rigore reso necessario dal perdurare della crisi. Anzitutto, ritiene che sia stato giusto dare questa impostazione alla manovra o pensa che una maggiore “prudenza” nei conti sarebbe stata una scelta più saggia?
Claudio De Albertis. Di prudenza nei conti pubblici ne abbiamo avuta anche troppa, in materia di infrastrutture. Dal 2008 a oggi, le scelte di bilancio, contenute nelle varie leggi di stabilità che si sono succedute, hanno imposto una riduzione di stanziamenti per infrastrutture pari al 43%. Nello stesso periodo le risorse stanziate per spese correnti sono aumentate, invece, di circa il 12%. Stessa tendenza, ancora più amplificata, si è registrata nelle spese effettive sostenute dai comuni nel corso degli stessi anni, con tagli del 47% nelle spese per investimenti e un aumento del 17% per quelle correnti. Come si vede, quindi, c’è chi ha pagato più di altri il risanamento dei conti pubblici.
Mauro Ferrarini. Mi dica un contenuto della finanziaria che le piace e una che stralcerebbe volentieri subito.
Claudio De Albertis. L’attuale legge di stabilità consente di superare questo paradosso introducendo due importanti novità: il superamento del patto di stabilità interno e l’accelerazione della spesa per gli investimenti, grazie alla richiesta all’Europa della clausola di flessibilità per investimenti infrastruttura. Questo disegno potrà consentire una spesa aggiuntiva in infrastrutture, nel 2016, di almeno 3,5 miliardi di euro. Più che norme da stralciare, mi piacerebbe vedere nella stabilità che sarà approvata, un maggiore coraggio dell’azione del Governo sul settore immobiliare, puntando sulla rigenerazione delle città e sull’efficientamento energetico. Per raggiungere questo obiettivo si deve sostenere, attraverso incentivi fiscali mirati, l’acquisto di abitazioni in classe energetica elevata, superando così le sperequazioni esistenti che, nei fatti, privilegiano le compravendite di immobili usati, spesso inadeguati e energivori. In questo modo si raggiungerebbero due importanti risultati: rilanciare gli investimenti in edilizia e rinnovare il patrimonio immobiliare delle nostre città.
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