La figura del CTU è da tempo al centro di una lenta ma profonda evoluzione, sospinta dall’urgenza di deflazionare il contenzioso giudiziario e dalla crescente valorizzazione delle competenze relazionali nei procedimenti civili. In questo contributo, il primo di tre focus su questa professione, Paolo Frediani, autore del volume Il CTU Conciliatore (Maggioli Editore, 2024 >> questo il link per acquistarlo su Amazon), approfondisce l’inquadramento normativo e giurisprudenziale del ruolo conciliativo del consulente tecnico, anche alla luce delle più recenti riforme.
>> Vorresti ricevere articoli come questo? Clicca qui, è gratis
Indice
Consigliamo:
Il CTU Conciliatore
Nell’odierno processo civile il giudice chiede sempre al CTU di tentare la conciliazione della controversia; le prassi diffuse negli uffici giudiziari ormai – superando i limiti imposti dalla normativa – hanno fatto diventare l’esperimento conciliativo una delle attività più importanti del CTU. Ma conciliare due o più soggetti in lite in una causa giudiziaria richiede impegno, dedizione e specifiche competenze che oggi la stessa riforma Cartabia prevede espressamente all’art. 3 del DM 109/2023; nessuno tuttavia si è mai preoccupato di formare il consulente in tali importanti compiti. Molte sono le domande e i dubbi dei CTU su questo aspetto. Il testo, volutamente pratico ed agile, vuole fornire un supporto operativo consentendo al lettore di acquisire le capacità per proporre, condurre e concludere positivamente l’esperimento conciliativo della vertenza. L’autore è stato il primo nel panorama editoriale a curare ed approfondire con volumi tale importante tema sin dal 2004 e con questo prezioso testo e con le indubbie doti riconosciutegli prende per mano il CTU e lo conduce allo svolgimento dell’importante e delicato compito, nobilitando così la definizione di CTU conciliatore.Paolo Frediani Geometra libero professionista; consulente tecnico forense nei settori civili e penali dal 1990; libero docente in corsi di formazione professionale dal 1999; professore a contratto Università di Pisa; docente presso la Scuola Superiore della Magistratura; autore e pubblicista. Grande esperto e cultore della conciliazione, ha intuito tra i primi le sue potenzialità nell’alveo endoperitale sin dai primi anni 2000 con pubblicazioni dedicate.
Paolo Frediani | Maggioli Editore 2024
22.80 €
Contesto introduttivo
Da ben prima che si parlasse nel nostro paese dei cosiddetti sistemi alternativi della giustizia civile, i cosiddetti ADR (Alternative Dispute Resolution), e dei relativi operatori (conciliatore e più tardi mediatore), le attività di conciliazione – seppur in ambito giurisdizionale – venivano svolte dall’ausiliario del giudice. D’altra parte la figura del CTU ha sempre portato con sé, oltre al compito di esperto per il magistrato, anche un valore in ossequio ai principi di terzietà, autorevolezza e competenza che la caratterizzano.
Ma è con l’introduzione della consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite di cui all’art. 696 – bis c.p.c che al CTU si è conferito per la prima volta in modo così chiaro e per un’amplissima casistica di vertenze, il riconoscimento di conciliatore fino ad allora previsto nel processo di cognizione limitatamente al disposto dell’art.198. Tuttavia ancor oggi gran parte degli incarichi di conciliare la controversia rimangono sprovvisti del riconoscimento di legge; infatti i consulenti li ricevono nell’ambito del processo di cognizione dove tale attività è limitata agli incarichi di cui all’art.198 di portata, per la verità, molto limitata.
Ma nella prassi oramai in uso, negli uffici giudiziari tale limitazione risulta superata con l’assegnazione nell’incarico di tentare la lite anche nei processi ordinari. Di questo se ne è accorto il legislatore (molto tardivamente, per la verità) che con la riforma Cartabia, al punto e) del comma 2 articolo 3 del decreto ministeriale n.109 del 2023 prevede per il CTU nel contenuto dell’albo dei consulenti tecnici “il possesso di adeguate e comprovate competenze nell’ambito della conciliazione, acquisite anche mediante specifici percorsi formativi” così riconoscendo l’essenzialità delle finalità conciliative nei compiti peritali.
Il riconoscimento normativo del CTU conciliatore
Con la riforma del processo civile, entrata in vigore il 1° marzo 2006, il legislatore introdusse nel codice di procedura l’art. 696-bis (Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite)[0]. L’articolo recepiva, nella sostanza, il contenuto dell’art. 49 della relazione della Commissione ministeriale presieduta dal prof. Romano Vaccarella nel 2001 e dislocato nella Sezione IV (Dei procedimenti di istruzione preventiva) del Capo III (Dei procedimenti cautelari), del Libro IV del Codice di rito, che oltre a riconoscere al CTU funzioni conciliative in un campo amplissimo, prevede il tentativo di conciliazione in una procedura che risiede fuori dalla causa.
L’istituto contiene sostanzialmente due profili: l’uno di finalità conciliativa, originato dalla volontà di creare uno strumento deflattivo del contenzioso, consentendo alle parti di addivenire alla conciliazione sul nascere della controversia, l’altro con pura finalità cognitiva. Il contenuto di quest’ultimo non ha niente in comune con gli strumenti di natura cautelare, trattandosi di strumento più simile alla consulenza in corso di causa. Al consulente, infatti, non è demandata alcuna cognizione diretta sulla situazione controversa, cognizione dedotta dal giudice competente nella successiva controversia di merito. La dizione generica della norma, dall’inadempimento o inesatto adempimento sia di obbligazioni contrattuali che di generiche obbligazioni risarcitorie extracontrattuali, conferisce allo strumento un campo applicativo molto ampio. In tal senso non può sfuggire la versatilità che il legislatore ha voluto offrire alla prassi applicativa in relazione alla tutela giurisdizionale dei diritti. Pensiamo allora alle numerose controversie in materia contrattuale del settore edilizio-immobiliare di responsabilità civile professionale od altro ancora che affollano le aule dei nostri tribunali e dove assume un rilievo centrale, per la decisione giurisdizionale, il mezzo della consulenza tecnica.
Ecco quindi che la consulenza tecnica preventiva offre alle parti, in tempi che evidentemente sfuggono alla durata di un procedimento ordinario, lo spunto per una intesa oppure la possibilità di vedere ridimensionate o annullate le proprie pretese facendole quindi astenere dal ricorso ad un processo di cognizione, a quel punto, forse poco utile ed oneroso. Nel caso che la conciliazione riesca, il consulente deve formare un processo verbale di conciliazione che, depositato in cancelleria, viene inserito nel fascicolo di ufficio cui il giudice mediante proprio decreto, attraverso un controllo meramente formale sulla regolarità delle sottoscrizioni e sull’oggetto, attribuisce forma di efficacia esecutiva.
Gli effetti e i limiti della conciliazione endoperitale
In tale senso si rafforzano gli effetti della conciliazione, non limitati a offrire titolo per una espropriazione, ma anche, ampliando l’ambito della tutela ed eliminando l’ulteriore ricorso al giudice di merito, per una esecuzione in forma specifica o per una iscrizione ipotecaria. È altresì da evidenziarsi l’esenzione, del processo verbale di conciliazione, dall’imposta di registro.
Nella ipotesi che invece la conciliazione abbia esiti negativi, il consulente deve provvedere al deposito della relazione peritale. Inoltre è da osservare come la norma non richiami l’applicazione dell’art. 200 c.p.c., come invece accade nel tentativo di conciliazione previsto dall’art. 198 c.p.c., cosicché il C.T.U. non è tenuto a riportare le dichiarazioni delle parti che il giudice, in questi ultimi casi, può valutare a norma dell’art. 116 c.p.c. (valutazione delle prove), liberando quindi queste dal peso non trascurabile che le proprie dichiarazioni, atteggiamenti o condotte possano sfociare in valutazioni da parte dell’organo giudicante ampliando, così, le reali potenzialità dello strumento conciliativo.
Il tentativo conciliativo nelle prassi giudiziarie
In ordine al tentativo di conciliazione la norma prevede che “il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti”, rimettendo quindi, nella sostanza, l’esercizio dell’esperimento ad una certa discrezionalità del consulente e all’accettazione delle parti.
Di lunga data è invece la presenza nel codice di procedura civile dell’esperimento di conciliazione in materia contabile previsto dall’art.198 c.p.c.. L’articolo, inserito nel Libro II – Del processo di cognizione – dell’istruzione probatoria, prevede la possibilità di esperire il tentativo di conciliazione da parte del C.T.U., con espresso incarico attribuitogli dal giudice istruttore, nella consulenza che abbia ad oggetto esame di documenti contabili e registri e quindi in ambiti piuttosto ristretti. [1]
Nel caso la controversia si esaurisca nell’accordo, il consulente, in conformità all’art.199 c.p.c. sottoscrive il processo verbale di conciliazione unitamente alle parti; il verbale deve essere depositato in cancelleria per dar modo al giudice di munirlo di efficacia di titolo esecutivo mediante decreto[2]. Nell’ipotesi che invece il tentativo di conciliazione non riesca, il consulente, a norma dell’art.200 c.p.c, riporta i risultati delle indagini compiute, unitamente al suo parere, in una relazione depositata in cancelleria nel termine fissato dal giudice istruttore. Occorre osservare che, a norma dell’art. 116, comma 2, c.p.c., le dichiarazioni delle parti possono essere valutate dal giudice, nella propria autonomia, per contribuire a formare il proprio convincimento[3].
Un ruolo in evoluzione tra prassi e mancanze normative
Ma al di là delle previsioni normative, occorre osservare – come noto a tutti gli operatori – che la realtà della prassi e delle pratiche diffusesi da tempo negli uffici giudiziari è ben diversa. Oramai, anche complici l’endemica crisi di funzionamento della giustizia civile e la mole di fascicoli che i magistrati si trovano a dover gestire, i giudici affidano costantemente al proprio consulente il compito di conciliare la lite inserendo l’indicazione nel quesito, in un certo senso quindi “ritualizzando” l’attività; insomma, il diritto sostanziale riconosce ciò che il diritto formale non ha ancora previsto. Il riconoscimento quindi – pur privo di una “copertura” normativa – è un invito formale rivolto all’ausiliario ad esperire la conciliazione, da un lato recuperando quella “mission” storica del consulente ma dall’altro mutandone sostanzialmente gli approcci, gli strumenti e le modalità operative che il consulente moderno deve utilizzare.
Infatti l’obiettivo della conciliazione è di individuare non una soluzione “giusta” – questo è compito del giudice – quanto una soluzione “conveniente” per gli interessati. E ciò è possibile solo se dal piano dei diritti si passa al piano degli interessi, a questi sottostanti. La funzione del mediatore è in verità, come osservato dal raffinato studioso Francesco Paolo Luiso, perfettamente equivalente a quella del catalizzatore nelle reazioni chimiche: i due elementi, che da soli non interagiscono, in presenza del terzo elemento (il catalizzatore) sviluppano la reazione, che porta alla formazione di un risultato, composto soltanto dai due elementi originari e non dal terzo[4].
Così l’accordo delle parti trova fondamento esclusivamente nella loro volontà contrattuale, senza che il terzo, che pure ha determinato le condizioni per la realizzazione di quell’accordo, assuma alcun ruolo nella validità ed efficacia del contratto. Il fondamento contrattuale della conciliazione consente anche di cogliere il vantaggio più rilevante della risoluzione autonoma (negoziale) della controversia rispetto alla risoluzione eteronoma (arbitrale o giurisdizionale): il potere dispositivo, che solo le parti hanno e che non possono ovviamente avere né il giudice né l’arbitro, consente di dare un contenuto atipico al contratto, finanche facendo sì che oggetto dello stesso siano diritti diversi da quello controverso. La soluzione negoziale della controversia non sempre è possibile, ma, quando lo è, essa ha un valore tangibilmente superiore alla soluzione giurisdizionale o arbitrale. Con il citato riconoscimento delle funzioni conciliative del consulente si attua nei fatti la volontà giurisdizionale di stimolare le parti verso la soluzione negoziata e, per il consulente, ad assumere quel delicato compito che, come abbiamo già evidenziato e come ricorderemo, è connotato da caratteri e riflessi operativi diversi rispetto a quelli tipicamente conosciuti dell’ausiliario del giudice.
Le nuove competenze
Ma tutto questo – come già osservato – non può non passare dalla qualità del consulente. Il CTU, anzitutto, deve considerare l’esperimento conciliativo come parte sostanziale del proprio incarico a cui dedicarsi con una formazione professionale adeguata e non come “compito estraneo”. Occorre comprendere che questa fase ha come obiettivo primario (tutt’altro che scontato e semplice) quello di far passare i confliggenti dall’ordine imposto a quello negoziato. L’obiettivo sarà infatti raggiunto se questi avranno abbandonato le dinamiche tipiche delle procedure avversariali a vantaggio di quelle non avversariali. Infatti, impegnati a confrontarsi nella sede giurisdizionale, spogliandosi da qualsiasi responsabilità, i contendenti hanno demandato la propria volontà e le loro decisioni ad un terzo che deciderà sulla base delle norme; nell’ordine negoziato invece le parti debbono confrontarsi in termini cooperativi cercando in piena autonomia una soluzione basata sugli interessi e sulle reciproche convenienze piuttosto che sui diritti. Gli approcci sono totalmente diversi e se vogliamo contrapposti: si tratta di delineare per le parti regole comportamentali per il futuro piuttosto che stabilire e decidere su condotte del passato. In buona sostanza uno sguardo in avanti piuttosto che indietro.
Per svolgere efficacemente questa funzione, il CTU deve quindi possedere, oltre alle competenze tecniche, anche abilità comunicative, negoziali e relazionali e, se vogliamo, specifiche sensibilità. Queste capacità richiedono il superamento di un certo approccio storico dei consulenti verso la conciliazione, alimentato da un certo disinteresse e talune diffidenze, a favore invece di un processo virtuoso costituito da sensibilità, competenze ed etica, indispensabili a porre al centro i reali bisogni e necessità delle parti coinvolte piuttosto che le ragioni di diritto.
In particolare occorre sviluppare negli ausiliari giudiziari competenze che potremmo definire di carattere “relazionale” attraverso contenuti formativi di comunicazione umana, di negoziazione cooperativa, di gestione del conflitto e della specifica procedura conciliativa delle quali oggi la maggior parte sono privi.
Ciò anche indirizzando il riconoscimento di distinte attitudini che alimentano le sensibilità alla base delle competenze professionali. D’altra parte non sfugge a nessuno come le qualità richieste dalle funzioni attuali del CTU siano da individuarsi in tre profili, racchiusi nell’acronimo ACE. A come Attitudini: fai quello che sei; C come Competenza: fai quello che sai; E come Etica: fai quello che senti giusto. Tutte qualità che nella funzione conciliative sono essenziali.
Da queste poche regole che contraddistinguono le basi dell’intervento del consulente-conciliatore, si comprende benissimo come per chi è impegnato nella causa questo percorso sia tutt’altro che semplice; deve essere il consulente tecnico di ufficio ad aiutare ad accedere a questa possibilità, offrendo conoscenze delle procedure, tempo per maturare consapevolezza accettando il mutamento di scenario ed i più efficaci ambiti di confronto e di discussione.
È importante allora per il consulente tecnico conoscere adeguatamente tutte le dinamiche e le metodologie; diventa indispensabile lavorare in modo cooperativo con i consulenti tecnici e soprattutto con i legali, sia sul piano normativo che su quello sostanziale, senza i quali alcuna attività conciliativa potrebbe avere luogo; tutto ciò nel precipuo indirizzo di connotare dell’indispensabile grado di condivisione, credibilità e concretezza tutta questa opera. Poi coinvolgere le parti in lite, che debbono partecipare direttamente agli incontri dedicati; queste, per quanto già osservato, impegnate in anni di causa giudiziaria e assoggettate al tipico confronto avversariale, hanno probabilmente perso la familiarità nel confrontarsi direttamente con la controparte.
Inoltre è molto importante costruire intorno all’opera conciliativa un clima di fiducia e serenità per far sentire i confliggenti nella migliore condizione per dare corso al confronto non permettendo, altresì, lo spostamento del dialogo sul piano personale (soggettivo) rispetto a quello del problema (oggettivo). Infatti quando le controversie si articolano intorno alle posizioni (su quello che le parti dicono di volere) rispetto agli interessi (quello che vogliono in realtà), è molto frequente che ci si limiti a considerare il piano personale poiché le parti hanno in questa l’unica visione della materia negoziabile. Dobbiamo inoltre valutare che il confronto sul piano delle posizioni non offre alcuna possibilità se non quella della transazione (dividere le quantità disponibili); quando anche si trovasse una soluzione dobbiamo tenere conto che questa intesa non produrrà mai un accordo soddisfacente perché vi sarà sempre una parte che ha guadagnato a spese dell’altra. Per questo motivo è indispensabile per il CTU operare l’alveo della possibile intesa sulla base degli interessi e delle necessità delle parti e ciò attraverso una indagine capillare con domande, studi dei linguaggi non verbali e paraverbali, delle condotte delle parti, per identificare gli interessi all’origine della disputa, ricercando anche quelli più nascosti ed impliciti, sapendo bene che in ogni conflitto esistono uno o più interessi che lo hanno originato e che, frequentemente, non sono quelli dichiarati dalle parti nei loro atti giudiziari.
In ultimo il CTU non deve cadere nella trappola (molto facile ed invitante) di sostituirsi nelle decisioni alle parti, rispettando invece la loro capacità di autodeterminazione. Occorre ricordare infatti che il consulente non deve mirare al raggiungimento di un accordo qualsiasi ma ad una intesa dal carattere duraturo, concreto, rispettato e condiviso, capace non solo di risolvere la lite ma di estinguere il conflitto.
Nella prossima puntata ci sposteremo sul piano operativo: quando e come condurre efficacemente il tentativo di conciliazione? L’autore propone una netta distinzione tra fase di cognizione e fase negoziale, individuando strategie concrete per rafforzare la credibilità del CTU nel delicato passaggio dal ruolo tecnico a quello conciliativo.
>> Se vuoi ricevere notizie come questa direttamente sul tuo smartphone iscriviti al nostro nuovo canale Telegram!
Suggeriamo anche:
Prontuario del CTU
Le funzioni di Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) hanno con il tempo assunto sempre più rilevanza e centralità nel processo in contrasto al fatto che per moltissimo tempo non se ne sia mai curata una qualificazione ed una spe-cializzazione.Cosicché, complice anche la crisi economica che ha attraversato il mondo delle professioni, molti sono i consulenti negli anni iscritti negli elenchi dei tribunali con scarse conoscenze e poche sensibilità degli ambiti in cui si trovano ad operare.L’autore, con l’abilità e la preparazione riconosciute, anche in questa seconda edizione aggiornata alle disposizioni della c.d. Riforma Cartabia, che giunge a quattro anni dalla prima, è riuscito a compendiare in un testo snello e di facile consultazione tutto il sapere, complesso e diversificato, del Consulente Tecnico.L’opera, in un quadro di sintesi strutturata con riflessi operativi, analizza le funzioni, gli ambiti processuali, le regole procedimentali, le responsabilità e le pratiche attività del Consulente Tecnico di Ufficio nei diversi momenti dell’incarico; l’analisi è arricchita di esempi, di tabelle esemplificative osservare/fare, di sezioni Faq e normative di riferimento e, al termine di ogni capitolo, dei Focus con i quali l’autore non rinuncia ad approfondimenti monotematici innovativi per contenuti e che rivelano bene il carattere dell’opera: semplice ma non semplicistica.Insomma tutto quello che un Consulente Tecnico d’Ufficio dovrebbe conoscere della propria attività: dalle norme di riferimento, all’albo ed all’elenco nazionale dei consulenti tecnici, da come svolgere le operazioni di consulenza alla relazione peritale, dai metodi e strategie per lo svolgimento dell’esperimento conciliativo a come richiedere il compenso al giudice fino alle responsabilità nei diversi profili.Completa il lavoro l’appendice con le maggiori formule per il Consulente Tecnico ed un pratico glossario dei termini in uso.Paolo FredianiGeometra libero professionista, svolge attività di consulente, perito ed ausiliario nella pubblica giurisdizione. Dal 1999 è libero docente in corsi di formazione e partecipa, in qualità cultore delle materie, a seminari e convegni. È docente presso la Scuola Superiore della Magistratura e a contratto presso Università di Pisa – Dipartimento Ingegneria Civile e Industriale nel corso di Laurea “Tecniche per le costruzioni civili e la Gestione del Territorio”. È autore di volumi e trattati sulla materia per i maggiori editori italiani. Collabora con quotidiani e portali d’informazione giuridica. In qualità di esperto è componente della Commissione estimo e attività peritali del Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati.
Paolo Frediani | Maggioli Editore 2023
26.60 €
La Consulenza Tecnica (CTU) e l’Accertamento Tecnico Preventivo (ATP) applicati alla Patologia Edilizia
Aspetti giuridici, procedimentali, casi pratici e conciliazione nelle ATP e CTU per danni, difetti e vizi delle opere edilizie Registrato a novembre 2024
06 Nov 2024 – 06 Nov 2025 Durata n. 9 ore
206.18 €
Note
[0] Art, 696 – bis c.pc. Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite – L’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696, ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti. Se le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della conciliazione. Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell’espropriazione e dell’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Il processo verbale è esente dall’imposta di registro. Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito. Si applicano gli articoli da 191 a 197, in quanto compatibili.
[1] Art. 198 c.p.c. Esame contabile – Quando è necessario esaminare documenti contabili e registri, il giudice istruttore può darne incarico al consulente tecnico, affidandogli il compito di tentare la conciliazione delle parti.
Il consulente sente le parti e, previo consenso di tutte, può esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa. Di essi tuttavia senza il consenso di tutte le parti non può fare menzione nei processi verbali o nella relazione di cui all’articolo 195.
[2] Art. 199 c.p.c. – Processo verbale di conciliazione – Se le parti si conciliano, si redige processo verbale della conciliazione, che è sottoscritto dalle parti e dal consulente tecnico e inserito nel fascicolo d’ufficio.
Il giudice istruttore attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale.
[3] Art. 200 c.p.c. – Mancata conciliazione – Se la conciliazione delle parti non riesce, in consulente espone i risultati delle indagini compiute ed il suo parere in una relazione, che deposita in cancelleria nel termine fissato dal giudice istruttore. Le dichiarazioni delle parti, riportate dal consulente nella relazione, possono essere valutate dal giudice a norma dell’art. 116 secondo comma.
[4] Francesco Paolo Luiso in presentazione volume “La Conciliazione nella CTU” – Frediani, Giuffrè editore, 2004
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento