La situazione di emergenza sanitaria legata alla diffusione del Covid-19 e le misure adottate dal Governo per fronteggiarla hanno portato a un utilizzo pressoché generalizzato di soluzioni informatiche di comunicazione a distanza, sia in ambito lavorativo che sociale in senso ampio.
In questi giorni siamo anche alle prese con il Decreto rilancio e il nuovo Superbonus 110%, che agevolerà soprattutto i lavori su parti comuni condominiali (>> Superbonus 110%, i 3 macro-interventi agevolati).
A maggior ragione l’importanza di capire come fare e gestire in questo periodo le assemblee condominiali in videoconferenza.
Condominio, assemblea in videoconferenza: ecco tutte le regole
Il divieto di riunione imposto dall’art. 1, comma 1, lett. c), DPCM 1 Marzo 2020 ha sospeso lo svolgimento delle assemblee condominiali e, complice una ormai famosa faq riportata sul sito internet della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha acceso i riflettori sull’ipotesi dell’assemblea in videoconferenza. In questi mesi di lockdown è quindi fiorito il dibattito sulla possibilità o meno di fare legittimamente ricorso a questo strumento. Salvo casi sporadici, gli amministratori hanno preferito non avventurarsi in questa esperienza, rimanendo in attesa di auspicati chiarimenti normativi.
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Venuto meno il divieto di riunione, a opera del recentissimo D.L. 33/2020, si può ora riprendere con lo svolgimento delle assemblee condominiali, beninteso a condizione di seguire tutta una serie di misure di sicurezza. Resta però da valutare se l’assemblea a distanza sia stata davvero soltanto una suggestione scaturita da questo difficile periodo emergenziale. Proveremo a verificare se sia possibile garantire ai condomini un accesso telematico all’assemblea in aggiunta alle tradizionali modalità di partecipazione.
Assemblea a distanza in fase emergenziale: il problema della “copertura” normativa
Una prima obiezione alla fattibilità delle assemblee a distanza è stata quella relativa alla mancanza di una disposizione ad hoc. Non vi è infatti alcuna norma che abiliti espressamente all’utilizzo di questo strumento. Anzi, come si vedrà a breve, vi sarebbero al contrario delle disposizioni di carattere ostativo.
Anche il riferimento per analogia alle disposizioni codicistiche in materia di assemblee societarie è risultato poco utile, in quanto lo svolgimento delle stesse in videoconferenza o con modalità analoghe è consentito soltanto ove previsto dallo statuto (art. 2370 c.c.). Quindi, nel caso del condominio, sarebbe necessaria una analoga disposizione contenuta nel regolamento condominiale.
Si è quindi evidenziato come l’art. 106, comma 2, del D.L. 18/2020 abbia legittimato le società, limitatamente al periodo di emergenza, a disporre l’intervento in assemblea e l’espressione del voto con modalità esclusivamente a distanza, anche in deroga a eventuali e diverse disposizioni statutarie [1]. Questa soluzione – riproposta dall’art. 73, comma 4, del medesimo decreto legge anche per gli organi collegiali delle associazioni private non riconosciute e delle fondazioni – ha reso manifesta l’esistenza di un filo conduttore nelle scelte compiute dal Legislatore, ossia quello di evitare riunioni e assembramenti ma al contempo garantire il più possibile lo svolgimento delle attività economiche e sociali. Questa identità di ratio avrebbe quindi potuto portare all’applicazione in via analogica di tale disposto anche alle assemblee condominiali [2].
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La normativa sopra richiamata è ovviamente destinata a venire meno con il termine del periodo emergenziale, a oggi previsto al 31 luglio 2020, e con essa, probabilmente, per i motivi di cui a breve, la possibilità di svolgere le assemblee condominiali esclusivamente on-line. A questo punto occorre però avviare il dibattito sulla possibilità di ammettere quantomeno nell’immediato futuro la partecipazione a distanza contemporaneamente a quella tradizionale.
Da questo punto di vista, anche operando un riferimento analogico all’art. 2370 c.c., si può quindi in prima battuta sostenere che la partecipazione all’assemblea condominiale possa avvenire anche in videoconferenza, ove previsto dal regolamento condominiale.
La partecipazione a distanza all’assemblea condominiale
È quindi il regolamento condominiale la sede in cui prevedere la possibilità di una partecipazione a distanza all’assemblea da parte dei condomini in alternativa a quella fisica, che rimarrebbe comunque garantita. Tuttavia non è affatto pacifico il fatto che il regolamento condominiale possa introdurre una novità siffatta. In prima battuta la risposta sembrerebbe infatti negativa, perché sia l’art. 1138, comma 4, c.c. sia l’art. 72 Disp. att. c.c. indicano chiaramente che il regolamento non può derogare, tra gli altri, agli artt. 1136 c.c. e 66 Disp. att. c.c., che riguardano proprio la convocazione e lo svolgimento dell’assemblea. Di conseguenza generalmente si ritiene che le regole di funzionamento dell’assemblea siano sottratte alla disponibilità dei condomini. Ma è proprio così?
Poiché l’inderogabilità di una norma è sicuramente una previsione di carattere eccezionale, la sua interpretazione deve essere a sua volta rigorosa e non estensiva. A fronte di una norma inderogabile appare quindi corretto estrapolare la ratio e le finalità della disposizione, al fine di circoscriverne il perimetro di applicabilità, che coincide, evidentemente, con quella parte di disciplina che rimane sottratta alla disponibilità delle parti. Se questo è vero, dobbiamo allora in primo luogo definire il “cuore pulsante” delle disposizioni di cui agli artt. 1136 c.c. e 72 Disp. att. c.c., che può individuarsi nelle regole sulla composizione e il funzionamento dell’assemblea, ovvero, detto in altri termini, nei principi della collegialità e del rispetto dei diritti della minoranza.
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Il procedimento assembleare è infatti quell’insieme di atti finalizzati alla formazione della volontà condominiale sulla base del principio maggioritario. Detto procedimento deve svolgersi nel rispetto di forme che garantiscano la possibilità di un pari confronto tra gli aventi diritto. E’ questo il criterio con il quale valutare se un’eventuale deroga alle forme fissate ex lege possa essere ritenuta valida. Nell’interpretazione evolutiva delle disposizioni di legge, come nel caso di specie, allorché appaiono superati i referenti economici e sociali della norma, e questa necessita di essere interpretata in modo adeguato ai nuovi dati della realtà economica e sociale, occorre passare da un approccio formalistico a uno maggiormente sostanziale.
Lo dimostra proprio l’elaborazione giurisprudenziale condotta sull’art. 1138 c.c.. Per la giurisprudenza è ad esempio indubbio che il regolamento non possa diminuire il termine legale che deve intercorrere tra la spedizione e il ricevimento dell’avviso di convocazione (mentre lo stesso può essere innalzato). Pacifico è poi il fatto che non possano essere modificati i quorum costitutivi e deliberativi fissati dalla legge per l’adozione delle delibere[1]. E’ invece ammesso che il regolamento stabilisca criteri più stringenti per la nomina dell’amministratore ex art. 1129 c.c.[2] o che preveda una clausola compromissoria per la devoluzione ad arbitri delle liti tra condomini e condominio ex art. 1137 c.c.[3]oppure, ancora, che introduca limiti più stringenti alla facoltà dei condomini di delegare soggetti terzi a partecipare all’assemblea[4].
Ai fini che ci occupano risulta molto interessante l’evoluzione giurisprudenziale registratasi su quest’ultimo aspetto. Infatti nelle citate sentenze viene chiarito come il criterio interpretativo per valutare la legittimità di siffatte deroghe sia quello della salvaguardia delle finalità insite nelle disposizioni di cui agli artt. 1136 c.c. e 66 Disp. att. c.c.. Infatti in esse si può leggere che “la norma del regolamento condominiale che limita, non la facoltà del condomino di partecipare alle assemblee a mezzo di un suo rappresentante, ma la possibilità del rappresentante di accettare l’incarico da parte di più di due condomini, non viola alcuna disposizione e risponde all’esigenza di garantire il dibattito e la collegialità delle assemblee”, che “la clausola del regolamento di condominio, che limita il potere di rappresentanza dei condomini in assemblea nel senso che possa essere esercitato solo tramite determinate persone (nella specie: parenti o altro condomino), non contrasta con la normativa sul diritto inderogabile del condomino di farsi rappresentare in assemblea (artt. 67 e 72 disp. Att. Cod. civ.) in quanto la stessa non è ostativa della regolamentazione di tale diritto quanto alle concrete modalità di esercizio” e che “la modifica del regolamento condominiale, nel senso di limitare il potere dei condomini stessi di farsi rappresentare nelle assemblee, riducendolo a non più di due deleghe, conferite ad altri partecipanti alla comunione per ogni assemblea, non incide sulla facoltà di ciascun condomino di intervenire in questa a mezzo di rappresentante (art. 67 comma primo Disp. att. cod. civ.), ma regola l’esercizio di quel diritto, inderogabile (secondo quanto si evince dal successivo art. 72) a presidio della superiore esigenza di garantire l’effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee, nell’interesse comune dei partecipanti alla comunione, considerati nel loro complesso e singolarmente”.
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La mancanza di un luogo fisico
Un ulteriore ostacolo allo svolgimento delle assemblee a distanza è stato poi individuato nella mancanza di un luogo fisico nel quale svolgere l’assemblea, che sarebbe viceversa necessario ex art. 66 Disp. att. c.c..
Si ritiene infatti generalmente che l’amministratore abbia ampia discrezionalità in ordine alla scelta del luogo nel quale svolgere l’assemblea, fermo restando che lo stesso dovrà essere preferibilmente individuato nel territorio comunale nel quale si trova il condominio e dovranno essere individuati dei locali che abbiano le caratteristiche adatte a ospitare potenzialmente tutti gli aventi diritto al voto (quanto ad ampiezza, sicurezza, decoro e igiene degli stessi, nonché al fine di garantire l’opportuna riservatezza degli argomenti trattati). A questo proposito viene solitamente citata una decisione della Suprema Corte – unico precedente di legittimità noto – nella quale si legge che “è nulla – e perciò è impugnabile anche dai condomini che vi hanno partecipato – la delibera condominiale se la convocazione non indica il luogo di riunione ed esso è assolutamente incerto per la legittima aspettativa dei medesimi di un luogo diverso dal solito stante l’assoluta inidoneità di quest’ultimo. Infatti, in mancanza di indicazione nel regolamento condominiale della sede per le riunioni assembleari, l’amministratore ha il potere di scegliere quella più opportuna, ma con il duplice limite che essa sia nei confini della città ove è ubicato l’edificio e che il luogo sia idoneo, fisicamente e moralmente, a consentire a tutti i condomini di esser presenti e di partecipare ordinatamente alla discussione”[5].
Ora, a parte la questione della nullità di una deliberazione siffatta (si evidenzia come tale decisione sia anteriore alla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 4806/2005, considerata giustamente un vero e proprio spartiacque in merito alla distinzione tra casi di annullabilità e di nullità delle delibere assembleari), non si può non evidenziare come nel caso di specie la Cassazione abbia “sanzionato” la mancata indicazione nell’avviso di convocazione del luogo di svolgimento dell’assemblea, circostanza che rendeva impossibile la partecipazione dei condomini alla riunione, di fatto impedendo loro l’esercizio dei propri diritti.
Oggigiorno deve però ritenersi che la mancata indicazione del luogo della riunione nell’avviso di convocazione – a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite del 2005 e tanto più dopo l’espressa previsione di cui al novellato art. 66, comma 3, Disp. att. c.c. – possa comportare soltanto l’annullamento della deliberazione assembleare, ove il condomino per tale motivo non abbia avuto la possibilità di parteciparvi e abbia tempestivamente impugnato le deliberazioni ivi adottate. Detta disposizione, infatti, sanziona espressamente con l’annullabilità delle delibere non solo l’omessa o tardiva convocazione, ma anche l’incompletezza del relativo avviso. Recentemente anche la Corte di Appello di Firenze ha chiarito che la circostanza che l’assemblea si sia svolta in un luogo diverso da quello indicato nell’avviso di convocazione comporta soltanto l’annullabilità delle deliberazioni ivi assunte[6].
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Tuttavia, al contrario di quanto sopra, nell’ipotesi di convocazione di un’assemblea esclusivamente telematica – e a maggior ragione nel caso in cui sia ammessa la partecipazione a distanza a un’assemblea tradizionale – un luogo fisico di svolgimento della riunione sarebbe pur sempre presente e dovrà essere ovviamente indicato nel relativo avviso di convocazione. Esso corrisponde al luogo in cui si troverà il soggetto chiamato a fungere da segretario dell’assemblea e a curarne quindi la verbalizzazione. In questo luogo fisico, nel quale si troverà lo strumento informatico utilizzato dal segretario per creare la “stanza virtuale” che ospiterà la riunione, convergeranno a distanza i condomini, ciascuno per mezzo del proprio device (pc, tablet, smartphone).
Il luogo della riunione telematica coinciderà con l’ufficio del soggetto che avrà convocato l’assemblea (l’amministratore) e che, ragionevolmente, svolgerà anche il ruolo di segretario verbalizzante. Nell’avviso di convocazione, in applicazione analogica di quanto previsto dall’art. 2366 c.c., andrà quindi indicato il luogo fisico di svolgimento dell’assemblea. E’ appena il caso di osservare che nel caso di assemblea “mista”, ovvero con una parte dei condomini presenti in aula e un’altra parte di essi collegati a distanza, il luogo della riunione sarà quello in cui la stessa è destinata a svolgersi “fisicamente”.
È necessario un regolamento c.d. contrattuale?
Ma la giurisprudenza di legittimità richiamata in precedenza in tema di limitazione del diritto di delega potrebbe permettere un ulteriore passo interpretativo di fondamentale rilevanza pratica, per i motivi che si vanno conclusivamente a riportare.
Dalle considerazioni sopra svolte pare infatti di poter sostenere che un regolamento condominiale possa prevedere una clausola che consenta la partecipazione assembleare a distanza dei condomini, in aggiunta a quella tradizionale, in quanto con essa non si andrebbe a incidere negativamente sui principi di collegialità e tutela della minoranza, offrendo anzi ai condomini una possibilità in più per esercitare in maniera effettiva i propri diritti. Al contrario, terminata la fase emergenziale e venuta meno l’efficacia dell’art. 106 del D.L. 18/2020, pare a chi scrive che l’introduzione di una clausola regolamentare, anche di natura contrattuale, che consentisse lo svolgimento di una assemblea esclusivamente virtuale, rischierebbe fortemente di essere tacciata di illegittimità, proprio perché potrebbe incidere negativamente sul diritto di partecipazione di quei condomini sprovvisti dei mezzi informatici necessari al collegamento.
Nel concentrarci quindi soltanto sull’ipotesi intermedia della partecipazione telematica all’assemblea svolta in maniera tradizionale, si osserva come tutti i precedenti di legittimità sopra citati facciano riferimento a regolamenti contrattuali, come tali vincolanti per tutti i condomini. E’ evidente come una soluzione del genere risolva parzialmente il problema della partecipazione a distanza, poiché ciò sarebbe possibile soltanto per i condomini di nuova costituzione, laddove l’originario proprietario dell’edificio introducesse una norma ad hoc, a meno di immaginare delle modifiche all’unanimità dei regolamenti esistenti, cosa possibile ma non certo agevole.
Le cose cambierebbero se fosse invece legittimo inserire una clausola siffatta nel regolamento con una deliberazione assembleare a maggioranza. Vale la pena di chiedersi se ciò sia possibile.
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Uno spunto in questo senso è proprio rappresentato dalla citata sentenza della Suprema Corte n. 5315/98. In essa, infatti, si discuteva della legittimità della modifica del regolamento condominiale di natura non contrattuale in ragione di una deliberazione della maggioranza dei partecipanti con la quale si intendeva limitare il potere dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee. La modifica, come si diceva, è stata ritenuta conforme a legge dalla Suprema Corte, poiché essa non incideva sulla facoltà di ciascun condomino di intervenire in assemblea a mezzo di rappresentante, ma si limitava a regolare l’esercizio di quel diritto, esso sì inderogabile, perché posto a presidio della superiore esigenza di garantire l’effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee nell’interesse comune dei partecipanti alla comunione singolarmente e nel loro complesso considerati.
Ora, il fatto che una disposizione del regolamento condominiale si limiti a regolare (in questo caso la ripetizione pare d’obbligo) l’esercizio dei diritti dei condomini è evidentemente proprio la caratteristica che consente di distingue all’interno di esso le disposizioni modificabili a maggioranza da quelle che possono essere cambiate solo all’unanimità, in quanto pongono limitazioni ai diritti dei condomini sulle parti esclusive o comuni ovvero attribuiscono diritti maggiori ad alcuni condomini[1]. Le prime, anzi, possono essere modificate con maggiore semplicità proprio perché per la loro natura regolamentare sono suscettibili di variazioni e adattamenti in relazione alle mutevoli esigenze e agli interessi della compagine condominiale.
Se si ammette che anche una disposizione regolamentare di natura assembleare possa introdurre una disciplina particolare dello svolgimento dell’assemblea, laddove non vengano intaccati i principi di collegialità e di tutela della minoranza – che, come si diceva in precedenza, non potrebbero essere modificati nemmeno con un regolamento contrattuale – limitandosi quindi a regolare l’esercizio dei diritti dei condomini, ad avviso di chi scrive si può allora ritenere legittima la clausola regolamentare adottata a maggioranza che preveda la possibilità che i condomini partecipino a distanza a un’assemblea che si svolga in maniera tradizionale.
In un caso del genere, infatti, il condomino non sarebbe certo obbligato a partecipare in videoconferenza ma, ove lo volesse e fosse dotato dei necessari strumenti informatici, potrebbe farlo liberamente, sulla scorta della previsione regolamentare, semplicemente avvisando per tempo l’amministratore della sua scelta. Quest’ultimo, in ossequio alla medesima disposizione del regolamento condominiale, dovrebbe quindi essere pronto ad agevolare l’esercizio del diritto da parte del condomino, consentendogli una partecipazione all’assemblea in videoconferenza in contemporanea allo svolgimento “fisico” della stessa nel luogo prescelto e nel quale sarebbero fisicamente presenti i condomini che avessero invece preferito non avvalersi dell’opzione regolamentare.
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[1] Si veda Cass. civ., sez. un., 30 dicembre 1999, n. 943 e la successiva elaborazione giurisprudenziale.
[1] Cass. civ., sez. II, 22 dicembre 1999, n. 14461. In questo senso si vedano anche: Tribunale Imperia, 20 marzo 2000; App. Firenze, 6 settembre 2005, n. 1249.
[2] App. Firenze, 2 gennaio 2019, n. 14.
[1] Cass. civ., sez. II-VI, 25 gennaio 2018, n. 1849; Cass. civ., sez. II, 28 settembre 2015, n. 19121; Cass. civ., sez. II, 30 gennaio 2001, n. 1201.
[2] Cass. civ., sez. II, 30 novembre 2016, n. 24432.
[3] Cass. civ. sez. I, 10 gennaio 1986, n. 73.
[4] Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1998, n. 5315; Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1982, n. 4530; Cass. civ., sez. I, 28 marzo 1973, n. 853.
[5] Ne ho parlato in “Assemblee condominiali a distanza” in ItaliaOggi del 24 marzo 2020 e “Covid-19, forniture regolari ma amministratori a distanza”, in ItaliaOggi7 del 6 aprile 2020.
[6] Ne ho parlato in due volumi usciti in questo mese di maggio: “La gestione del condominio nella Fase 2 del Covid 19” e “La nuova assemblea condominiale”, entrambi editi dalla Maggioli.
Foto: iStock/Ridofranz
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