Ecco come cambia il TUE con il Piano Salva-Casa

Il decreto, che avrà le forme del decreto legge, apporta delle modifiche al DPR 6 giugno 2001 n°380 senza quindi andare a generare nuove leggi a sé stanti

Marco Campagna 27/05/24

Il decreto legge Salva-Casa è in Gazzetta, clicca qui per conoscere le modifiche al TUE. In questi giorni è finalmente iniziato a circolare il testo del decreto già annunciato dal Ministro Matteo Salvini da qualche settimana e che contiene delle novità normative in ambito di sanatorie edilizie o, meglio, di migliore gestione delle difformità.

Il decreto che è uscito in bozza il 24 maggio 2024 ricalca grosso modo quelle che erano le prime indiscrezioni di un paio di settimane fa e che avevo commentato in questo mio intervento su Ediltecnico: tutto sommato le previsioni si sono avverate, soprattutto relativamente al fatto che non stiamo parlando di un vero e proprio “condono” ma di una riforma strutturale della normativa già in vigore.

Il fatto che non si tratti di condono è una notizia di rilievo non solo perché il legislatore sembra definitivamente uscito dal concetto di sanatoria “una tantum” ma anche perché essendo concepita come una modifica strutturale alla norma ordinaria sarà una regola applicabile in ogni tempo, senza quindi l’arrembaggio agli uffici che tanti problemi ha generato all’impostazione delle pratiche dei tre condoni attivati nel tempo.

Il decreto, che avrà le forme del decreto legge e che quindi andrà convertito in legge entro 60 giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta, apporta delle modifiche al DPR 6 giugno 2001 n°380 (da qui in poi nel testo, TUE), senza quindi andare a generare nuove leggi a sé stanti: questo già è un buon inizio perché così facendo il legislatore opera all’interno di una struttura normativa già di nostra conoscenza e, soprattutto, senza andarvisi a sovrapporre.

Nella bozza di decreto, per come si dirà, a parere di chi scrive sono presenti delle criticità che potrebbero essere oggetto di sistemazione in sede di conversione in legge, dunque non è detto che quello di cui si discute sarà la veste definitiva effettiva della norma.

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Indice

Le novità introdotte dal Decreto Salva-Casa

Il decreto introduce diverse novità, che si possono raggruppare per argomenti:

  • piccole modifiche, o meglio aggiustamenti, alle definizioni di opere di attività edilizia libera, soprattutto per quanto riguarda le tende e gli altri sistemi ombreggianti “leggeri”;
  • la modifica non strutturale della definizione di stato legittimo di cui all’art. 9 bis comma 1 bis TUE;
  • aggiornamento e sviluppo dei mutamenti di destinazione d’uso;
  • la modifica ed implementazione di nuovi concetti riguardo alle tolleranze esecutive;
  • l’introduzione di una nuova procedura amministrativa dedicata all’accertamento di conformità di opere edilizie parzialmente difformi dal titolo.

Tende e attività libera

Viene introdotta una ulteriore definizione indipendente dalle altre di opere di attività libera, ed in particolare tutto ciò che riguarda il controllo dell’irraggiamento solare mediante strutture leggere quali tende e pergotende.

Da un certo punto di vista, non si sentiva grande necessità di specificare nel testo unico queste opere perché già ci aveva pensato il glossario unico dell’edilizia libera a definirle appunto libere, ma senz’altro non è una novità che va in contrasto con quanto già sapevamo, quindi bene la nuova introduzione, ma non cambierà in modo radicale il modo con cui approcciavamo prima alla progettazione ed autorizzazione di questi sistemi.

Definizione di stato legittimo

Qualche modifica viene apportata all’art. 9 bis comma 1 bis TUE che dal 2020, anno in cui fu introdotto nel testo, è il riferimento per la definizione dello stato legittimo; la definizione è stata introdotta dal legislatore con attenzione, in quanto ha semplicemente recepito quelle che erano le prassi e la giurisprudenza (già copiosa) nel tema. Viene sostituita una “e” con una “o” come collegamento tra il titolo originario e l’ultimo titolo che ha autorizzato opere sull’immobile, ma non sembra che ciò vada a mutare l’impianto della definizione in modo radicale; aumenta però il “peso” amministrativo dell’ultimo titolo.

Il nuovo testo difatti non muta in modo radicale quanto già avevamo imparato ad interpretare. Vengono aggiunti i riferimenti espliciti al fatto che sono documenti che attestano la legittimità anche quelli di accertamento di conformità: questa cosa era sottintesa in un certo senso, però non guasta che sia stato chiarito.
Viene però aggiunta una specifica sul pagamento delle sanzioni, nel caso in cui l’immobile sia stato oggetto dei sopra citati procedimenti di accertamento di conformità che crea, però, una sorta di ancoraggio stretto tra istanza di sanatoria e relativa sanzione che fino ad oggi era relativamente blando: in futuro, nelle analisi di conformità degli immobili esistenti oggetto di accertamenti di conformità pregressi sarà necessario verificare che sia stata pagata una giusta sanzione.

Bisogna però rimarcare che l’introduzione del nuovo secondo periodo dell’articolo introduce un concetto innovativo, laddove viene indicato che il pagamento delle sanzioni previste dagli articoli 33, 34 e 37 (nella sua versione alleggerita) “concorre” alla determinazione dello stato legittimo: ciò starebbe a significare, ad una prima lettura, che la conclusione del procedimento di “fiscalizzazione” dell’abuso comporterà automaticamente l’ingresso dell’immobile in uno stato di legittimità. A mio avviso, messa nei termini in cui è stata inserita la clausola, rimane comunque una procedura separata dall’accertamento di conformità vero e proprio e difatti, come si vedrà parlandone nel relativo paragrafo, l’art. 36 bis sembra proprio voler sostenere questa ipotesi.

Mutamenti di destinazione d’uso

Vengono poi introdotte delle modifiche che riguardano i mutamenti di destinazione d’uso, in quanto viene implementata una serie di nuovi commi all‘art. 23 ter del TUE. In questi articoli vengono impressi dei nuovi concetti: tutti i mutamenti d’uso “senza opere” diventano soggetti a SCIA: questo è un aggravio di complessità per i mutamenti d’uso all’interno della stessa categoria generale, che prima potevano essere autorizzati in CILA, ma, parallelamente, una semplificazione per quella clausola residuale per cui in alcuni casi l’intervento ricadeva in PdC (mutamenti d’uso rilevanti in zona A).

I mutamenti d’uso “senza opere” diventano “sempre ammessi”, anche tra categorie funzionali diverse (eccetto da e verso quella “rurale”), se l’immobile si trova ubicato in tessuti che il PRG classifica come zone A, B o C. Questa sembra una forte semplificazione ma nei fatti lo è solo in parte in quanto viene comunque indicato espressamente che l’intervento è fattibile ma viene altresì specificato che gli strumenti urbanistici possono fissare specifiche condizioni. Da come è scritta la norma, sembra che nel merito si debbano considerare limitativi solo i provvedimenti che i comuni emaneranno a far data dalla pubblicazione del decreto, ma in verità potrebbe farsi una lettura più estensiva del principio espresso e dire che valgono anche le prescrizioni già contenute negli strumenti urbanistici già esistenti. Per Roma, dunque, rischia di cambiare poco se non nulla, in quanto lo strumento urbanistico romano non è affatto rigido nei confronti dei mutamenti d’uso in linea generale, ma dispone anche una serie di limitazioni abbastanza stringenti per una cospicua serie di casi specifici.

È utile sottolineare che la norma si riferisce espressamente solo ai cambi d’uso “senza opere”, dunque di fatto escludendo apparentemente tutti quegli interventi che richiedono opere edilizie per conseguire la trasformazione. Qui nasce il problema relativo al fatto che non è mai stata espressamente fornita una definizione di “cambio d’uso con o senza opere”, ma vi è stata giurisprudenza nel merito. Tendenzialmente, la locuzione “cambio d’uso senza opere” rappresenta un intervento che prevede sì un diverso uso ma che può prevedere al suo interno, come procedimento autorizzativo, anche modeste opere interne purché non siano radicalmente funzionali al passaggio di cambio d’uso: ad esempio un edificio industriale ha bisogno di trasformazioni radicali per diventare un centro commerciale, mentre se un ristorante diventa bar, e contestualmente si devono fare opere interne di spostamento tramezzi più che altro finalizzate ad una migliore distribuzione, potrebbe intendersi ancora un cambio d’uso “senza opere” perché lo spostamento tramezzi non è funzionale strettamente al mutamento d’uso. Altre situazioni potrebbero essere più in bilico interpretativo, come un locale commerciale che diventa uno studio medico: se devo fare una parete per dividere lo studio dalla reception, è un opera funzionale oppure no? Non possiamo che sperare che verranno specificate delle migliori definizioni riguardo a questo aspetto.

La bozza di decreto introduce poi un concetto assolutamente rilevante nella questione, in quanto viene inserita la clausola di esclusione generale relativa all’obbligo di reperimento degli standard urbanistici che sarà contenuta nel futuro comma 1-quater: in sostanza, e ciò è del tutto logico, se il mutamento avviene in una singola unità immobiliare all’interno di un più ampio fabbricato non ha senso chiedere il reperimento o la monetizzazione di degli standard urbanistici che, nella stragrande maggioranza dei casi, non potranno essere materialmente reperiti in quanto zone ormai già urbanizzate e consolidate, finendo per diventare solamente un ulteriore obolo economico; in taluni casi, addirittura, il meccanismo del reperimento o monetizzazione degli standard può anche bloccare del tutto la fattibilità del mutamento d’uso ed in ciò la nuova norma aiuterà senz’altro. Attenzione comunque al fatto che la specifica del futuro comma 1 quater avrà valore solo per i mutamenti delle “singole unità immobiliari” e, mi sento di dire, non per quelle unità immobiliari che coincidono con le unità edilizie (ad esempio opifici industriali, centri commerciali, palazzi per ufficio distribuiti in un unica uiu).

Tolleranze esecutive e verifica di rispondenza sismica

Anche qui, il concetto che già conoscevamo non viene stravolto, ma vengono aggiunte delle prescrizioni che sono da un lato interessanti, dall’altro invece potenzialmente aggravanti della procedura di verifica della sussistenza delle tolleranze.
 
A conferma delle prime indiscrezioni, viene introdotta una dilatazione delle tolleranze costruttive, mantenendo ferma al 2% la tolleranza per gli edifici e le opere che verranno eseguite da oggi in poi. Tuttavia, per le opere che risultino eseguite alla data del 24 maggio sussisteranno delle tolleranze differenziate che arrivano fino al 5%. il legislatore ha deciso di legare questa differenziazione alla dimensione dell’unità immobiliare: per unità con più di 500 mq varrà comunque il valore del 2% mentre al di sotto di questa dimensione, e fino a 100 mq, le tolleranze via via cresceranno fino ad arrivare al 5%.

Viene saggiamente specificato che il riferimento della superficie utile va preso sulla conformazione originaria dell’unità immobiliare o comunque senza considerare eventuali interventi di frazionamento operati nel tempo: dunque attenzione alla corretta ricostruzione della storia urbanistica dell’immobile.
 
Attenzione invece va posta al futuro eventuale comma 3 bis dell’art. 34 bis, in quanto introduce un adempimento ad oggi sconosciuto alla procedura di verifica della sussistenza delle tolleranze e che comporterà probabilmente delle attenzioni applicative non di poco conto. Si prevede, difatti, che ogni volta che il tecnico valuterà la sussistenza delle tolleranze occorrerà depositare presso lo sportello unico dell’edilizia una verifica di rispondenza sismica e ciò varrà espressamente anche per le opere “prive di rilevanza”. La verifica di sicurezza dovrà contenere tutti i documenti minimi obbligatori per i progetti strutturali e, dunque, saranno dei veri e propri progetti strutturali. Tuttavia, la stessa norma esclude l’applicabilità di questa procedura alle zone a “bassa sismicità”, le quali però sono definite dai decreti delle singole regioni e quindi l’applicabilità di fatto varia da regione a regione, in funzione della classificazione sismica. In caso di zone sismiche, l’adempimento sarà necessario in ogni caso, in quanto la norma parla di “difformità che costituiscono interventi di minore rilevanza o privi di rilevanza”. Anche qui vedremo in concreto come si dovrà applicare questo passaggio: in quanto applicabile, l’adempimento potrebbe tradursi nel dover eseguire la valutazione di sicurezza di cui al punto 8.3 delle NTC 2018, la quale è una procedura congrua in caso di interventi che hanno previsto importanti modifiche strutturali, ma che appare sproporzionata per opere che possono non aver inciso sulla sicurezza. Sarebbe opportuno un rapido chiarimento su questo aspetto che non sarà assolutamente secondario.
 
Anche se era in qualche modo scontato, per espressa previsione della modifica della definizione di stato legittimo, l’attestazione di sussistenza delle tolleranze diventerà di diritto uno dei documenti che attestano lo stato legittimo.
 
Una specifica attenzione deve essere posta al contenuto del futuro comma 3-ter dove viene indicato che spetta al tecnico il verificare che l’intervento di cui si attesta la tolleranza non vada ad incidere sui diritti di terzi e addirittura, se viene scoperta la incidenza, spetta al tecnico il dover provvedere alle procedure per eliminare tali limitazioni. Questa è una novità assoluta nel panorama delle norme urbanistiche in quanto l’aspetto civilistico è sempre rimasto separato rispetto a quello urbanistico-edilizio; soprattutto, appare difficile comprendere come possa il tecnico “risolvere” eventuali problemi di natura civilistica per i quali generalmente si prevedono pattuizioni contrattuali o opere modificative dello stato dei luoghi.

Accertamento di conformità e nuovo art.36 bis TUE

Questo nuovo articolo sotto certi aspetti è una emanazione a sé stante della procedura che, fino ad oggi, era contenuta in modo laconico nell’art. 37 comma 4, ma nel tradursi in un articolo a sé stante, acquista una forma più definita e compiuta. Anzitutto, viene chiarito che si potrà applicare solo in caso di opere eseguite in parziale difformità dal titolo e viene richiamato espressamente l’art. 34, dal che si intuisce che la procedura si può applicare a quelle difformità che rientrano in queste definizioni, tra cui, quindi, la cosiddetta “fiscalizzazione” dell’abuso che può a questo punto conseguire l’accertamento di conformità, ammesso che rispetti le specifiche disposizioni del futuro art. 36 bis. Espressamente, il 36 bis si potrà applicare anche ai casi dell’art. 37 e dunque ne é il naturale erede.
 
Rispetto al precedente articolo 37 vengono resi chiari alcuni punti che sono sempre apparsi controversi nell’applicazione della norma: anzitutto, viene definito che le istanze godono del principio del silenzio-assenso, dunque una volta presentata l’istanza, ammesso che sia completa ed esente da vizi e false dichiarazioni, diventerà pienamente efficace dopo 45 giorni. Questo sembra spazzare via l’attuale empasse interpretativo che si altalenava tra chi riteneva che l’art. 37 fosse subito efficace (tra cui il sottoscritto) e chi invece riteneva che il comune dovesse comunque esprimersi, commettendo un omissione di adempimento laddove non lo facesse (diverse sentenze della giustizia amministrativa militano in tal senso, soprattutto recenti).

Come secondo tema, viene introdotta una questione estremamente importante, che è quella della sanatoria condizionata. Attualmente la giurisprudenza ha sempre fortemente contrastato l’idea che si potesse ottenere l’accertamento di conformità di situazioni che non erano conformi alla norma, anche se avrebbero potuto essere conformate con poche opere irrilevanti: si tratta di una posizione senz’altro condivisibile ma che lasciavano nel “limbo” troppe situazioni invece facilmente risolvibili oppure spingevano i responsabili a dover commettere ulteriori opere abusive per poter rendere sanabili le difformità, con ulteriori rischi. Con la nuova stesura, sembra quindi potersi presentare una istanza in cui si illustrano le opere che devono essere fatte per portare a conformità l’immobile, oppure comunque il comune è chiamato ad esprimersi sulle opere da compiere prima di poter acquisire lo stato legittimo. Le opere possono anche prevedere la rimozione di elementi che non possono essere oggetto di sanatoria.

Un terzo tema è altresì importante: il comma 4 della bozza di articolo indica che in caso di presenza di vincolo paesaggistico, l’acquisizione della relativa autorizzazione diventa un atto endoprocedimentale, e trascorso un certo termine (180 giorni) la domanda si intende tacitamente accolta. Attenzione, anche se la legge non lo dice, a mio avviso valgono comunque tutte le prescrizioni specifiche dell’accertamento di compatibilità paesaggistica, ivi compreso il divieto di creazione di nuovi volumi. Altri concetti che pure poteva valere la pena migliorare dell’attuale art. 37 potevano essere migliorati sono invece rimasti non gestiti, come le procedure per il calcolo delle sanzioni o una procedura specifica di accertamento in caso di vincolo che non sia quello paesaggistico.

Marco Campagna

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