Il giudizio, nel quale si costituiva il condominio resistendo alla domanda, veniva definito con sentenza di rigetto dell’opposizione in quanto infondata. Secondo il giudice di primo grado i soccombenti avrebbero dovuto richiedere il risarcimento dei danni subiti alla ditta appaltatrice. La sentenza veniva impugnata dai condomini ma la Corte d’appello confermava la decisione del Tribunale.
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Anche i giudici di secondo grado ritenevano che le appellanti avrebbero dovuto rivolgere la loro domanda risarcitoria nei confronti dell’appaltatore e non nei confronti del condominio, non essendoci dubbio che, in tema di appalto, è di regola l’appaltatore che risponde dei danni. In particolare la Corte escludeva una culpa in eligendo del condominio in quanto c’era stata una delibera condominiale; inoltre escludeva la culpa in vigilando sulla base del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dei danneggiati.
Alla luce di quanto sopra gli stessi condomini ricorrevano in cassazione lamentando, tra l’altro, l’erronea applicazione delle norme in materia di responsabilità contrattuale in riferimento agli artt. 2043 c.c. e 2051 c.c.; in ogni caso i condomini ritenevano che la Corte avrebbe dovuto ammettere la prova per l’accertamento della responsabilità del condominio in solido con l’appaltatore.
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La Cassazione ha dato ragione ai ricorrenti. Secondo i giudici supremi è vero che l’autonomia dell’appaltatore comporta che, di regola, egli deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi (compresi i singoli condomini) dall’esecuzione dell’opera; tuttavia non si può escludere una corresponsabilità del committente in caso di specifica violazione di regole di cautela nascenti ex art. 2043 c.c., cioè nell’ipotesi di riferibilità dell’evento al committente stesso per culpa in eligendo (per essere stata affidata l’opera ad un’impresa assolutamente inidonea) o quando l’appaltatore, in base a patti contrattuali, sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente – condominio, agendo quale nudus minister dello stesso.
Del resto – come ricorda la Cassazione – il committente può essere chiamato a rispondere dei danni derivanti dalle parti comuni quando, per sopravvenute circostanze di cui sia venuto a conoscenza (come, ad esempio, nel caso di abbandono del cantiere o di sospensione dei lavori da parte dell’appaltatore) sorga a carico del medesimo il dovere di apprestare quelle precauzioni che il proprietario della cosa deve adottare per evitare che dal bene ne derivino pregiudizi a terzi.
Alle stesse conclusioni si deve arrivare nel caso in cui l’appalto non implichi il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera appaltata: in tal caso, infatti, non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051 c.c.
La Corte di Appello ha ignorato la giurisprudenza sulla responsabilità del custode committente e, soprattutto, il riparto dell’onere della prova liberatoria.
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Riflessioni conclusive
Si deve considerare che il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché tali parti comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, con la conseguenza che risponde ex art. 2051 c.c. dei danni da queste procurati all’unità immobiliare di uno dei condomini.
Perciò, anche in presenza di un contratto con il quale la manutenzione è stata affidata ad un terzo, non può sottrarsi alla propria responsabilità ed è tenuto a risarcire i danni provocati dalle cattive condizioni del bene.
Nel caso in questione i danni sono stati causati da infiltrazioni dal lastrico, parte comune che, indipendentemente dal regime proprietario ovvero da una sua fruizione diretta, svolge una fondamentale funzione primaria di copertura e protezione delle sottostanti unità immobiliari e parti comuni; di conseguenza indipendentemente dall’avvenuta “consegna” – quale area di cantiere – all’appaltatore, per l’esecuzione di lavori volti alla relativa manutenzione o ristrutturazione, il lastrico deve considerarsi nella persistente disponibilità del condominio, con conseguente permanenza, in capo a quest’ultimo, delle obbligazioni connesse alla sua custodia e delle connesse responsabilità per il relativo inadempimento (Cass. civ., sez. III, 18/07/2011, n. 15734).
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>> Qui la sentenza: Cass. civ – II sez. civ. – sentenza del 26 – 09 – 2022 n. 27989
Riferimenti normativi: art. 2051 c.c.
Precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. 2, Sentenza n. 11671 del 14/05/2018
Articolo di Giuseppe Bordolli, consulente legale condominialista
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Immagine: iStock/PixelsEffect
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