Quando l’attività pubblica è esercitata in regime di esclusiva, allora i professionisti dipendenti pubblici possono “gravare” sul proprio datore di lavoro il costo dell’iscrizione all’Albo professionale.
Vale per ingegneri, avvocati, ingegneri e tutti i professionisti abilitati che firmano atti della pubblica amministrazione, e che siano vincolati a non eseguire attività esterna in favore di terzi.
Chi ha stabilito tale regola? Ci sono clausole o limitazioni? Vediamo i dettagli.
Iscrizione all’albo professionisti, quando è “gratis”?
Uno degli ultimi casi, quello del tribunale di Pordenone, ha risposto con la sentenza 116 del 6 settembre 2019 riferendosi ad alcuni infermieri professionali.
Appurato che:
– tutti gli infermieri erano vincolati all’esclusività lavorativa con la rispettiva Ausl,
– l’iscrizione all’Albo era requisito indispensabile per lo svolgimento dell’attività,
i costi (dell’iscrizione stessa all’Albo), sono stati riconosciuti a carico dell’ente pubblico.
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Professionisti abilitati e iscritti all’Albo, quali differenze?
Il Consiglio nazionale degli ingegneri già con la circolare 6340 del 21 ottobre 2015 aveva distinto i professionisti abilitati da quelli iscritti all’Albo; si prendano ad esempio gli avvocati di Stato, che non sono iscritti ad alcun Albo, e alcuni medici del ministero della Salute.
In questo caso, quando cioè l’iscrizione all’Albo non è necessaria, ma è sufficiente aver conseguito l’abilitazione (superando l’esame di Stato), allora non risulta alcun problema di oneri a carico della PA.
Quando spetta il rimborso?
Va distinto un titolo di cui un professionista può usufruire sotto vari aspetti, oltre a quello lavorativo, ad esempio una qualunque laurea, da un titolo che invece è necessario esclusivamente per accedere e mantenere una posizione lavorativa, qual è, appunto, l’iscrizione a un Albo professionale.
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Dunque il costo per conseguire la laurea non potrà mai essere a carico del datore di lavoro, come ha detto anche la Corte dei conti di Puglia, con deliberazione 29/2008. Alla stessa stregua della laurea, specializzazioni, master e altri corsi di formazione, non essendo necessari alla carriera, non possono mai essere onere dell’ente.
Se i corsi di aggiornamento sono obbligatori? Chi paga?
Se il dipendente non potrà utilizzare tali corsi per rapporti lavorativi esterni (come nella libera professione autorizzata) sempre per un vincolo di esclusività con la PA, allora i relativi costi sono a carico di quest’ultima.
Stesso principio vale per il caso dei ruoli tecnici e di progettazione di opere pubbliche: il dipendente iscritto all’Albo e con un rapporto esclusivo con la PA fruisce a spese dell’ente di una copertura assicurativa sui rischi progettuali di natura professionale (articolo 24, comma 4, del Dlgs 50/2016, testo unico sugli appalti).
Come funziona con l’Irap?
I dipendenti per iscriversi agli Albi sottopongono il datore di lavoro pubblico a problemi contabili per il pagamento dell’Irap. Tale imposta è a carico del datore di lavoro (articolo 3 del Dlgs 446/1977), ma il problema viene fuori quando si impone il principio di rivalsa verso i terzi, ad esempio quando una lite si conclude con una sentenza che impone il rimborso delle spese causate dalla lite a favore dell’ente pubblico. L’ente pubblico può infatti chiedere insieme all’importo quantificato dal giudice, una somma a titolo di Irap (circa il 20%) come onere accessorio riflesso (Consiglio di Stato, decisione 3738/2018 e Cassazione, sentenza 29375/2018).
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In pratica vale sempre lo stesso principio, ovvero che va separato dalla retribuzione ciò che serve ed è necessario alla professione da ciò che non è indispensabile e serve come valore aggiuntivo qualificante.
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