Due recenti pronunce ci offrono lo spunto per indagare l’operatività dell’accertamento di conformità nelle ipotesi di assenza di titolo o totale difformità, disciplinato dall’art. 36[1] del Testo Unico Edilizia.
Di seguito evidenziamo alcuni degli aspetti rilevanti analizzati dai giudici.
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Indice
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Le Verifiche di conformità per la commercializzazione degli immobili
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Andrea Ferruti | Maggioli Editore 2025
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Il silenzio sull’istanza
Il TAR Marche, sez. II, nella sent. 16 luglio 2025, n. 583, si è soffermato, in primo luogo, sul valore del silenzio tenuto dall’ufficio tecnico sull’istanza di sanatoria. L’art. 36, comma 3, del DPR n. 380/2001 stabilisce che “sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”.
La giurisprudenza[2] ha chiarito che, pur nel sistema introdotto dagli artt. 2 e 3 della legge n. 241/1990, il silenzio serbato dall’Amministrazione comunale sull’istanza di accertamento di conformità di cui all’art. 36 ha natura di atto tacito di reiezione dell’istanza e, quindi, di silenzio significativo e non di silenzio rifiuto; ne discende che, una volta decorso il termine di sessanta giorni, si forma il silenzio diniego (o silenzio rigetto), che può essere impugnato dall’interessato in sede giurisdizionale nel prescritto termine decadenziale di sessanta giorni, alla stessa stregua di un comune provvedimento, senza che possano ravvisarsi in esso i vizi formali propri degli atti, quali i difetti di procedura o la mancanza di motivazione.
In altri termini, detto provvedimento, in quanto tacito, è già di per sé privo di motivazione ed è quindi impugnabile non per difetto di quest’ultima o per vizi di istruttoria, bensì per il suo contenuto di rigetto. È la stessa norma a prevedere che, a seguito della presentazione dell’istanza di accertamento di conformità, non sia rinvenibile in capo all’Amministrazione alcun obbligo di pronunciarsi con un provvedimento espresso sulla conformità urbanistica o su altri aspetti incidenti sulla sanabilità degli interventi abusivi, essendo dall’ordinamento qualificato il silenzio serbato sulla predetta istanza come tacito rigetto della stessa[3].
Il requisito della doppia conformità
Incombe sull’interessato l’onere probatorio circa il requisito della doppia conformità edilizia e urbanistica richiesto dall’art. 36; come evidenziato dai giudici marchigiani l’ottenimento del permesso in sanatoria postula che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda, e pertanto riguarda gli abusi solo formali.
Nel caso specifico, tale circostanza era stata esclusa in quanto l’opera di cui si chiedeva la sanatoria ricadeva sia all’epoca di presentazione della domanda che al momento dell’istanza in fascia di rispetto autostradale; tale condizione è di per sé sufficiente per negare la sussistenza del requisito della doppia conformità, ad escludere la sanabilità dell’opera medesima, ben potendo assurgere a ragione autonoma di diniego[4].
La natura del provvedimento adottato
Il TAR Lazio, Roma, sez. II quater, nella sent. 17 luglio 2025, n. 14093, ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il procedimento per la verifica di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 sfocia in un provvedimento di carattere assolutamente vincolato, il quale non necessita di altra motivazione oltre a quella relativa alla corrispondenza (o meno) dell’opera abusiva alle prescrizioni urbanistico-edilizie (e a quelle recate da normative speciali in ambito sanitario e/o paesaggistico) sia all’epoca di realizzazione dell’abuso sia a quella di presentazione dell’istanza ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001.
I giudici romani hanno anche ricordato che, in sede di accertamento di conformità, è interamente a carico della parte l’onere di dimostrare la c.d. doppia conformità necessaria per l’ottenimento della sanatoria edilizia ordinaria ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, attesa la finalità dell’istituto, secondo il quale il rilascio del permesso in sanatoria presuppone indefettibilmente la c.d. doppia conformità, vale a dire la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria[5].
Nel caso specifico, i giudici hanno affermato che il superamento del limite di cubatura consentito è idoneo, di per sé, a giustificare il mancato accoglimento dell’istanza[6].
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Note
[1] Art. 36 (L) – Accertamento di conformità nelle ipotesi di assenza di titolo o totale difformità
1. In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 23, comma 01, o in totale difformità da essa e comunque fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
2. Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall’articolo 16.
3. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata.
[2] Ex multis, TAR Campania Napoli, sez. III, sent. 23 aprile 2024, n. 2754.
[3] In termini, TAR Campania Napoli, sez. II, sent. 9 agosto 2021, n. 5469 e sent. 23 luglio 2012, n. 3507; sez. III, sent. 22 agosto 2016, n. 4088 e sent. 31 marzo 2015, n. 1874; TAR Marche, sez. I, sent. 12 ottobre 2010, n. 3340.
[4] La Corte Costituzionale si è più volte occupata del principio dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del DPR n. 380/2001, affermando “che esso, che costituisce «principio fondamentale nella materia governo del territorio» (da ultimo, sentenza n. 107 del 2017), è «finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità» (sentenza n. 101 del 2013). Tale istituto si distingue dal condono edilizio, in quanto «fa riferimento alla possibilità di sanare opere che, sebbene sostanzialmente conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia, sono state realizzate in assenza del titolo stesso, ovvero con varianti essenziali», laddove il condono edilizio «ha quale effetto la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale dell’abuso, a prescindere dalla conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia» (sentenza n. 50 del 2017)”[4].
[5] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 6 marzo 2024, n. 2208.
[6] Cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, sent. 17 settembre 2019, n. 6190.
In collaborazione con studiolegalepetrulli.it
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