La giurisprudenza amministrativa amplia e definisce in maniera ulteriore i confini interpretativi relativi al dibattuto tema degli abusi edilizi risalenti nel tempo. Attraverso la recente sentenza del Consiglio di Stato (sez. VI, n. 2512 del 18 maggio 2015) è stato inserito un altro tassello capace di delineare in maniera più specifica uno degli orientamenti prevalenti.
Il tema analizzato è il seguente: come si delinea la legittimità dell’ordinanza di demolizione dinanzi ad un abuso edilizio molto risalente nel tempo e per il quale proprio il tempo trascorso potrebbe aver ingenerato nel proprietario una qualche forma di affidamento sulla regolarità della costruzione? La risposta non è scontata: sono infatti due gli orientamenti prevalenti che si fronteggiano in materia.
Orientamento 1
Su un versante giurisprudenziale è collocata la tesi rigorosa mediante la quale si ritiene che di fronte ad un abuso edilizio il Comune debba necessariamente adottare i provvedimenti sanzionatori previsti (tra gli altri, l’ordinanza di demolizione), senza che vi sia alcuno spazio di tutela per l’eventuale affidamento del privato: nella pratica, il protrarsi del tempo non può in alcun modo sanare una situazione illegittima.
Orientamento 2
Sull’altro versante interpretativo deve invece essere segnalato l’orientamento (maggioritario) che ritiene possibile il concretizzarsi di un’eccezione alla regola generale sopra indicata: ciò avviene nell’ipotesi in cui per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell´inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato. In tale circostanza, l’ordinanza di demolizione deve essere sorretta da una congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso, il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.
In questa direzione si pone anche la recente sentenza del Consiglio di Stato citata in apertura: in essa si afferma infatti che “[d]eve, al riguardo ricordarsi come la giurisprudenza, anche quella maggiormente rigorosa nell’affermare che l’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime del permesso di costruire (non essendo necessario, in tal caso, alcun ulteriore obbligo motivazionale, come il riferimento ad eventuali ragioni di interesse pubblico), fa presente che tale obbligo motivo sussiste nel caso di un lungo lasso di tempo trascorso dalla conoscenza della commissione dell’abuso edilizio ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, tali da evidenziare la sussistenza di una posizione di legittimo affidamento del privato”.
Leggi anche l’articolo Abusi edilizi su beni culturali, l’OK successivo non cancella la sanzione.
Il Consiglio di Stato ha infatti citato una precedente decisione della Sez. V della stessa Corte che recitava: “l’ingiunzione di demolizione, in quanto atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell´opera edilizia senza titolo abilitativo o in totale difformità da esso, è in linea di principio sufficientemente motivata con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera; ma deve intendersi fatta salva l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato; ipotesi questa in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso, il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato”.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento