Nel lontano 1998 vennero avviati i Contratti di quartiere (tranche I) per il recupero e la riqualificazione urbana con un primo programma. Quattro anni dopo, nel 2002, trovarono conferma e ancora adesso rappresentano l’attività principale del Ministero nell’ambito del recupero urbano per rimediare all’inadeguatezza di molti ambiti urbani causata da una totale assenza di infrastrutture e da una qualità urbana dicono ridotta, ma diciamo pure ridicola.
Erano ancora gli anni ’90/inizio XXI secolo e c’era molta meno attenzione per queste cose, non esisteva, forte come oggi, l’idea della “qualità urbana” né tantomeno quella della “qualità architettonica”, quindi la situazione era pessima, e ce ne siamo resi conto solo col senno di poi, quando altri paesi europei c’avevano già fatto mangiare la polvere. Così come con la Smart City: non ce l’abbiamo ancora fatta, neanche oggi, nel 2014.
Ma non è solo una questione di architettura o edilizia.
Cosa dovrebbero essere i contratti di quartiere?
I Contratti di quartiere sono programmi sperimentali di riqualificazione urbana. I programmi sono destinati a “quartieri segnati da diffuso degrado delle costruzioni e dell’ambiente urbano e da carenze di servizi in un contesto di scarsa coesione sociale e di marcato disagio abitativo”.
Praticamente l’Inferno.
Obiettivo prioritario del programma è migliorare questo Inferno, innescando, in particolare per l’edilizia residenziale pubblica, la trasformazione di quegli ambiti trascurati attraverso la ristrutturazione urbanistica e il recupero urbano, sovrapponendo interventi di edilizia e urbanistica a misure orientate all’incremento occupazionale e alla riduzione del disagio sociale.
La prima edizione del programma – con una dotazione finanziaria di 350 milioni di euro – riguardò BEN 57 comuni. Al di là della facile ironia, molto pochi purtroppo. Lo stato di attuazione dei Contratti di quartiere I si trova riportato chiaramente sul sito del Ministero delle Infrastrutture.
Con i dm 27/12/2001 e 30/12/2002 sono state individuate le risorse finanziarie e stabilite le procedure attuare i Contratti di quartiere II, che riguardava sempre i quartieri periferici o comunque degradati. Si diede così seguito alla prima tranche dei Contratti di quartiere. Il programma è teso, quindi, anche in questo caso, alla riqualificazione (sociale ed edilizia) delle aree periferiche ed è svincolato dai limiti nella destinazione che avevano le risorse precedentemente utilizzate di provenienza ex Gescal (prevalentemente solo per la componente residenziale). Le risorse di Stato e Regioni complessivamente disponibili sono 1357 milioni di euro. Anche in questo caso, ecco lo stato di attuazione, sul sito del Ministero.
Lo Stato che fa?
È chiaro che nell’ambito della riqualificazione delle periferie urbane e delle zone degradate urbanisticamente, architettonicamente e socialmente è necessario confermare l’impegno dello Stato, non solo dal punto di vista finanzianziario.
C’è bisogno di assicurare risorse con continuità, in modo da sostenere le iniziative dei comuni, soprattutto i capoluoghi delle aree metropolitane, ed è necessario trovare ambiti di intervento più articolati per investimenti privati per ridurre la separazione tra le periferie e il resto della città. Qui sta la chiave di tutto: investimenti privati uniti a investimenti pubblici e unione di periferia e centro città, per migliorare i luoghi e migliorare la qualità della vita.
Nonostante la chiara utilità del progetto Contratti di quartiere (I e II), tutto però sembra arenato.
Infatti: proprio in questi giorni l’Ance ha riferito che sono state definite dal Ministero delle Infrastrutture nuove modalità per rilanciare e accelerare i Contratti di quartiere II, sotto la spinta della Corte dei Conti che ha denunciato la pesante dilatazione dei tempi di attuazione dei programmi dei Contratti di quartiere, varati con la legge del 2001, che, cito, “restano per una parte significativa tuttora inattuati”. La riqualificazione delle periferie è un passo necessario per migliorare la qualità della vita dei cittadini che al momento vivono in un Inferno architettonico e sociale. Coniugare interventi in edilizia a interventi socio-culturali è probabilmente la chiave di lettura giusta; l’avvicinamento della periferia alla città potrebbe essere un modo per rendere partecipe la prima alla vita della seconda. Tutto questo rappresenta un bell’uovo di Colombo, ma ancora in Italia si è fatto poco. La Corte dei Conti sollecita. E in lontananza riecheggia un richiamo: Reeenziii…
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