Tutto cambia affinché nulla cambi, cosi si sentì dire il cavaliere Chevalley da Don Fabrizio, principe di Salina. Una affermazione che non è soltanto racchiusa in quel capolavoro che è Il Gattopardo ma trova applicazione anche nella realtà odierna dove spesso si fa l’errore di pensare che basti la novità per far cambiare davvero qualcosa,
E la novità, almeno per questa storia, sono gli incentivi destinati allo sviluppo (e alla nascita) di un nuovo mercato, quello del fotovoltaico. Negli anni però la novità si è spenta, direi quasi si è sciolta al sole così come si sono dileguati gli incentivi.
È vero che il mercato è diventato maturo, i costi dei moduli sono scesi del 50% e il dumping cinese ha spazzato via quello che rimaneva dei produttori europei ma va anche detto che in Italia la storia è stata un po’ diversa. Cinque anni fa abbiamo assistito alla nascita di produttori italiani accompagnati da messaggi trionfalistici che ne annunciavano l’entrata in campo come i nuovi salvatori del nostro futuro.
“La scelta di acquistare il prodotto realizzato in Italia permette di mantenere il capitale nel paese nel quale è stato originato, in questo modo le aziende locali continuano ad investire sul territorio, a sviluppare tecnologie e soluzioni innovative, mantenendo i posti di lavoro e offrendo nuove opportunità ai propri lavoratori e all’indotto” così recitava uno dei tanti claim di un produttore italiano di moduli fotovoltaici che, allora diceva, “abbiamo in pancia un nuovo grande progetto“.
Ebbene oggi ne vediamo e ne abbiamo visto il declino o addirittura – nella maggior parte dei casi – la definitiva scomparsa. Mi riferisco alla recente notizia di Solsonica, produttore italiano di moduli e soluzioni fotovoltaiche, che sembra voglia spostare i macchinari da Cittàducale in provincia di Rieti, dove produce dal 2007, in Brasile.
O ancora a MX Group che ha interrotto la produzione lo scorso mese di giugno per delocalizzare (sembrava allora) in Serbia o a Helios ed Ecoware dove i lavoratori sono oggi in cassa integrazione senza prospettive di uscita. Il mercato è bloccato e dopo un po’ di ossigeno arrivato dal Sudafrica grazie a una commessa importante, la produzione si è di nuovo bloccata. Ma anche X Group, produttore di celle, che già l’anno scorso ha fermato le macchine in provincia di Padova. E tanti altri, più o meno importanti.
Aziende dalle storie e dalle esperienze imprenditoriali diverse tra loro ma i cui destini sono stati uniti da un unico filo apparentemente invisibile: gli incentivi pagati in bolletta dai contribuenti italiani. Il loro decrescere, fino alla quasi totale scomparsa dei giorni nostri con il quinto conto energia, ha accompagnato prima il boom e poi la scomparsa di queste aziende.
A questo punto, mi chiedo, se ha senso vivere in un paese dove il sussidio ti accompagna dalla culla fino alla morte. Gli aiuti alle imprese creano distorsioni. Sarebbe molto più proficuo investire in leggi che facciano funzionare il sistema e che creino le condizioni affinchè gli imprenditori realmente capaci investano sul mercato. Tutto in Italia è sussidiato e tutto quello che compriamo lo abbiamo pagato due volte: alla cassa (o via bolletta elettrica) e già prima con le tasse. Negli ultimi dieci anni l’Unione europea ha avviato 40.000 pratiche per aiuti italiani potenzialmente illegali.
Tornando quindi alla nostra storia è molto più comodo dare la colpa ed accanirsi contro chi non ha saputo garantire sussidi a vita piuttosto che prendersi le proprie responsabilità, siano esse di tipo imprenditoriale che sociale. A casa oggi ci sono migliaia di persone ma di questo nessuno parla perché il futuro, state tranquilli, deve ancora venire. Poco importa se a questi lavoratori era stato promesso solo qualche anno fa.
Forse un po’ di pancia meno piena ci avrebbe consegnato – oggi – una storia diversa.
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