Il cordolo, nella tipologia di esecuzione più ricorrente in cemento armato (c.a.), è da sempre un elemento di collegamento suggerito e proposto in molte linee guida e norme tecniche per il recupero strutturale degli edifici in muratura lesionati da eventi sismici. «[…] Cordoli in sommità alla muratura possono costituire una soluzione efficace per collegare le pareti, in una zona dove la muratura è meno coesa a causa del limitato livello di compressione, e per migliorare l’interazione con la copertura […]» (DPCM 9/2/2011).
Esso rappresenta un elemento di coronamento e legatura molto utile al raggiungimento del corretto comportamento scatolare dell’edificio in muratura, soprattutto nei riguardi delle azioni sismiche. Il cordolo in c.a. può essere sia sommitale, ovvero riguardante la legatura della scatola muraria a livello di copertura, sia di interpiano per la legatura delle pareti tra due solai in continuità con l’inserimento di nuovi solai in laterocemento quando questi venivano prescritti in sostituzione degli antichi solai lignei.
In apertura, figura 0. Cordolo sommitale in c.a. emerso dalle macerie del crollo della chiesa della Madonna Addolorata a Norcia (PG), a seguito del terremoto del 2016.
Tuttavia in zona sismica, quando inserito nell’edilizia storica ed esistente, non sempre la tipologia di cordolo in c.a. ha funzionato, per una serie di errori nei dettagli costruttivi e nella valutazione della corretta interazione con la struttura muraria, che di fatto non hanno garantito la corretta chiusura della scatola muraria, bensì addirittura hanno favorito il collasso parziale di porzioni di muratura sottostante.
Cordoli cemento armato: cosa non ha funzionato?
I recenti terremoti hanno di fatto collaudato gli interventi di riparazione e miglioramento sismico eseguiti qualche decennio prima sull’edilizia lesionata da precedenti terremoti (Valnerina 1979, Umbria-Marche 1997 solo per fare alcuni esempi riferiti all’attuale cratere sismico del Centro Italia colpito dal devastante terremoto del 2016). Un collaudo che spesso è stato pesantemente negativo, obbligando ad una seria riflessione sulla corretta tecnica di esecuzione. Una serie di edifici sismicamente adeguati seguendo le tradizionali linee guida degli anni ’70-’80 sul recupero sismico degli edifici esistenti, che prevedevano la sostituzione delle coperture e solai lignei con pesanti solette in c.a., hanno fatto registrare molti collassi parziali, di cui buona parte dovuti alla presenza di cordoli molto rigidi in c.a., sia sommitali che interpiano.
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La funzione statica del cordolo sommitale è quella di assorbire i carichi verticali provenienti dalla copertura e distribuirli uniformemente alla parete sottostante. Tuttavia l’eccessiva rigidezza del c.a. ha di fatto trasformato il cordolo in una trave su due appoggi, trasmettendo solo sugli appoggi murari terminali la maggior parte del peso della copertura gravante su di esso, e di conseguenza lasciando scarica la parte centrale della parete sottostante.
Pertanto, invece di distribuire uniformemente il carico verticale sull’intera lunghezza della parete sottostante, di fatto quest’ultima è stata addirittura indebolita a livello sismico in quanto, resa ancora più scarica dai pesi verticali soprastanti che avrebbero dovuto stabilizzarla, è diventata più vulnerabile per azioni sismiche ad essa ortogonali. Spesso infatti il cordolo sommitale in c.a. veniva gettato in semplice aderenza alla sommità della parete, senza prevedere alcun tipo di collegamento verticale che potesse legare meglio il cordolo alla parete sottostante.
Figura 1. Ribaltamento fuori dal piano, a causa dell’effetto trave, di porzione muraria non connessa al soprastante cordolo sommitale in c.a. (Norcia – PG)
Come visibile dalle Figure 1-2, tanti sono stati i crolli parziali registrati nei terremoti successivi, molti dei quali in corrispondenza dei cordoli sommitali in c.a., anche a distanza di soli pochi decenni dagli interventi di adeguamento sismico che li avevano introdotti.
Figura 2. Esempi all’interno del cratere del Centro Italia (Visso a sx, Amatrice a dx) di ribaltamento fuori dal piano di pareti murarie non trattenute da cordoli sommitali in c.a. eseguiti senza barre verticali in occasione di ristrutturazioni post-sismiche risalenti ai decenni precedenti
Il cordolo in c.a. tuttavia è ancora oggi consigliato, anche dal DPCM 9/2/2011, relativo agli edifici storici vincolati, «[…] solo se di altezza limitata, per evitare eccessivi appesantimenti ed irrigidimenti, che si sono dimostrati dannosi in quanto producono elevate sollecitazioni tangenziali tra cordolo e muratura, con conseguenti scorrimenti e disgregazione di quest’ultima (Figura 3). In particolare, tali effetti si sono manifestati nei casi in cui anche la struttura di copertura era stata irrigidita ed appesantita. E’ in genere opportuno un consolidamento della muratura sommitale, per limitare la diversa rigidezza dei due elementi. Il collegamento tramite perfori armati può essere adottato, se ritenuto necessario, dopo aver verificato che questi possono essere ancorati efficacemente nella muratura, eventualmente consolidata.»
Mentre per quanto riguarda i cordoli d’interpiano le nuove direttive ne sconsigliano l’esecuzione in breccia per l’intero perimetro murario (Figura 4): «[…] L’inserimento di cordoli in c.a. nello spessore della muratura ai livelli intermedi produce conseguenze negative sul funzionamento strutturale della parete, oltre che essere un intervento non compatibile con i criteri della conservazione […]» (DPCM 09/02/2011).
Per ovviare a questi inconvenienti è opportuno realizzare cordoli sommitali con cemento dalle resistenze non elevate per non introdurre irrigidimenti eccessivi, e soprattutto inghisare verticalmente delle barre d’armatura al fine di vincolare efficaciemente la muratura sottostante e impedirne pertanto il ribaltamento fuori dal piano.
I danneggiamenti rilevati nell’ultimo terremoto del Centro Italia hanno evidenziato come molti interventi post-sisma Umbria-Marche del 1997 abbiano effettivamente tenuto conto degli errori del passato, promuovendo l’esecuzione di cordoli in c.a. contestualmente all’inserimento di inghisaggi verticali. Tuttavia anche in questo caso alcune situazioni hanno manifestato i medesimi crolli, dovuti sia per l’insufficiente lunghezza di ancoraggio delle barre verticali, sia per la scarsa qualità delle murature.
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In particolare per quest’ultima situazione si è verificato che anche in corrispondenza di inghisaggi molto profondi e ben progettati, le murature sottostanti sono comunque “franate” per la scarsa qualità della loro tessitura, spesso multistrato, lasciando le barre inghisate appese al cordolo (Figura 5). Soprattutto quest’ultimo caso insegna come la qualità della tessitura muraria su cui si va ad inghisare debba prima essere analizzata in modo approfondito, ed eventualmente provvedere preliminarmente ad un miglioramento del suo comportamento monolitico e strutturale, così come raccomandato dal DPCM 9/2/2011.
Figura 5. A sinistra crollo parziale in corrispondenza di inghisaggi verticali di lunghezza esigua (Visso – MC); a destra barre verticali di notevole profondità di collegamento tra cordolo e parete rimaste appese al cordolo con crollo totale della parete sottostante (Norcia – PG)
Non sono tuttavia mancati casi positivi in cui la presenza di barre verticali di lunghezza adeguata e una buona qualità della muratura sottostante hanno permesso al cordolo sommitale in c.a. di svolgere efficaciemente il suo ruolo di presidio antisismico limitando i danni e migliorando il comportamento scatolare dell’edificio (Figura 6).
Figura 6. Danneggiamento della chiesa di Sant’Agostino ad Amatrice (RI) durante la sequenza sismica del 2016-2017: a sx è rilevabile l’azione di trattenuta del cordolo in c.a. nei confronti della grande porzione di parete rimasta appesa grazie alle lunghe barre d’inghisaggio (immagine di dx) realizzate insieme al cordolo negli anni ’80 nei lavori di messa in sicurezza dopo il terremoto della Valnerina del 1979
Cordoli cemento armato: suggerimenti per un’efficace cordolatura
Col tempo, a fianco della tradizionale tecnica del c.a., sono maturate nuove ed alternative soluzioni costruttive per ovviare alla eccessiva rigidezza della soluzione tradizionale. Oggi il progresso delle tecnologie consente anche di eseguire cordolature sommitali con materiali e tecniche diverse, ad esempio in muratura armata, in muratura lamellare mediante rinforzo dei giunti di malta con materiali compositi, oppure in acciaio mediante tassellatura perimetrale di profili metallici (Figura 7). Tutte soluzioni valide se verificate con il contesto storico-edilizio. In tutti i casi occorre prestare grande attenzione alla qualità della tessitura muraria su cui si esegue il cordolo e si inseriscono le barre di inghisaggio verticale.
Figura 7. Soluzioni alternative per l’esecuzione di cordoli sommitali su edifici esistenti in muratura: a sx cordolo in muratura armata (immagine per gentile concessione dell’Ing. G. Cangi); al centro cordolo con profilo in acciaio tassellato al perimetro sommitale; a dx cordolo in muratura lamellare con reti di materiale composito (immagine per gentile concessione di Kimia Spa)
La tecnica tradizionale del cordolo sommitale in c.a. rimane tuttavia ancora valida in alcuni contesti edilizi purchè realizzata con le accortezze descritte precedentemente in modo da limitarne la rigidezza con l’utilizzo di calcestruzzo alleggerito o di resistenza non elevata, e migliorare i vincoli con la parete sottostante mediante l’inserimento di barre verticali (Figura 8).
La cordolatura perimentrale di interpiano, quando necessaria in occasione di consolidamento di solai esistenti, è oramai consigliato limitarla soltanto ad interventi puntuali di ancoraggio della soletta, per esempio mediante la tecnica a coda di rondine (punto 5 della Figura 9) o con inghisaggio diretto di barre metalliche (punto 9 della Figura 9), evitando ogni invasiva breccia nella muratura portante.
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