Quando va chiesta l’agibilità di un immobile?

E come funziona nel caso di abuso edilizio? È necessario il titolo in sanatoria? Analizziamo un caso nella rassegna sentenze della settimana

Mario Petrulli 07/05/21

Ecco una selezione delle massime di alcune sentenze di interesse per le materie dell’edilizia e dell’urbanistica, pubblicate nei giorni scorsi; gli argomenti oggetto delle pronunce sono: quando va chiesta l’agibilità di un immobile? E come funziona nel caso di abuso edilizio? Ordine di demolizione, serve comunicare l’avvio? Divisione immobile in più unita, come si regola l’incremento del carico urbanistico?

E ancora: ordine di sospensione lavori, scade dopo i 45 giorni dall’emanazione? Permesso di costruire, è possibile la proroga tacita del termine di durata?

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Quando va chiesta l’agibilità di un immobile?

TAR Molise, sez. I, sent. 30 aprile 2021, n. 164

In caso di abusi edilizia, l’agibilità di un immobile è subordinata al conseguimento del relativo titolo in sanatoria

L’agibilità di un immobile, a norma dell’art. 24 del d.P.R. n. 380/2001, presuppone l’integrale rispetto delle norme edilizie, giacché attesta non solo la salubrità degli ambienti ma anche la conformità dell’opera realizzata rispetto al progetto approvato: essa è quindi subordinata, in caso di abusi edilizi, al conseguimento del relativo titolo in sanatoria (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 3212/2018).

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Ordine di demolizione, serve comunicare l’avvio?

TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 30 aprile 2021, n. 1098

L’ordine di demolizione costituisce provvedimento che non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato

L’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (ex multis, T.A.R. Campania – Salerno, Sez. II, n. 1615/2020); di contro, in materia l’obbligo di motivazione può ritenersi assolto attraverso la puntuale indicazione delle opere abusive (cfr. T.R.G.A. Bolzano, n. 226/2020).

L’ordinanza di demolizione, per la sua natura di atto urgente dovuto e rigorosamente vincolato, non implicante valutazioni discrezionali, ma risolventesi in meri accertamenti tecnici, fondato, cioè, su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo del soggetto interessato, non richiede apporti partecipativi di quest’ultimo, il quale, in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la preventiva contestazione dell’abuso, ai fini del ripristino di sua iniziativa dell’originario assetto dei luoghi, viene, in ogni caso, posto in condizione di interloquire con l’amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di rimozione d’ufficio delle opere abusive; tanto più che, in relazione ad una simile tipologia provvedimentale, può trovare applicazione l’art. 21-octies della l. n. 241/1990, che statuisce la non annullabilità dell’atto adottato in violazione delle norme sul procedimento, qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente enucleato (T.A.R. Campania-Salerno, Sez. II, n. 1619/2020).

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In quest’ottica, l’ordine di demolizione costituisce provvedimento che non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi, come visto, di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con riferimento al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario, e i cui presupposti sono costituiti unicamente dalla constatata esecuzione dell’opera in totale difformità o in assenza del titolo abilitativo; né, per lo stesso motivo, si richiede una specifica motivazione che dia conto della valutazione delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione o della comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, senza che sussista alcuna violazione degli artt. 3 e 10-bis della legge n. 241 del 1990, ciò in quanto, ricorrendo i predetti requisiti, il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo in re ipsa l’interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1437/2017).

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Divisione immobile in più unita, come si regola l’incremento del carico urbanistico?

TAR Piemonte, sez. II, sent. 27 aprile 2021, n. 446

La divisione e il frazionamento di un immobile in più unità immobiliari distinte determina un incremento del carico urbanistico

La giurisprudenza ha chiarito in più occasioni che la divisione e il frazionamento di un immobile in più unità immobiliari distinte determina un incremento del carico urbanistico.

Va richiamata, in particolare, la sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV , 17/05/2012, n. 2838, secondo cui “ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di corresponsione degli oneri concessori, è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio, sicché non è neanche necessario che la ristrutturazione interessi globalmente l’edificio – con variazioni riguardanti nella loro interezza le parti esterne ed interne del fabbricato – ma è soltanto sufficiente che ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico “socio – economico ” che l’attività edilizia comporta, anche quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori dovuti ad una divisione o frazionamento dell’immobile in due unità o fra due o più proprietari” (v., altresì, Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 2004, n.2611; sez. II, sent. n. 2956/2021; T.A.R. Veneto, sent. n. 254/2021, sent. n. 331/2020; Tar Lazio, Roma, sent. n. 13913/2020; Liguria, sez. I , 28/04/2014, n. 647; T.A.R. Toscana, sez. III, 10 luglio 2013, n. 1084).

Anche l’intervento edilizio che prevede la realizzazione di sei distinte unità immobiliari, autonomamente utilizzabili, in luogo delle quattro preesistenti, porta, quindi, a un maggior carico urbanistico in relazione alla aumentata potenzialità di insediamento nell’immobile, con conseguente obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione.

Un incremento del carico urbanistico, per il quale è dovuto il pagamento degli oneri di urbanizzazione, si verifica anche in conseguenza della realizzazione di una nuova unità abitativa in luogo del preesistente magazzino: né può ritenersi che il Comune dovesse documentare che quest’ultimo fosse, in passato, al servizio dell’attività agricola, non risultando in ogni caso che tale locale sia mai stato destinato ad abitazione.

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Ordine di sospensione lavori, scade dopo i 45 giorni dall’emanazione?

TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 30 aprile 2021, n. 1098

L’ordine di demolizione costituisce provvedimento che non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato

L’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (ex multis, T.A.R. Campania – Salerno, Sez. II, n. 1615/2020); di contro, in materia l’obbligo di motivazione può ritenersi assolto attraverso la puntuale indicazione delle opere abusive (cfr. T.R.G.A. Bolzano, n. 226/2020).

L’ordinanza di demolizione, per la sua natura di atto urgente dovuto e rigorosamente vincolato, non implicante valutazioni discrezionali, ma risolventesi in meri accertamenti tecnici, fondato, cioè, su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo del soggetto interessato, non richiede apporti partecipativi di quest’ultimo, il quale, in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la preventiva contestazione dell’abuso, ai fini del ripristino di sua iniziativa dell’originario assetto dei luoghi, viene, in ogni caso, posto in condizione di interloquire con l’amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di rimozione d’ufficio delle opere abusive; tanto più che, in relazione ad una simile tipologia provvedimentale, può trovare applicazione l’art. 21-octies della l. n. 241/1990, che statuisce la non annullabilità dell’atto adottato in violazione delle norme sul procedimento, qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente enucleato (T.A.R. Campania-Salerno, Sez. II, n. 1619/2020).

In quest’ottica, l’ordine di demolizione costituisce provvedimento che non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi, come visto, di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con riferimento al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario, e i cui presupposti sono costituiti unicamente dalla constatata esecuzione dell’opera in totale difformità o in assenza del titolo abilitativo; né, per lo stesso motivo, si richiede una specifica motivazione che dia conto della valutazione delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione o della comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, senza che sussista alcuna violazione degli artt. 3 e 10-bis della legge n. 241 del 1990, ciò in quanto, ricorrendo i predetti requisiti, il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo in re ipsa l’interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1437/2017).

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Permesso di costruire, è possibile la proroga tacita del termine di durata?

TAR Lazio, Latina, sez. I, sent. 30 aprile 2021, n. 260

Impossibile la proroga tacita del termine di durata del permesso di costruire

L’art. 15 del DPR n. 380/01 stabilisce ai primi due commi che “Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore a un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata, non può superare tre anni dall’inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell’opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all’inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.

Nel sistema descritto dal sopra richiamato art. 15 del DPR n. 380/03 non è prevista la possibilità della proroga tacita del termine di durata del permesso di costruire.

Sul punto, la giurisprudenza è costante nell’affermare che “L’art. 15 comma 2 del T.U. 380/2001, che si riferisce ad una decadenza «di diritto», esclude qualsiasi sospensione automatica del termine di durata del permesso edilizio, e quindi a maggior ragione una sua automatica proroga. Richiede invece a tal fine che in ogni caso sia presentata un’istanza di proroga, sulla quale l’amministrazione deve pronunciarsi con un provvedimento espresso, nel quale accerti che i presupposti per accogliere l’istanza effettivamente sussistono (ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 03/08/2017, n. 3887).

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Corollari del suddetto principio, per il quale in caso di presentazione dell’istanza di proroga l’Amministrazione deve pronunciarsi con un provvedimento espresso, sono che, al fine della produzione dell’effetto decadenziale non è necessaria l’adozione, da parte dell’Amministrazione, di un provvedimento espresso sul punto (Cons. Stato, sez. III, 4 aprile 2013 n. 1870;) e che la decadenza dal permesso di costruire costituisce l’effetto automatico dell’inutile decorso del termine entro cui i lavori si sarebbero dovuti iniziare e concludere e che, pertanto, essa ha natura non già costitutiva bensì dichiarativa con efficacia ex tunc di un effetto verificatosi ex se e direttamente (ex multis: Cons. Stato, sez. IV, 24 gennaio 2018 n. 467).

In collaborazione con: www.studiolegalepetrulli.it

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Mario Petrulli

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