Ristrutturazione edilizia e interventi sull’esistente: tutte le norme in 8 punti

Negli anni sono aumentati sia i titoli abitativi che le possibilità di sostituire il rilascio di autorizzazioni da parte dell’amministrazione pubblica con l’asseveramento del professionista. Ecco un’utile guida per il tecnico

Giulia Gnola 14/12/20
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Iniziamo ad analizzare gli ambiti normativi a cui prestare attenzione per intervenire sull’esistente in edilizia: in generale, possono apparire come interventi di minore importanza, e certamente lo sono in termini di impatto urbanistico, ma non potenzialmente in termini di semplicità della procedura e delle complessità connesse.

Ogni qualvolta un tecnico va ad asseverare una relazione allegata ad una qualunque istanza edilizia (anche una “banale” CILA), implicitamente dichiara di aver valutato l’intero panorama normativo che può eventualmente contemplare quell’intervento, e di aver adempiuto ai relativi obblighi. È vero che la responsabilità non è mai esclusivamente del tecnico ma anche della committenza (vedasi per esempio l’art. 29 del d.P.R. 380/2001), ma è altrettanto vero che questa responsabilità un tecnico la assume praticamente in ogni incarico, e dunque ogni singola pratica edilizia può rappresentare un problema in caso di inesatta gestione anche di una sola delle complessità insite nel progetto.

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In un mondo dell’edilizia in cui le norme tecniche cominciano a essere davvero troppe, occorre più imparare a difendersi che a cercare un’onniscenza obiettivamente sempre più irraggiungibile.

(L’articolo è tratto da Manuale del progettista per gli interventi sull’esistente e per la redazione di due diligente immobiliari, di Marco Campagna, Maggioli Editore 2020 – link a fine articolo).

Ristrutturazione edilizia e interventi sull’esistente: tutte le norme da seguire

Ecco dunque una serie di norme generali a cui prestare attenzione negli interventi edilizi sul patrimonio esistente.

1. Il Testo Unico dell’Edilizia

– Testo generale di riferimento per le procedure edilizie.
– Definisce gli interventi edilizi e li classifica in base al titolo edilizio che è necessario per autorizzarli.
– Stabilisce i criteri generali per gli oneri concessori e, soprattutto, individua le procedure repressive in caso di opere eseguite in assenza o difformità dai titoli edilizi.
– Individua in via generale alcuni ambiti inerenti l’edilizia, tra cui l’abbattimento delle barriere architettoniche, la problematica del risparmio energetico e le procedure di denuncia e di autorizzazione per i lavori in zone sismiche e non, spesso senza abrogare la normativa relativa che rimane autonoma.
– Non fornisce, tuttavia, indicazioni su altri ambiti essenziali nell’edilizia, tra cui: vincoli dei beni culturali e paesaggistici; vincoli idrogeologici; normativa tecnica di settore.

Leggi: Nuovo Testo Unico edilizia: cos’è cambiato col DL semplificazioni

2. Le innovazioni del decreto SCIA 2

– Introduce la tabella con la corrispondenza esplicita tra tipologia di intervento edilizio e titolo edilizio.
– Colloca la CILA in apposito articolo e le conferisce quindi un ambito più circostanziato, pur togliendola dalle attività edilizie “libere” (>> leggi: SCIA, è sufficiente per un cambio di destinazione d’uso?).
– Sostituisce la c.d. “super DIA” con la SCIA alternativa al permesso di costruire e introduce la segnalazione certificata per l’agibilità, in sostituzione delle procedure precedenti.

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3. Il decreto Semplificazioni 16 luglio 2020 n. 76 convertito con l. 11 settembre 2020 n. 120

A seguito dell’emergenza generata dalla necessità di contenere la diffusione del COVID-19, il Governo italiano ha provveduto, al fine di produrre uno stimolo al settore dell’edilizia, ad introdurre delle “semplificazioni” al Testo Unico dell’Edilizia. Al momento di redigere il presente testo, il decreto, pubblicato prima nella forma del decreto legge (d.l. 16 luglio 2020 n. 76) risulta essere stato convertito con legge 11 settembre 2020 n. 120 (G.U. n. 228 del 14 settembre 2020), con alcune modifiche rispetto al testo originario.

Le innovazioni al settore edilizio apportate dal decreto sono principalmente contenute nell’articolo 10.

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4. Il Codice dei Beni Culturali – decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42

Individua gli immobili o le porzioni di territorio che sono sottoposte a speciali procedure di tutela per finalità culturali. Sono quindi esclusi da questo testo i vincoli aventi natura di tutela della pubblica sicurezza o di igiene pubblica.

Il testo è diviso in quattro parti ma la prima e l’ultima parte, rispettivamente le disposizioni generali e le norme transitorie, sono relativamente meno importanti rispetto alle disposizioni della seconda e della terza parte.

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5. La parte seconda del Codice dei Beni Culturali: i vincoli diretti o decretati

– Parte seconda: vincoli dei beni culturali, detti anche vincoli decretati o impropriamente vincoli puntuali. Il vincolo può riguardare interi edifici, porzioni di fabbricati, singoli elementi architettonici o, più raramente, singole unità immobiliari, ma può riguardare anche ville storiche o di particolare pregio. Le preesistenze archeologiche sono considerate quasi sempre beni tutelati in questa parte del Codice.
Non c’è distinzione tra proprietà pubblica e privata: qualunque immobile può essere ritenuto meritevole di tutela, e non vi è differenziazione dei livelli di tutela: se un bene è tutelato, la procedura di autorizzazione ai lavori è sempre la stessa, non cambia né in base al tipo di decreto, né in base alle opere da effettuarsi.
– I beni culturali sono ovviamente anche del tipo non immobiliare: libri, collezioni, gioielli, monete, qualunque cimelio che può essere testimonianza di un fatto o di un periodo storico ecc.
– Effettuare opere non autorizzate su beni tutelati comporta una ipotesi di reato, oltre a comportare un iter autorizzativo postumo molto complesso, quasi non delineato.

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6. La parte terza del Codice dei Beni Culturali: i vincoli paesaggistici

– La parte terza del Codice riguarda le disposizioni specifiche per i beni paesaggistici; questi generalmente sono vincoli che riguardano vaste aree del territorio, sebbene non è inusuale trovarsi di fronte a vincoli paesaggistici che interessano un singolo lotto urbano.
– Possono essere del tipo ope legis, cioè applicarsi automaticamente al verificarsi di un presupposto (per esempio la presenza di un fiume, del mare, di un lago, di un vulcano, ecc.), oppure istituiti sia tramite un decreto ministeriale di vincolo diretto, sia tramite l’iter di formazione dei piani paesistici regionali. In questo secondo caso si parla di vincoli decretati, da non confondere con quelli, omonimi, gestiti dalla parte seconda del Codice. Per la loro individuazione, si può fare riferimento ai piani territoriali paesistici regionali.
– Per alcune tipologie di intervento meno invasive è possibile ricorrere ad una procedura di sanatoria, come per quegli interventi eseguiti in assenza di autorizzazione paesaggistica.
– Comunque, effettuare interventi senza autorizzazione preventiva produce automaticamente una ipotesi di reato.

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7. Procedura per l’autorizzazione paesaggistica e decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017 n. 31

– L’autorizzazione paesaggistica per gli interventi edilizi in aree vincolate può essere ordinaria, semplificata oppure non necessaria.
– Il d.P.R. 31/2017 ha introdotto un ampio elenco di opere che non sono soggette ad autorizzazione paesaggistica (allegato A) e, parallelamente, un altrettanto nutrito elenco di opere soggette ad autorizzazione semplificata (allegato B); tutto ciò che non è riconducibile ad alcuna delle due fattispecie, si intende soggetto a procedura ordinaria.
– La domanda di autorizzazione paesaggistica secondo l’attuale ordinamento normativo non prevede mai silenzio-assenso nei confronti del cittadino, ma lo prevede tra le amministrazioni interessate dal processo autorizzativo; impone però dei termini perentori che l’amministrazione deve rispettare per l’emanazione delle autorizzazioni.

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8. Procedura per l’accertamento di compatibilità paesaggistica per interventi effettuati in assenza o difformità dall’autorizzazione

A differenza dei beni di cui alla parte seconda del Codice, per i beni di cui alla parte terza esiste una esplicita procedura di sanatoria, dettagliata all’interno dell’articolo 167. La procedura consente di ottenere dagli organi preposti (la regione o gli enti incaricati della tutela) un accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi eseguiti in assenza di titolo.

Ovviamente, anzitutto è necessario chiarire se l’intervento realizzato possa ricomprendersi tra quelli di cui all’allegato A del d.P.R. 13 febbraio 2017 n. 31, trattato nel sottoparagrafo precedente, in cui sono dettagliati gli interventi che non sono più sottoposti ad autorizzazione e quindi, come visto, non lo sono più neanche in procedure di accertamento di compatibilità.

L’art. 167 però specifica alcuni paletti in presenza dei quali l’accertamento di compatibilità non è comunque mai possibile. Il paletto più importante è quello relativo al fatto che l’intervento non deve aver comportato ampliamento di superfici o volumi. Per tale impostazione evidentemente non risulteranno mai sanabili interventi di ampliamento, anche se dal punto di vista edilizio potrebbero esserlo.

Sono contemplati, tuttavia, casi particolari in cui è teoricamente possibile ottenere l’autorizzazione postuma, ed è per esempio il caso in cui l’opera è stata eseguita in assenza di titolo edilizio prima dell’apposizione del vincolo. Il caso comunque è molto particolare e va analizzato nella sua specificità: sono stati pubblicati alcuni atti ministeriali che trattano l’argomento come, per esempio, il parere del 5 maggio 2016 dell’ufficio legislativo del Ministero dei beni culturali.

Manuale del progettista per gli interventi sull’esistente e per la redazione di Due Diligence immobiliari

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Foto: iStock/PamelaJoeMcFarlane

Giulia Gnola

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