Non sono bastate le 228 pagine del primo parere del Consiglio di Stato n. 855/2016 in data 1 aprile 206 (già la scelta della data era emblematica) sul codice dei contratti che sarebbe stato pubblicato pochi giorni dopo, i due correttivi, l’abrogazione e la ricomparsa temporanea dell’appalto integrato che è solo servita a bloccare per un anno, fra gli altri, tutti i progetti in partenza finanziati con i Fondi comunitari, gli ulteriori pareri del Consiglio di Stato sui provvedimenti, sulle Linee Guida e sulla reale funzione normativa arrivando a dover ricordare anche che un provvedimento sovraordinato o le sue parti non possono essere abrogati da un provvedimento di rango inferiore o attraverso semplici atti di regolazione flessibile.
Codice degli Appalti, che odissea
E non sono mancati ulteriori campanelli di allarme come nel caso del successivo parere, tra gli altri, del Consiglio di Stato n. 22/2017 del 10 gennaio 2017 sui contenuti della progettazione, dove, in una delle considerazioni sul rapporto tra il diritto e la tecnica, il CdS è arrivato a fare un riferimento esemplificativo anche al processo di Norimberga per segnalare, in modo vistoso, la rilevanza (e forse anticipando le conseguenze) e il rischio di quello che stava facendo.
Tutto questo non ha modificato la rotta e si è proceduto con l’attuazione della visione originaria che doveva essere: generare un processo semplificato nella gestione dei contratti pubblici sorretto da una soft law accompagnata da pochi e snelli decreti e atti di indirizzo.
Bene, ad oggi siamo arrivati a un decreto legislativo (il d.lgs. 50/2016) e 116 provvedimenti tra decreti attuativi, correttivi, Linee Guida ANAC e altri atti regolatori tra quelli pubblicati, le doppie pubblicazioni e quelli (la maggior parte) ancora da pubblicare. Alcune associazioni del settore edilizio hanno stimato in un punto di PIL la perdita di risorse causata dal fermo o dai ritardi riconducibili a tutti i problemi determinati dalle criticità generate dal d.lgs. 50/2016, prima fra tutte, l’incertezza nell’applicazione delle procedure di appalto.
In considerazione del fatto che un punto di PIL è stimato in 15 miliardi di euro è possibile comprendere la portata e le conseguenze di tale situazione che ricorre molto spesso in questo Paese nel quale si continua a far ricadere i danni economici delle scelte sbagliate su tutti, le responsabilità su nessuno.
Nel corso di questi 3 anni abbiamo, in effetti, visto e letto cose sul “nuovo” codice dei contratti che non avremmo immaginato di dover vedere ricevendo, purtroppo, continue conferme che si andava verso una situazione difficilmente governabile.
Procedura di infrazione: mal comune non è mezzo gaudio
La Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia per “mancata conformità del quadro giuridico italiano alle Direttive europee del 2014 in materia di contratti pubblici”. Il fatto di essere in compagnia con altri 14 Paesi membri non costituisce elemento consolatorio perché al di là delle specifiche contestazioni, tutto quello che costituisce un elemento di criticità in un settore vitale come quello dell’edilizia, dovrebbe essere osservato e risolto con grande attenzione.
Quali sono i motivi?
Nello specifico, il motivo dell’apertura della procedura di infrazione risiede in una serie di violazioni che interessano vari ambiti tra i quali quello del subappalto che sembra avere il maggior peso; in questo specifico ambito si registrano almeno 6 violazioni che interessano:
- il divieto di subappalto oltre il 30%di un contratto;
- l’obbligo di individuazione della terna dei subappaltatori;
- il divieto di subappalto del subappalto;
- il divieto di ricorrere alle capacità di un altro soggetto da parte del soggetto di riferimento;
- il divieto di sovrapposizione tra offerenti e subappaltatori;
- il divieto di avvalimento su altri soggetti nei contratti di opere complesse.
Si tratta di aspetti soprattutto di natura tecnico-applicativa rispetto alle Direttive europee del 2014 e sui quali non dovrebbe essere difficile ricomporre la conformità a oggi non riscontrata da parte della Commissione europea.
Il vero problema resta la scelta di passare dal sistema precedente ormai consolidato con adeguata chiarezza (1 codice, 1 regolamento) ad un apparato di norme e provvedimenti (circa 120) che non è più controllato né governabile oltretutto a fronte di una direttiva europea che, con grande chiarezza, poneva bene in evidenza quali fossero gli ambiti sui quali era necessario un adeguamento delle norme precedenti.
Alcuni dati di sintesi possono aiutare a comprendere cosa rappresenta il settore dell’edilizia nel sistema Paese; a tal fine è sufficiente indicare solo alcuni numeri che restituiscono con grande chiarezza il valore economico. Nel 2017 le prime 100 imprese del comparto edilizia hanno fatturato 23 miliardi di euro e nel 2020 il settore varrà il 15% del PIL.
Questi sono i dati che è necessario tener ben presenti mentre si procede a governare le scelte che saranno compiute non soltanto per dare seguito alle azioni che dovranno essere attuate per chiudere senza danni la procedura di infrazione appena aperta ma per riuscire a dare al settore un assetto normativo adeguato considerando che si sta parlando di un ambito strategico per l’economia del Paese ed è, pertanto, indispensabile procedere in tempi molto brevi alla profonda revisione dell’attuale codice dei contratti pubblici, ormai non più rinviabile, riconducendo le norme e i relativi enti di controllo verso prescrizioni e procedure chiare ed applicabili.
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