Un nuovo imperdibile appuntamento con le sentenze! La selezione sull’edilizia e l’urbanistica che vi accompagna ogni settimana. Gli argomenti di oggi sono:
– tettoia di ampie dimensioni e prefabbricato a uso ufficio,
– approvazione di un piano attuativo di iniziativa privata,
– scomputo degli oneri,
– variante al PRG,
– oneri per permesso in sanatoria.
Tettoia grande e prefabbricato: titolo edilizio necessario
Serve il permesso di costruire per una tettoia di ampie dimensioni usata per deposito autovetture e per un prefabbricato ad uso ufficio
Una tettoia in ferro a uso deposito autovetture, avente superficie interna di quasi 200 mq. ed un manufatto prefabbricato in pannelli coibentati ad uso ufficio costituiscono strutture non precarie, ma stabilmente utilizzate come deposito o (più in generale) come ambiente di lavoro, soggette al regime del permesso di costruire ex art. 3, lett. e.5) del D.P.R. n. 380/2001 (ai sensi del quale sono comunque da considerarsi “interventi di nuova costruzione” “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere (…) che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformita’ alle normative regionali di settore”).
In realtà, costituisce “principio consolidato in giurisprudenza che la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico ma temporalmente limitato del bene: infatti, ai fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, che esclude la necessità del rilascio di un titolo edilizio, si deve prescindere dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data dal manufatto dal costruttore e si deve, invece, valutare l’opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo o pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale (ex multis T.A.R. Campania – Napoli 10.6.2011 n. 3114). Per individuare la natura precaria di un’opera, si deve quindi seguire «non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale”.
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Per cui un’opera, se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee, non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili (fra le decisioni più recenti cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1291 del 1° aprile 2016). La giurisprudenza consolidata ha inoltre evidenziato (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 10 giugno 2010, n. 2406) che produce trasformazione urbanistica ogni intervento che alteri in maniera rilevante e duratura lo stato del territorio, a nulla rilevando l’eventuale precarietà strutturale e l’amovibilità, ove ad essa non si accompagni un uso assolutamente temporaneo e per fini contingenti e specifici» (T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione I, 17/07/2018, n. 1174).
Approvazione di un piano attuativo di iniziativa privata
L’approvazione di un piano attuativo di iniziativa privata non è un atto dovuto, ancorché il medesimo risulti conforme al piano regolatore generale
L’approvazione di un piano attuativo di iniziativa privata non è un atto dovuto, ancorché il medesimo risulti conforme al piano regolatore generale, perché, sussistendo un rapporto di necessaria compatibilità ma non di formale coincidenza tra quest’ultimo e i suoi strumenti attuativi ed essendovi una pluralità di modi con i quali dare attuazione alle previsioni dello strumento urbanistico generale, è ineliminabile la sussistenza di un potere discrezionale nella valutazione delle soluzioni proposte, dato che il Comune non si limita a svolgere un semplice riscontro della conformità del piano allo strumento generale, ma esercita pur sempre poteri di pianificazione del territorio e pertanto può negare l’approvazione del piano attuativo (ex pluriubus cfr. Tar Sicilia, Palermo, Sez. II, 8 luglio 2015, n. 1667; Tar Puglia, Bari, Sez. III, 12 marzo 2015, n. 403; Tar Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 11 febbraio 2014, n. 41; Tar Sicilia, Catania, Sez. I, 29 maggio 2013, n. 1563; Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 marzo 2013, n. 1479; id. 19 settembre 2012, n. 4977; Tar Umbria, Sez. I, 27 maggio 2010, n. 335; Tar Piemonte, Sez. I, 9 aprile 2010, n. 1752; Tar Calabria, Catanzaro, Sez. I, 6 giugno 2008, n. 624; Consiglio di Stato, Sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 248).
Ne discende che il Comune, fino all’approvazione del piano, è pienamente titolare della propria potestà pianificatoria e possa modificare le proprie scelte.
Scomputo degli oneri: serve valutazione del Comune?
Lo scomputo non è un diritto ma è subordinato ad una valutazione da parte del Comune
Secondo la giurisprudenza, “Lo scomputo del valore delle opere di urbanizzazione non configura un diritto dell’operatore, ma una mera possibilità, per la quale occorre sempre il consenso e l’autorizzazione dell’amministrazione. Ne consegue che, in difetto di autorizzazione e di accordo espresso della p.a. sullo scomputo delle nuove opere, a destinazione variata, dall’ammontare degli oneri, l’operatore non dispone di alcuna pretesa tutelata diretta a portare in detrazione dal valore delle suddette opere il contributo di urbanizzazione dovuto” (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 10.4.2018, n. 954).
Come evidenziato da T.A.R. Liguria, Genova, Sez. I, 29.9.2016, n. 955, “In tema di rilascio del permesso di costruire, pur essendo previsto che il soggetto che richiede il permesso di costruire, a scomputo totale o parziale della quota dovuta a titolo di contributo di costruzione, possa obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, sia primarie che secondarie, con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune, tale iniziativa è sempre subordinata ad una valutazione del Comune.
In tal senso, l’ammissione allo scomputo costituisce oggetto di una valutazione ampiamente discrezionale da parte dell’amministrazione (che ben può optare per soluzioni diverse senza obbligo di specifica motivazione) ed un vero e proprio diritto sorge in capo al privato proponente allorché, a fronte della realizzazione da parte sua di opere di urbanizzazione ovvero dell’impegno a realizzarle, vi sia stato un espresso atto di “accettazione” consensuale da parte della stessa amministrazione.”.
La valutazione ampiamente discrezionale da parte dell’Amministrazione può optare per un diverso assetto di rapporti da essa reputato maggiormente servente rispetto all’interesse pubblico ed alla collettività di riferimento.
Variante al PRG: comunicazione di avvio del procedimento
L’adozione di una variante al piano regolatore generale non deve essere necessariamente preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati
Secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, ai sensi dell’art. 13, L. n. 241 del 1990, “l’adozione di una variante al piano regolatore generale, in quanto provvedimento di pianificazione generale, non deve essere necessariamente preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati” (Cons. Stato, Sez. IV, n. 5229 del 2011 e n. 4200 del 2013).
Oneri per permesso in sanatoria: legittimazione passiva del proprietario
TAR Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 8 febbraio 2019 n. 280
Il proprietario attuale del bene abusivo è legittimato passivo rispetto al pagamento degli oneri connessi al rilascio del titolo in sanatoria
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, “la normativa sul condono, nel disciplinare le obbligazioni ad esso connesse, include gli aventi causa tra i soggetti in ogni caso legittimati dal punto di vista passivo, configurando una sorta di obbligazioni propter rem legate alla proprietà del bene, sia con riferimento alle somme dovute a titolo di oblazione sia per gli altri oneri concessori” (così, C.d.S., Sez. VI, sentenza n. 753/2018).
L’attuale proprietario del bene abusivo, così come è legittimato a presentare domanda di condono edilizio, avendo interesse alla conservazione del bene, del pari è legittimato passivo rispetto al pagamento degli oneri connessi al rilascio del titolo in sanatoria, quale diretto beneficiario del medesimo.
In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it
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