Ecco una selezione delle massime di alcune sentenze di interesse per le materie dell’edilizia e dell’urbanistica, pubblicate la scorsa settimana e nel corso della pausa natalizia. Gli argomenti oggetto delle pronunce sono: sequestro penale: esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo; lottizzazione abusiva: ipotesi concreta; DIA e SCIA: legittimazione attiva, verifica da parte del Comune; variante al piano regolatore generale; contrasto fra indicazioni grafiche e prescrizioni normative di un piano urbanistico; permesso di costruire per una recinzione; presupposti per il certificato di agibilità; approvazione di un piano attuativo: discrezionalità del Comune; osservazioni a un piano urbanistico; titolo edilizio necessario per una tettoia; titolo edilizio necessario per un muro di rilevanti dimensioni; centralina termica: volume di modeste dimensioni, volume tecnico.
Abusi edilizi: due sentenze
Sequestro penale: esecuzione ordine di demolizione di immobile abusivo
Estremi della sentenza: TAR Lazio, Roma, sez. II quater, sent. 4 gennaio 2019, n. 139
L’esistenza di un provvedimento giudiziale di sequestro non impedisce l’esecuzione di un ordine di demolizione di un immobile abusivo
Anche se l’abuso è oggetto di un provvedimento di sequestro preventivo penale, ciò non rileva sul piano della legittimità dell’ingiunzione di demolizione, in quanto non incidente su alcuno dei presupposti previsti dalla legge per l’esercizio del potere sanzionatorio dell’Amministrazione. Il provvedimento di sequestro di cui all’art. 321 c.p.p. è invero finalizzato a impedire l’ulteriore protrazione del reato e non preclude affatto l’ottemperanza all’ordine di ripristino adottato in via amministrativa, la quale deve quindi considerarsi sempre possibile, previa espressa autorizzazione del giudice penale competente.
Non può dunque configurarsi alcuna impossibilità giuridica dell’ottemperanza, giacché la parte colpita dall’ingiunzione, siccome tenuta a eseguire l’ordine amministrativo, ha l’onere di richiedere tempestivamente il dissequestro del manufatto finalizzato all’esecuzione dell’ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi (in tal senso, ad esempio, TAR Sicilia, Palermo, sez. III, sent. 4 luglio 2017, n. 1776).
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Lottizzazione abusiva
Estremi della sentenza: TAR Toscana, sez. III, sent. 19 dicembre 2018 n. 1643
Integra un’ipotesi di lottizzazione abusiva la suddivisione in lotti di ridotte dimensioni di un’area agricola e successiva contestuale vendita a soggetti non imprenditori agricoli, con realizzazione di senza titolo, in pressoché ciascuno dei lotti, di manufatti e strutture di tipo abitativo e destinate alla stabile permanenza e con la realizzazione di una strada pedonale e carrabile ad opera dell’originario proprietario lottizzatore.
Ai sensi dell’art. 30 co. 1 del d.P.R. n. 380/2001, la lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio consiste nella trasformazione urbanistica o edilizia degli stessi attuata mediante l’avvio e l’esecuzione non autorizzati di opere, in violazione degli strumenti urbanistici vigenti o adottati, ovvero predisposta attraverso il frazionamento e la vendita di un terreno in lotti che, per le loro caratteristiche, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.
Può, dunque, trattarsi di un’attività materiale o anche soltanto giuridica (lottizzazione “negoziale” o “cartolare”), ma anche del concorso dell’una e dell’altra (lottizzazione “mista”).
La giurisprudenza ha da tempo individuato l’interesse tutelato dalla norma nella salvaguardia dell’ordinato sviluppo del tessuto urbano e, soprattutto, del potere di pianificazione attuativa e di controllo dell’amministrazione, che risulterebbero pregiudicati dalla realizzazione di insediamenti potenzialmente privi dei servizi e delle opere di urbanizzazione necessari; mentre il concetto di “trasformazione” viene inteso in senso funzionale, dovendosi perciò avere riguardo al complesso delle opere realizzate e al correlativo aggravio del carico urbanistico, ancorché le singole costruzioni – isolatamente considerate – risultino eventualmente assistite da regolare titolo edilizio (per questo può costituire lottizzazione abusiva materiale anche il cambio di destinazione d’uso di un complesso immobiliare formato da singoli elementi legittimamente edificati, se ne deriva un carico urbanistico diverso da quello in origine previsto: fra le moltissime, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 luglio 2017, n. 3788, e i precedenti ivi citati; id., sez. IV, 30 agosto 2016, n. 3721; id., sez. IV, 19 giugno 2014, n. 3115).
Tanto premesso, integra un’ipotesi di lottizzazione abusiva la suddivisione in lotti di ridotte dimensioni di un’area agricola e successiva contestuale vendita a soggetti non imprenditori agricoli, con realizzazione di senza titolo, in pressoché ciascuno dei lotti, di manufatti e strutture di tipo abitativo e destinate alla stabile permanenza e con la realizzazione di una strada pedonale e carrabile ad opera dell’originario proprietario lottizzatore.
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Le altre sentenze di oggi
DIA e SCIA: legittimazione attiva
Estremi della sentenza: TAR Lombardia, Milano, sent. 20 dicembre 2018 n. 2825
Anche in relazione agli interventi realizzabili con D.I.A. o S.C.I.A. risulta necessario verificare la legittimazione all’intervento da parte del privato, allo stesso modo di quanto previsto per il rilascio del permesso di costruire dell’art. 11 del Testo Unico Edilizia.
Come affermato in passato dalla giurisprudenza, “Il riferimento, contenuto nell’art. 11 del d.p.r. n° 380 del 2001, al permesso di costruire si estende logicamente anche agli interventi realizzabili previa dia o scia perché:
– la diversità di regime giuridico rispetto al permesso di costruire dipende dalla tipologia di intervento e non dalla legittimazione ad effettuarlo;
– la circostanza che il titolo edilizio si formi con dia o scia senza l’espressione di un atto di assenso dell’amministrazione si spiega solo se sussiste piena legittimazione in ordine alla proprietà o ai diritti reali che devono previamente sussistere in relazione agli interventi da effettuare” (TAR Emilia Romagna, Bologna, sent. 18 maggio 2017, n. 387).
Pertanto, anche in relazione agli interventi realizzabili con D.I.A. o S.C.I.A. risulta, comunque, necessario verificare la legittimazione all’intervento da parte del privato; tale accertamento non può, comunque, tradursi in una richiesta di integrazione documentale che non affondi le proprie radici su un effettivo dubbio sostanziale sulla titolarità del privato all’esecuzione dell’intervento.
Variante al piano regolatore generale
Estremi della sentenza: TAR Valle d’Aosta, sent. 19 dicembre 2018 n. 62
La variante al piano regolatore generale, al pari del piano stesso, è un atto amministrativo generale
Il Piano regolatore generale è lo strumento urbanistico principale perché stabilisce le direttive generali di sistemazione del territorio di un Comune. I provvedimenti comunali di pianificazione urbanistica e le relative varianti hanno natura discrezionale e possono, in sede di variante, incidere su precedenti, difformi destinazioni di zona, comportare modifiche radicali al piano vigente, e rettificare direttive urbanistiche pregresse, al fine di realizzare un processo di adeguamento e modernizzazione delle strutture al servizio del territorio (Cons.Stato sez. IV, 01/03/2010, n.1182). La variante al PRG, al pari di quest’ultimo, quindi, è “atto amministrativo generale” (in questo senso, T.A.R. Abruzzo, sez. I, 12.04.2018, n.129).
Piano urbanistico: contrasto fra indicazioni grafiche e prescrizioni normative
Estremi della sentenza: TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 18 dicembre 2018 n. 2814
In caso di contrasto tra le indicazioni grafiche e prescrizioni normative degli strumenti urbanistici, sono le seconde a prevalere
In caso di contrasto tra le indicazioni grafiche e prescrizioni normative degli strumenti urbanistici, sono le seconde a prevalere, in quanto in sede d’interpretazione degli strumenti urbanistici le risultanze grafiche possono chiarire e completare quanto è normativamente stabilito nel testo, ma non sovrapporsi o negare quanto risulta da questo (per tutte, da ultimo cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16.06.2015, n. 2998; TAR Toscana, Sez. I, sentenza 21.07.2017 n. 946). Ne consegue che, di fronte al chiaro contenuto della parte normativa del piano è la parte grafica del piano che dev’essere modificata e non il contrario.
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Recinzione: serve il permesso di costruire
Estremi della sentenza: TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 24 dicembre 2018 n. 7333
La posa di sei paletti infissi nel suolo, destinati a sorreggere una recinzione di rete metallica senza opere murarie ed una modesta pavimentazione esterna non richiedono il permesso di costruire
La posa di sei paletti infissi nel suolo, destinati a sorreggere una recinzione di rete metallica senza opere murarie, costituisce un manufatto di limitato impatto urbanistico e visivo, essenzialmente destinato al solo scopo di delimitare la proprietà per separarla dalle altre, per cui l’intervento non richiede il rilascio di un permesso di costruire, fatta salva ovviamente l’osservanza dei vincoli paesaggistici (cfr. TAR Brescia, sez. II, 25/9/2018, n. 907; TAR Roma, sez. II, 4/9/2017, n. 9529; Cons. St., sez. IV, 15/12/2017, n. 5908).
L’opera di pavimentazione di un’area esterna di modesta estensione neppure è di per sé soggetta al permesso di costruire, salvo che non comporti una trasformazione urbanistica del suolo ed un cambio della sua destinazione, sempre ferma restando l’osservanza dei vincoli paesaggistici (cfr. TAR Napoli, sez. VI, 1/8/2018, n. 5144; cfr. art. 6, co. 1, lett. e-ter), del d.P.R. n. 380).
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In sede di approvazione di un piano attuativo all’Amministrazione comunale spetta un’ampia discrezionalità valutativa, che non verte solo sugli aspetti tecnici della conformità o meno del piano attuativo agli strumenti urbanistici di livello superiore, ma coinvolge anche l’opportunità di dare attuazione, in un certo momento e a determinate condizioni, alle previsioni dello strumento urbanistico generale, sussistendo fra quest’ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità, ma non di formale coincidenza (in tal senso, ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 3 aprile 2017, n. 1508; id., 29 dicembre 2016, n. 5527); ciò perché la pianificazione attuativa costituisce pur sempre espressione della potestà pianificatoria, seppur declinata in ottica più specifica e operativa, con la conseguente sussistenza dei margini di discrezionalità che ad essa si correlano.
L’ampia discrezionalità di cui dispone l’Amministrazione – che, peraltro, incide anche in ordine alla minor pregnanza del generale obbligo di motivazione – implica che la scelta operata sia sottratta al sindacato di legittimità, non potendo il giudice amministrativo interferire con le decisioni riservate all’Amministrazione se non nei limiti della verifica della loro manifesta irragionevolezza, illogicità ovvero arbitrarietà e senza poter procedere ad un esame del merito della scelta pianificatoria.
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Una tettoia di 20 metri, per quanto sopra detto, costituisce per l’appunto opera che attua una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio con perdurante modifica dello stato dei luoghi. La giurisprudenza ha più volte chiarito che una tettoia, ancorché avente natura pertinenziale, è comunque soggetta a permesso di costruire allorché incida sull’assetto edilizio preesistente, osservando che l’incisione è particolarmente significativa ove la tettoia insista su un territorio tutto vincolato (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. III, 26 febbraio 2015, n. 1325, e giurisprudenza ivi richiamata).
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Serve il permesso di costruire per un muro di 18 metri di lunghezza per 3 metri di altezza
Le dimensioni di un muro di 18 metri di lunghezza per 3 metri di altezza sono tali da poterlo annoverare non solo tra le opere di “ristrutturazione” ma persino tra gli “interventi di nuova costruzione” di cui all’art. 3, comma 1, lett. e) d.p.r. 380/2001, interventi tutti che necessitano del permesso di costruire allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area relativa, siano tali da modificare l’assetto urbanistico del territorio (cfr. Cass. Pen., sez. III, 6 ottobre 2016, n. 8693; T.a.r. Veneto, sez. II, 21 giugno 2018, n. 663; e recentissima Cons. St., sez. VI , 09 luglio 2018, n. 4169, secondo il quale “ si deve qualificare l’intervento edilizio quale nuova costruzione quante volte abbia l’effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie.
Sulla base di tale approccio, la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività. Per converso, il muro di contenimento che crei un nuovo dislivello o aumenti quello esistente costituisce una nuova costruzione, soggetta al rilascio del permesso di costruire, allorquando, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area relativa, lo stesso sia tale da modificare l’assetto urbanistico del territorio, così rientrando nel novero degli interventi di “nuova costruzione”. Quest’ultimo concetto è infatti comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o ai muri di quello preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole l’area coperta, ovvero ancora le opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi”.
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Centralina termica: che tipo di volume è?
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Un volume di modeste dimensioni destinato ad accogliere una centralina termica deve ritenersi tecnico
Deve considerarsi tecnico un semplice volume di mt. 1.70 x 1.35 (privo di utenza) destinato ad accogliere una centralina termica. Detto manufatto, pertanto, non può essere considerato alla stregua di una costruzione abusiva, trattandosi all’evidenza di volume tecnico, date le limitate dimensioni e le specifiche caratteristiche costruttive (mancanza di aperture) e l’impossibilità di adibirlo ad uso diverso rispetto alla funzione prospettata, di spazio per allocarvi impianti.
Si tratta pertanto di un intervento che può essere ricondotto alla nozione di “volume tecnico”, non computabile nella volumetria totale, che è ravvisabile secondo la costante giurisprudenza in materia nel caso di “un’opera priva di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché è destinata a solo contenere, senza possibilità di alternative e comunque per una consistenza volumetrica circoscritta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima. In sostanza, si tratta di impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione che non possono essere in alcun modo ubicati all’interno di questa, come possono essere — e sempre in difetto dell’alternativa — quelli connessi alla condotta idrica, termica o all’ascensore e simili, i quali si risolvono in semplici interventi di trasformazione senza generare aumento alcuno di carico territoriale o di impatto visivo” (Consiglio di Stato sez. VI, 01/12/2014, n. 5932).
In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it
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