Il Consiglio di Stato riforma le impugnate sentenze del Tar sugli abusi edilizi con ordine di demolizione e conseguente sanzione pecuniaria, in relazione al fatto che il Comune non ha fornito una prova certa che i manufatti abusivi siano stati realizzati in un’epoca in cui si esigevano idonei titoli abilitativi prima della realizzazione degli stessi. Ma procediamo con ordine.
Abusi edilizi, il caso
Gli interventi di ridotta entità, oggetto della vertenza, consistono in una piazzola d’ingresso e una scala in muratura, realizzate parzialmente su suolo pubblico e parzialmente su una corte privata, con lo scopo di colmare lo spazio verticale di oltre 130 cm, altrimenti riscontrabile tra il piano della strada e la soglia d’ingresso dell’abitazione.
La tesi del ricorrente si fonda sul fatto che le opere identificabili come “mere superfetazioni non organiche all’immobile nel suo insieme”, sono state eseguite su un’opera originaria che risale ad un’epoca antecedente l’anno 1942. A comprova della datazione di tale manufatto il promotore dell’intervento ha anche prodotto due perizie giurate.
Secondo la tesi portata avanti dal Comune, invece, si tratta di un’opera abusiva in quanto consistente in interventi di nuova costruzione che trasformano la sagoma dell’edificio e quindi la sua realizzazione necessita del permesso di costruire, mentre per accertare la datazione, l’amministrazione comunale ha incaricato un verificatore che, al termine della sua analisi, giunge all’ammissione che non sussistono documenti o elementi di confronto inconfutabili che possano permettere di formulare perentoriamente la risposta richiesta e aggiunge che è possibile solo esprimere un’ipotesi sulla data di origine dei manufatti che potrebbero forse risalire ad un periodo compreso fra gli anni ’50 e ’70, lasciando adito all’insorgenza di dubbi.
Il Tar aveva respinto l’originario ricorso proposto avverso l’ordinanza comunale recante l’ordine di demolizione delle opere, considerandole abusive.
Abusi edilizi, non sussiste prova inconfutabile della datazione dei manufatti
Il Consiglio di Stato riforma la sentenza del Tar, con la motivazione che “non certo fornisce surrogatoriamente un avallo alle tesi del Comune, il risultato della pur disposta verificazione in corso di causa, dato che il verificatore si è espresso in termini assolutamente dubitativi in ordine all’esatta databilità dei manufatti”.
La sentenza fa riferimento alla circostanza che “nei casi in cui sia l’ente locale a promuovere un provvedimento ad effetti negativi per il privato” spetta all’ente stesso l’onere di fornire una prova inconfutabile che dimostri che i manufatti siano stati realizzati in un’epoca in cui sarebbe servito un idoneo titolo abilitativo. E nel caso in oggetto non si può certo affermare che il Comune abbia fornito siffatta prova.
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Al contrario, le prove presentate dalla parte ricorrente dimostrano che, sulla base dei materiali usati nella loro costruzione, i manufatti possono ragionevolmente appartenere a decenni addietro e quindi ad un’epoca nella quale i titoli abilitativi cui fa riferimento il Comune nemmeno erano conosciuti. Pertanto, viene ribadito nella sentenza che il Comune “sicuramente non ha fornito una prova inconfutabile del fatto che i manufatti contestati siano stati realizzati in un’epoca nella quale si pretendevano, per essi, titoli abilitativi previi”.
Abusi edilizi, la sentenza del Consiglio di Stato
Sulla base delle sopracitate motivazioni, il Consiglio di Stato sentenzia dichiarando illegittime e pertanto annulla sia la censurata ingiunzione comunale di demolizione che, di conseguenza, l’ordinanza attraverso la quale veniva comminata la relativa sanzione pecuniaria. Pertanto, in accoglimento dell’appello, riforma le impugnate sentenze di primo grado e procede all’annullamento degli atti originariamente impugnati.
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