La Cassazione, attraverso la sentenza n. 40678 del 13 settembre 2018, ha affermato che il cambio destinazione uso senza opere è sottoposto a SCIA, a patto che si trovi nell’ambito della medesima categoria urbanistica. Allo stesso tempo viene richiesto il permesso di costruire riguardo le modifiche che prevedono il passaggio di categoria o quando il cambio destinazione d’uso è stato compiuto nei centri storici, anche nel caso in cui è stato eseguito all’interno di una stessa categoria omogenea.
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Per questo non occorre solo dimostrare che il cambio destinazione d’uso sia giunto in mancanza di interventi edilizi, ma risulta essere proprio necessario dimostrare che esso sia intervenuto tra categorie urbanistiche omogenee.
Tramite questa sentenza, quindi, la Cassazione ha deciso di rigettare il ricorso presentato contro la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che aveva condannato il titolare di un esercizio commerciale a mille euro di ammenda per aver cambiato la destinazione d’uso del locale da esercizio commerciale di vicinato ad avente oggetto attività ludico-ricreativa.
Cambio destinazione d’uso, cornice normativa
I mutamenti nella destinazione d’uso di un immobile da considerare rilevanti dal punto di vista urbanistico e che hanno bisogno di un determinato titolo abilitativo edilizio, sono indicati dall’art. 23-ter del Testo unico edilizia, che è stato istituito dal decreto Sblocca Italia. Viene considerato “mutamento rilevante”, a meno che le leggi regionali prevedano diversamente, qualsiasi forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare differente da quella iniziale, “ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie”. Deve, al tempo stesso, essere tale da implicare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare presi in esame, ad una differente categoria che sia funzionale tra quelle “residenziale”, “turistico-ricettiva”, “produttiva e direzionale”, “commerciale” e “rurale”.
Cambio destinazione d’uso, indirizzo giurisprudenziale
La sentenza della Corte di Cassazione comprova la tendenza della giurisprudenza. Infatti, secondo la sentenza della Cassazione n. 9894 del 20 gennaio 2009, la destinazione d’uso dell’immobile rende conto a finalità di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione, dal momento in cui identifica l’immobile dal punto di vista funzionale, sottolineando le destinazioni di zona stabilite dagli strumenti urbanistici.
Inoltre, secondo la sentenza n. 5839 del Consiglio di Stato del 9 febbraio 2001, la destinazione d’uso dell’immobile non si riconosce con l’utilizzo dell’immobile che concretamente ne fa il soggetto che lo usa, ma si identifica con quella impressa dal titolo abilitativo, senza che esso possa subire influenze da utilizzazioni discordanti in relazione al contenuto degli strumenti di pianificazione, siccome esclusivamente questi strumenti hanno la facoltà di poter stabilire la destinazione d’uso dei suoli degli edifici.
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