Secondo l’attuale ordinamento il Piano Regolatore Generale (PRG) comunale resta lo strumento principe dello sviluppo ordinato del territorio secondo le scelte politiche locali. Uso il termine imperfetto di Piano Regolatore in quanto stampato ancora ben nell’immaginario collettivo, e utile per riassumere tutte le forme e modalità di pianificazione urbanistica e territoriale dei comuni secondo le diverse legislazioni regionali.
Alcune regioni infatti hanno scisso il PRG in due ulteriori livelli, cioè una parte preliminare programmatica quale presupposto per la successiva parte esecutiva/attuativa. Ho trovato interessante la recente sentenza n. 1119/2018 della quarta sezione del Consiglio di Stato, relativamente appunto alle scelte urbanistiche del piano e del relativo potere decisionale dell’amministrazione locale nel governo del territorio.
Scelte del PRG: che potere ha l’Amministrazione?
In essa è ribadito un assunto che trae radici fin dalla Legge “Fondamentale” n. 1150/42, dove il potere decisionale dello strumento urbanistico riveste posizione superiore su quelle degli interessi privati. La motivazione a ciò, almeno secondo la filosofia della n. 1150/42, deriva dal preminente scopo di tutelare un ordinato sviluppo e assetto del territorio quale valore supremo di una comunità, una impostazione condivisibile e lungimirante.
Le difficoltà per le amministrazioni locali chiamate ad esprimersi sulle scelte urbanistiche del piano sorgono quando devono conciliare interessi contrapposti e soprattutto interessi rilevanti, ancorché derivanti da istanze private. Essendo lo strumento urbanistico, o PRG che dirsi voglia, lo strumento “principe” della volontà politica locale in materia di governo del territorio, l’amministrazione competente deve operare delle scelte e quindi contemperare i rispettivi interessi privati tra loro, magari pure concorrenti tra essi.
Ho trovato particolarmente interessante anche un passaggio chiave della sentenza, espresso al punto 11.3, e riguarda il potere ampiamente (e puramente) discrezionale dell’ente locale nelle scelte pianificatorie, per le quali non sono necessarie motivazioni specifiche. L’unica eccezione riguarda l’eventuale incidenza di queste scelte verso posizioni già qualificate e differenziate.
Questo è il nodo cruciale che emerge spesso nella fase delle osservazioni, immediatamente a valle dell’adozione di un Piano. Con essa scattano frequentemente le azioni di critica alle scelte localizzative o revisionali di scelte precedenti; alcune di esse possono proseguire anche a seguito di controdeduzione negativa in fase di approvazione, sfociando in vere e proprie contenziosi in sede amministrativa.
Un caso frequente potrebbe essere il “ripensamento” di una previsione di standard urbanistici non attuata, come un verde pubblico, in luogo di una nuova previsione edificatoria. In tal caso confinanti e frontisti si scaglieranno senz’altro verso questa scelta, che apparirà senz’altro peggiorativa di un presunto “status quo”. A meno di evidente mancato rispetto, l’incidenza degli standard urbanistici previsti dal D.M. 1444/68 (e integrati da norme regionali) deve essere riferita all’intero territorio comunale, disancorandoli quindi da specifiche zone (Cons. di Stato IV. 3055/2013).
In conclusione, le scelte di pianificazione e governo del territorio sono appunto scelte politiche, e non possono soddisfare equamente tutti gli stakeholder e abitanti: il Piano Regolatore Generale è uno strumento di cambiamento, e i cambiamenti possono essere di non facile assimilazione.
Articolo a cura dell’Ing. Carlo Pagliai
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