Vano tecnico: la definizione

La recente sentenza contenente la definizione di vano tecnico (cos’è? che caratteristiche deve avere?) e le altre sentenze più importanti di fine 2017 e inizio 2018

Siamo vivi, buon anno a tutti! Per ripartire alla grande torniamo con la selezione delle sentenze pubblicate nelle settimane delle feste. Ecco gli argomenti: definizione di vano tecnico; motivazione dell’annullamento di un titolo edilizio; cambio destinazione d’uso da agricola a commerciale e aumento del carico urbanistico; sul permesso di costruire: proroga e operatività del silenzio-assenso; discrezionalità e motivazione delle scelte urbanistiche; sul PRG: conflitto interessi consiglieri al voto e casi di esclusione per la ripubblicazione.

Vano tecnico: definizione

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 18 dicembre 2017 n. 1456
Massima: La nozione di volume tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa

 

Come costantemente ribadito in giurisprudenza (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 27 novembre 2017 n. 5516), la nozione di volume tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa.

Nello stesso senso, Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2014 n. 1272, secondo cui: “integra la nozione di volume tecnico, non computabile nella volumetria della costruzione e irrilevante ai fini del calcolo delle distanze legali, soltanto l’opera edilizia priva di autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi di una costruzione principale per esigenze tecnico-funzionali della costruzione medesima” (Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2010 n. 2565; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 9 luglio 2007 n. 1749; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 4 aprile 2002 n. 1337); e, in particolare, quei volumi strettamente necessari a contenere ed a consentire l’ubicazione di quegli impianti tecnici indispensabili per assicurare il comfort degli edifici, che non possano, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti, essere inglobati entro il corpo della costruzione realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 15 gennaio 2005 n. 143).

Per l’identificazione della nozione di volume tecnico, va fatto riferimento a tre ordini di parametri:

– il primo, positivo, di tipo funzionale, dovendo avere un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione;

– il secondo e il terzo negativi, ricollegati all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono essere ubicate all’interno della parte abitativa e ad un rapporto di necessaria proporzionalità che deve sussistere fra i volumi e le esigenze edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere gli impianti serventi di una costruzione principale stessa.

In tale tipologia devono ritenersi inquadrabili due vani di altezza pari a 1,80-1,90 mt., non chiusi da tutti i lati e destinati ad alloggio di pompa di calore, addolcitori e altre condotte esclusivamente tecniche.

Votazione del PRG: conflitto d’interessi tra consiglieri

Estremi della sentenza: TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, sent. 22 dicembre 2017 n. 2128
Massima: Legittima la votazione per parti separate del piano urbanistico in caso di conflitto di interesse dei consiglieri comunali

 

Come di recente evidenziato dalla giurisprudenza (cfr. TAR Campania – Napoli, Sez. VIII, 7 aprile 2016, n. 1766), con riguardo agli effetti dell’obbligo di astensione in sede di votazione dello strumento urbanistico dei consiglieri in posizione di conflitto di interessi ai sensi dell’art. 78, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, occorre riconoscere la possibilità di dar luogo a votazioni frazionate su singole componenti del piano, di volta in volta senza la presenza di quei consiglieri che possano astrattamente ritenersi interessati, in modo da conciliare l’obbligo di astensione con l’esigenza – improntata al rispetto del principio di democraticità – di evitare il ricorso sistematico al commissario ad acta (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4429; Cons. Stato, Sez. IV, 16 giugno 2011, n. 3663; TAR Veneto, Sez. I, 6 agosto 2003, n. 4159).

Ne consegue la legittimità, proprio al fine di evitare difficoltà insormontabili nei Comuni di medie e piccole dimensioni, di una approvazione dello strumento urbanistico per parti separate, con l’astensione per ciascuna di esse di coloro che in concreto vi abbiano interesse, purché a ciò segua una votazione finale dello strumento nella sua interezza; si è aggiunto anche che in tale ipotesi a quest’ultima votazione non si applicano le cause di astensione, dal momento che sui punti specifici oggetto del conflitto di interesse si è già votato senza la partecipazione dell’amministratore in conflitto (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16 giugno 2011, n. 3663; Cons. Stato, Sez. IV., 22 giugno 2004, n. 4429).

Alla luce di tale condivisibile orientamento, risulta legittimo l’aver proceduto a votazioni separate per le singole osservazioni e quindi a votazione finale dell’approvazione del piano strutturale comunale nella sua globalità, con la regolare partecipazione di tutti i consiglieri che nelle singole votazioni precedenti avevano ritenuto di non partecipare alla deliberazione, in quanto versavano in situazioni di conflitto di interessi.

Ripubblicazione del PRG: casi di esclusione

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Brescia, sent. 28 dicembre 2017 n. 1496
Massima: La pubblicazione del piano regolatore non deve essere ripetuta laddove il Piano regolatore riceva modifiche in dipendenza proprio dell’accoglimento di osservazioni presentate, o anche per effetto di modifiche introdotte a seguito di espressa richiesta rappresentata dalla Regione in sede di approvazione

 

La generale questione della necessità di ripubblicare o meno lo strumento pianificatorio generale è stata risolta dalla giurisprudenza dei giudici d’appello (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 19/4/2017 n. 1829, che ha richiamato il precedente della sez. IV – 8/6/2011 n. 3497) nel senso di seguito esposto: <<L’art. 9, primo comma, della l. 17 agosto 1942 n. 1150 (legge urbanistica) prevede che “il progetto di piano regolatore generale del Comune deve essere depositato nella Segreteria comunale per la durata di 30 giorni consecutivi, durante i quali chiunque ha facoltà di prendere visione. L’effettuato deposito è reso noto al pubblico nei modi che saranno stabiliti nel regolamento di esecuzione della presente legge”. L’obbligo di pubblicazione del piano regolatore risulta strumentale alla migliore partecipazione e collaborazione dei cittadini e di chiunque vi abbia interesse alla attività di pianificazione del territorio comunale, anche attraverso, in particolare, la presentazione delle previste osservazioni>>.

<<Tale pubblicazione, tuttavia, non deve essere ripetuta laddove il Piano regolatore riceva modifiche in dipendenza proprio dell’accoglimento di osservazioni presentate, o anche per effetto di modifiche introdotte a seguito di espressa richiesta rappresentata dalla Regione in sede di approvazione. Se ciò non fosse, si perverrebbe al paradossale risultato di un appesantimento incongruo, se non ad un effetto paralizzante, del procedimento amministrativo, rendendo la partecipazione non più strumento di collaborazione e funzionale alla migliore valutazione degli interessi coinvolti, quanto elemento di defatigante gestione procedimentale. Tale conclusione, del tutto ragionevole e condivisibile, cui è già pervenuta la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (sez. IV, 11 ottobre 2007 n. 5357), incontra l’unica eccezione dell’ipotesi in cui l’accoglimento delle osservazioni (o comunque la modifica introdotta) abbia comportato una profonda deviazione dai criteri posti a base del piano stesso, nel qual caso occorre una nuova pubblicazione e la conseguente raccolta delle nuove osservazioni>>.

Un obbligo di ripubblicazione è prospettabile solo quando le modifiche introdotte superino il limite di rispetto dei canoni guida del Piano adottato, in altre parole nell’esclusiva ipotesi in cui vi sia stata una rielaborazione complessivamente innovativa del piano stesso e cioè un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che hanno presieduto alla sua impostazione; viceversa, detto obbligo non sussiste nel caso in cui le modifiche non comportino uno stravolgimento dello strumento adottato ovvero un profondo mutamento dei suoi stessi criteri ispiratori, ma consistano in variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l’impianto originario, quand’anche queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree (si veda anche, nello stesso senso, T.A.R. Lombardia Milano, sez. II – 13/4/2017 n. 856, che ha richiamato numerosi precedenti del Consiglio di Stato).

Il predetto “incisivo e sostanziale” mutamento dell’impostazione originaria non è certamente configurabile per effetto della presentazione delle (pur numerose) osservazioni di un terzo (peraltro non esplicitate nel loro integrale contenuto, salvo quella di interesse), non risultando incise le linee generali della pianificazione.

Proroga del permesso di costruire: obblighi

Estremi della sentenza: TAR Campania, Salerno, sez. I, sent. 20 dicembre 2017 n. 1774
Massima: Per la proroga del permesso di costruire serve un provvedimento espresso

 

In ordine alla necessità di una proroga espressa del permesso di costruire, l’art. 15, co. 2, D.P.R. n. 380/2001, esige un «provvedimento motivato», nel quale devono essere adeguatamente rappresentati e valutati i «fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso» che abbiano impedito l’inizio dei lavori; ciò implica una manifestazione di volontà espressa da parte dell’Amministrazione competente, che espliciti gli esiti della valutazione di congruità dei motivi addotti dal richiedente: <<la proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado, in quanto modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 18 settembre 2008, n. 4498)>>.

<<Nell’ambito della materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che, mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell’originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all’originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia. La proroga è quindi disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale, che in termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni oggettive che la giustificano, tenendo presente che, proprio perché il risultato è quello di consentire una deroga alla disciplina generale in tema di edificazione, i presupposti che fondano la richiesta di proroga sono espressamente indicati in norma e sono di stretta interpretazione» (Cons. di Stato, IV, sent. n. 1013/2014)>>.

Permesso di costruire: operatività del silenzio-assenso

Estremi della sentenza: TAR Piemonte, sez. II, sent. 3 gennaio 2018 n. 12
Massima: Il silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire non può formarsi in mancanza della documentazione completa prescritta dalle norme in materia per il rilascio del titolo edilizio

 

Secondo noti principi, la formazione del silenzio-assenso sulla domanda di permesso di costruire postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti per l’accoglimento, il quale non si verifica ogni qualvolta manchino i requisiti di fatto e di diritto richiesti dalla legge, tenendo presente che il silenzio-assenso non può formarsi in mancanza della documentazione completa prescritta dalle norme in materia per il rilascio del titolo edilizio (Consiglio di Stato, sez. IV  05 settembre 2016 n. 3805; T.A.R. Napoli, sez. VIII,  03 aprile 2017 n. 1776; T.A.R. Salerno, sez. II,  22 agosto 2016 n. 1909; T.A.R. Bari, sez. III,  14 gennaio 2016 n. 37).

In particolare, è stato affermato che “Se il decorso del tempo senza che l’amministrazione abbia provveduto rende possibile l’esistenza di un provvedimento implicito di accoglimento dell’istanza presentata dal privato, nondimeno perché tale provvedimento sia legittimo occorre che sussistano tutte le condizioni, normativamente previste per la sua emanazione, non potendosi ipotizzare che, per silenzio, possa ottenersi ciò che non sarebbe altrimenti possibile mediante l’esercizio espresso del potere da parte dell’amministrazione. Diversamente opinando, si determinerebbe una situazione di sostanziale disparità tra ipotesi sostanzialmente identiche, dipendente solo dal sollecito (o meno) esercizio del potere amministrativo e, dove non fosse ipotizzabile l’intervento in via di autotutela dell’amministrazione, si verrebbe a configurare una “disapplicazione” di norme per mero (e casuale) decorso del tempo” (Consiglio di Stato sez. IV  05 settembre 2016 n. 3805).

Conseguentemente, non può formarsi il silenzio-assenso su un progetto di opere di urbanizzazione sottoposto all’esame dell’amministrazione carente ab origine di requisiti essenziali relativi al sistema viario di accesso al costruendo fabbricato e agli allacciamenti idrico e fognario, prescritti dalle NTA del vigente PRG del Comune.

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Annullamento di un titolo edilizio: motivazione

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. IV Napoli, sent. 2 gennaio 2018 n. 19
Massima: L’annullamento d’ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell’interessato, non necessita di un’espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica

 

L’annullamento d’ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell’interessato (come nel caso in cui sia palese l’erronea allegazione dell’effettiva natura dell’immobile oggetto dei lavori), non necessita di un’espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 8 novembre 2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30 luglio 2012 n. 4300) e in considerazione della circostanza che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato (si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25 maggio 2012 n. 3060), ossia su una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuta proprio a fatto del privato.

Cambio destinazione d’uso da agricola a commerciale: aumento del carico urbanistico

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Brescia, sent. 27 dicembre 2017 n. 1483
Massima: Il passaggio dalla destinazione agricola a quella commerciale avviene tra categorie tra loro non omogenee, con conseguente aumento del carico urbanistico

 

Ai sensi dell’art. 23-ter del DPR 380/2001, il cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante riguarda ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, con o senza opere, che comporti il passaggio ad una diversa categoria funzionale, tra le cinque seguenti: 1) residenziale, 2) turistico-ricettiva; 3) produttiva e direzionale; 4) commerciale; 5) rurale. In tal modo, è assicurata la salvaguardia della zonizzazione mediante il controllo sull’adeguatezza degli standard in relazione all’incidenza dei diversi usi.

Per pacifica giurisprudenza il mutamento di destinazione d’uso, anche se solo funzionale, comporta un aggravio di carico urbanistico quando implica un passaggio tra categorie differenti e deve quindi essere annoverato tra gli interventi di tipo oneroso (T.A.R. Toscana, sez. III – 21/7/2017 n. 938). Il cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante è infatti quello che comporta il trasferimento da una all’altra delle cinque categorie funzionalmente autonome indicate dalla legge, indipendentemente dalla realizzazione o meno di opere: in particolare, il passaggio dalla destinazione agricola a quella commerciale avviene tra categorie tra loro non omogenee, con conseguente aumento del carico urbanistico (T.A.R. Campania Napoli, sez. III – 5/9/2017 n. 4249; sez. VII – 6/11/2017 n. 5152).

Come ha statuito il Consiglio di Stato (sez. VI – 25/9/2017 n. 4469) “il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è soltanto quello intervenuto tra categorie funzionalmente autonome sotto il profilo urbanistico, come accade nel passaggio dalla destinazione industriale a quella commerciale. Ciò trova conferma ‒ non solo nell’art. 5 del DM del 1968 il quale le indica proprio nell’ambito di categorie ben distinte, per l’evidente e notevole diversità di incidenza percentuale degli standard urbanistici, ma ‒ anche nell’art. 23-ter, del d.p.r. n. 380 del 2001 (disposizione inserita dall’art. 17, comma 1, lettera n, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133) ….”.

Scelte urbanistiche: discrezionalità e motivazione

Estremi della sentenza: TAR Piemonte, sez. II, sent. 3 gennaio 2018 n. 11
Massima: Le scelte urbanistiche operate dall’Amministrazione in ordine alla destinazione delle singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che può evincersi dai criteri generali seguiti nell’impostazione del piano; un obbligo di motivazione specifica si reputa esistente soltanto nel caso in cui debba riconoscersi al privato un’aspettativa qualificata, come quella discendente da una lottizzazione approvata e convenzionata o da un giudicato di annullamento del diniego di concessione edilizia o dalla reiterazione di un vincolo scaduto

 

Le scelte urbanistiche operate dall’Amministrazione in ordine alla destinazione delle singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che può evincersi dai criteri generali seguiti nell’impostazione del piano; il che, peraltro, non è che una logica conseguenza della norma che non prevede l’obbligo di motivazione per gli atti generali.

Un obbligo di motivazione specifica si reputa esistente soltanto nel caso in cui debba riconoscersi al privato un’aspettativa qualificata, come quella discendente da una lottizzazione approvata e convenzionata o da un giudicato di annullamento del diniego di concessione edilizia o dalla reiterazione di un vincolo scaduto.

In particolare, in sede di adozione di una variante allo strumento urbanistico, le situazioni di diritto quesito o di aspettativa qualificata capaci di assicurare al proprietario un affidamento specifico sono costituite dalla lottizzazione già approvata, dal piano particolareggiato, dalla sentenza su un obbligo di lottizzare dopo la relativa autorizzazione, dall’annullamento sostanziale (e non per motivi formali) del diniego di concessione edilizia e simili;

In sostanza, come ribadito anche di recente dalla giurisprudenza amministrativa, le scelte pianificatorie operate dall’amministrazione “non possono essere condizionate dalla pregressa indicazione, nel precedente piano regolatore, di destinazioni d’uso edificatorie diverse e più favorevoli rispetto a quelle impresse con il nuovo strumento urbanistico o una sua variante, con il solo limite dell’esigenza di una specifica motivazione a sostegno della nuova destinazione quando quelle indicazioni avevano assunto una prima concretizzazione in uno strumento urbanistico esecutivo (piano di lottizzazione, piano particolareggiato, piano attuativo) approvato o convenzionato o quantomeno adottato e tale, quindi, da aver ingenerato un’aspettativa qualificata alla conservazione della precedente destinazione” (Consiglio di Stato, sez. IV,  24 agosto 2017 n. 4063; in senso analogo Consiglio di Stato, sez. IV,  03 luglio 2017, n. 3237;  T.A.R. Torino, sez. II,  21 giugno 2017 n. 752).

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Redazione Tecnica

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