Presentato l’emendamento che mette il divieto sui bandi gratuiti. Inarsind sottolinea però l’importanza di mettere in chiaro, con verifiche apposite, l’operatività ex ante e non ex post: il professionista, parte debole nel rapporto, non può ricorrere a vie legali per ogni affidamento remunerato non in modo corretto.
Il timore è che si verifichino gli stessi ritardi che ci sono per l’obbligo del pagamento in 30 giorni da parte della PA a fronte della fatturazione elettronica, una scadenza non rispettata nella maggioranza dei casi.
L’OICE, l’Associazione delle società di ingegneria e architettura, e Legacoop Produzione e Servizi sono Inarcassa e dei Consigli Nazionali delle professioni tecniche contro la sentenza del Consiglio di Stato del 3 ottobre 4614/2017 che avrebbe legittimato l’affidamento di incarichi professionali senza corrispettivi. Quando “si mette in discussione la dignità del lavoro svolto, nelle diverse forme giuridiche, per rendere al Paese servizi di ingegneria e architettura di qualità e con livelli di sicurezza adeguati alle necessità del nostro territorio, occorre agire compatti e determinati a tutela di tutti i nostri iscritti e, in generale, per non fare passare sotto silenzio un vero e proprio abominio giuridico”.
Perchè i Parametri non sono sufficienti
Le associazioni, nonostante il Correttivo del codice Appalti abbia sancito l’obbligo di applicazione del decreto parametri e del divieto di forme di sponsorizzazioni e rimborsi, chiedono al Governo un immediato intervento normativo che elimini ogni possibile dubbio. Occorre inserire due principi chiari: 1) la pena della nullità contrattuale collegata all’eventuale inadempimento dell’obbligo di applicazione del decreto parametri, 2) il divieto di stipula di un contratto con corrispettivo sproporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche delle prestazioni contrattuali.
OICE e Legacoop sottolineano inoltre il passaggio della risposta del Comune di Catanzaro in cui si afferma che “i progettisti incaricati, invece, ne avranno forte immagine professionale e miglioramento dei curricula personali”.
Si esercita la propria professionalità non certo solo per averne un ritorno di immagine, ma per essere correttamente remunerati per il frutto del proprio intelletto e della propria professionalità e, in seconda battuta, averne anche il giusto ritorno di immagine. Bisogna rimediare al più presto, prima che sia troppo tardi per tutti coloro che operano nel nostro settore.
Per questo, il 30 novembre ci sarà una manifestazione a Roma per chiedere l’equo compenso obbligatorio. La manifestazione è stata indetta dal Comitato Unitario delle Professioni e la Rete delle Professioni Tecniche.
“L’equo compenso per i professionisti non ha nulla a che vedere con la reintroduzione delle tariffe minime obbligatorie e pertanto non c’è alcun motivo per fermare l’iter legislativo avviato in Parlamento per colmare il vuoto creatosi a partire con le liberalizzazioni del 2006”.
La nota del Dipartimento delle politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri ritiene che il disegno di legge sull’equo compenso Sacconi punti a una surrettizia reintroduzione di tariffe minime obbligatorie, con conseguente necessità di una notifica alla Commissione della proposta, previsto dalla Direttiva Bolkestein all’art. 15, co. 7. Tra i casi che richiedono la notifica tassativamente ci sono le “tariffe obbligatorie minime e/o massime che il prestatore deve rispettare (art. 15, par. 2, lett. g)”. A oggi la giurisprudenza europea non ha mai sancito l’incompatibilità con il diritto europeo primario e/o derivato di norme che stabilissero tariffe vincolanti, purché tali tariffe siano appunto determinate dallo Stato e applicate dal giudice come accadeva in Italia fino al 2006, e siano adottate per l’interesse generale, la protezione dei consumatori e/o la corretta amministrazione della giustizia.
Il disegno di legge sull’equo compenso non prevede tariffe minime obbligatorie ma una presunzione giuridica (quindi superabile) per cui i compensi inferiori a quelli fissati dai parametri ministeriali sono iniqui. I parametri ministeriali non sono atti delle professioni regolamentate e non possono essere qualificati come restrittivi della concorrenza. I parametri sono strumenti diversissimo, anche per cogenza (assente), rispetto alle tariffe, che in Italia sono state abrogate con il Decreto legge Cresci Italia (1/2012). Quindi, non c’è nessun obbligo di notifica le misure contenute nel ddl sull’equo compenso alla Commissione.
L’art. 36 della Costituzione afferma il lavoratore “ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Dopo la sentenza 4614/2017, c’è il rischio che si debba lavorare con una pubblica amministrazione necessariamente in modo gratuito, anche se vengono garantite prestazioni professionali di qualità. I parametri non sono sufficienti perché, appunto, non sono cogenti. L’equo compenso deve essere legge.
L’appuntamento per i Consigli nazionali aderenti al Cup e alla Rete e per le rappresentanze territoriali è il 30 novembre a Roma.
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