Le norme in materia di distanze tra fabbricati sono nell’articolo 9 del Dm 1444/1968. Particolarmente interessante è il problema della distanza tra pareti finestrate e pareti degli edifici antistanti (minimo dieci metri).
Le disposizioni del Dm 1444/1968 non sono derogabili dagli strumenti urbanistici comunali: il Dm è stato infatti emanato su delega dell’articolo 41-quinquies della legge 1150/1942 e ha efficacia di legge. Il divieto ha portata inderogabile, a esclusione delle discrezionalità valutative del giudice (Consiglio di Stato, sentenza 6489/2012). I limiti sulle distanze valgono anche per adeguare i regolamenti edilizi comunali allo schema di regolamento edilizio-tipo (integrato dalle Regioni).
Distanze tra pareti finestrate: gli insegnamenti giurisprudenziali
La giurisprudenza è molto spesso chiamata a chiarire i rapporti tra la normativa e i regolamenti locali (leggi anche:Distanze tra edifici: quali norme regionali sono legittime?), tenendo conto anche dei princìpi introdotti dal regolamento-tipo. Ecco le ultime:
Le norme in materia di distanze sono tassative e vincolano fortemente i Comuni in sede di formazione degli strumenti urbanistici (secondo la sentenza 3522/2016 del Consiglio di Stato).
Il dovere di rispettare le distanze è indipendente dalla differenza di quote su cui si collochino le aperture fra le due pareti frontistanti (Consiglio di Stato, sentenza 856/2016).
È sufficiente che anche una sola delle due pareti interessate sia finestrata (Consiglio di Stato, sentenza 5557/2013).
La norma è applicabile non solo alle nuove costruzioni, ma anche alle sopraelevazioni di edifici esistenti (Consiglio di Stato, sentenza 5759/2011).
L’articolo 2-bis del Dpr 380/2001 pareva consentire un po’ di flessibilità, in realtà eventuali deroghe sono ammissibili solo se sono state inserite in strumenti urbanistici, “funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio”.
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